giovedì, aprile 01, 2021

Questi i riti della Settimana Santa a Corleone

Settimana Santa a CORLEONE (ph. Mario Cuccia)

Dalla domenica delle palme fino alla sera di Pasqua, il popolo di Corleone partecipa alla liturgia in una dimensione di solidarietà e coralità, di raccoglimento e commozione, che nulla concede allo spettacolo;
esce dal quotidiano e vive la comunione dando spazio ai suoi sentimenti, alle sue emozioni, con la totalità del linguaggio corporeo, con la gestualità, con il canto, con gli aromi, i colori, il pianto, il grido, mai dimenticando che tutto ciò che accade è direttamente collegato ed ispirato all’esperienza cristiana – spiega Giovanni Montanti nel film "Il Venerdì Santo a Corleone". La rievocazione, nella Domenica delle Palme, dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme e, nel pomeriggio, la solenne Via Crucis per le strade del paese (con le stazioni commentate dai rappresentanti delle parrocchie e dei vari movimenti ecclesiali), inaugurano il semplice e austero clima penitenziale della Settimana Santa e preparano alla celebrazione, nel Giovedì Santo, della messa “In Coena Domini”. 

Al tramonto, nella Chiesa Madre, si commemora il momento in cui Cristo, , istituì il dono dell’Eucaristia, e si drammatizza un gesto compiuto in quell’ultima cena, “la lavanda dei piedi”, partecipano alla sacra celebrazione con l’abito proprio le confraternite, i quali al termine della messa si dispongono in fila e fanno da ala all'Officiante che depone l'Ostia Consacrata nel "Sepolcro" , dopo la funzione, i confrati, i gruppi parrocchiali guidati dai parroci, tutto il popolo dei fedeli, iniziano la tradizionale visita ai ‘sette sacramenti’; fanno, cioè, il giro delle sette chiese dove sono stati allestiti i ‘sepolcri’: la Chiesa Madre, Santa Rosalia, Sant’Elena, Santa Maria di Gesù, Madonna delle Grazie, San Leoluca, e Santuario dell’Addolorata , e si ripete da parecchi secoli in un'atmosfera mesta un rito denso di spiritualità, riflessione e devozione. 


Gli altari allestiti davanti all’urna dell’Eucarestia sono adornati di fiori, piante, candele e dei cosiddetti lavurieddi, piatti nei quali i semi di graminacee (messi a germogliare all'inizio della quaresima al riparo dalla luce, coperti con bambagia umida, e periodicamente innaffiati) sono diventati esili e fragili piantine dal colore verde sbiadito. L’interramento del seme che sorge a nuova vita è la metafora del Cristo che risorge dopo la morte, ed esplicitamente rimanda a quella energia vitale del ciclo vegetativo che rivive e si celebra nel tempo di Pasqua. 


A mezzanotte le confraternite giungono al Santuario dell’Addolorata. Qui la veglia di adorazione durerà tutta la notte. Il tabernacolo è vuoto. I simboli della vita sono sospesi. Le luci degli altari spente: solo l’altare della Reposizione risplende, a ricordare che Cristo è vivo e presente, ieri, oggi e sempre. Da questo momento e fino alla notte della Resurrezione nessun altro suono più si udirà. 


Il nuovo giorno, un lungo giorno, incombe su Corleone denso di foschi presagi- aggiunge G. Montanti-. 


Dalle 7, ogni quarto d’ora, il silenzio è interrotto dal rombo provocato dallo scoppio di un mortaretto che viene sparato dalla casa detta ri maschi, che si trova su una rocca in alto, a perpendicolo sul Calvario: è il cosiddetto sparo del quarto. 


Il sole è gia alto quando sul sagrato della Matrice giungono i confrati. Quando varcano la soglia del portone laterale, in chiesa tutto è già pronto per la solenne liturgia “In Passione Domini”.   


Con la celebrazione liturgica della Passione la Chiesa intera rivive, nella fede, la morte del Cristo suo Signore; è il silenzio che domina, misto ad un senso di vuoto: la prostrazione silenziosa dei sacerdoti celebranti esprime il silenzio dell’uomo davanti al mistero di un Dio che muore per amore. 


La lettura, a voci alterne, del cosiddetto ‘Passio’ è toccante e coinvolge i cuori. La chiesa è gremita di fedeli. Tutti si alzano quando dal fondo della navata appaiono i sacerdoti che conducono il simulacro del Cristo coperto da un panno viola. 


Piano piano, l’effigie del Cristo in Croce viene liberata dal panno che la occulta- scrivono Francesco Marsalisi e Calogero Ridulfo "I Fratelli" . Inizia così la processione silenziosa dei fedeli, sacerdoti e confrati si prostrano a baciare piedi del Crocifisso ‘della Catena’, accompagnati da canti penitenziali e inni alla Croce. In passato prima che la Prefettura, negli anni 50 a causa di alcuni eventi mafiosi disponesse il divieto per i "Fratelli" di tenere abbassato il cappuccio, era consuetudine che gli stessi procedessero al bacia piede con la visiera abbassata. Soltanto nel 2007, questa antica usanza è stata reintrodotta, nel segno di una ripristinata normalità che oper tanto tempo è mancata in questa terra . 


Al termine della funzione, si assiste al mesto incedere dei sacchi bianchi che disponendosi in doppia fila si riversano verso la scalinata trasferendosi davanti all'oratorio della compagnia dei Bianchi nel vecchio ospedale di via Firmaturi, un'immensa folla attende l'uscita della pietosa immagine del Cristo. 


Un tamburo scordato avvolto in un panno nero, comincia a rullare, la processione è aperta dalle croci penitenziali illuminate da due fanali. Seguono le compagnie, i numerosi membri delle confraternite ‘Bianche’: (in ordine di sfilata) “Maria SS. del Carmelo” dei “Santi Elena e Costantino” di Maria SS. Del Rosario, del SS. Nome di Gesu', di Maria SS. Del Soccorso, dei “Santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo”, e dei “Bianchi dell’Ospedale” (che diede origine alla celebrazione del Venerdì Santo a Corleone nel XV secolo). Istituzioni laiche la cui presenza a Corleone è documentata già nel XIII secolo, ma riconosciute dalla Chiesa solo due secoli più tardi). Il loro nome deriva dal colore del cosiddetto cammìsu, il lungo camice di lino indossato dai “fratelli”, che hanno il capo coperto da un cappuccio la cui estremità superiore è pieghettata a ventaglio. Il diverso colore della mantella distingue le confraternite (ognuna delle quali ha un compito ben preciso nei riti della Settimana Santa corleonese) e serve anche a creare uno spirito di fratellanza che annulla le differenze sociali dei membri. Ognuna di esse guidata dalle rispettive bacchette, (aste che terminano con una crocetta in cima, alcune delle quali - le ultime sopravvissute sono quelle delle confraternite di Sant'Elena e del Carnine - d'argento artisticamente lavorato) e dalla propria Croce e fanali . 


Tre ragazzini, fra i confrati più piccoli, portano sui vassoi d'argento l'occorrente perché ancora una volta venga eseguita la condanna a morte di Cristo. Sul primo vassoio tre lunghi ed acuminati chiodi di ferro, sul secondo martelli e tenaglia, sul terzo la corona di spine. 


Alcuni colpi di mortaretto accolgono il corpo del Cristo all’uscita dalla Chiesa, le tristi note della banda musicale accompagnano l’inizio della toccante processione al Calvario. Il simulacro del Cristo, adagiato su un lenzuolo bianco, viene condotto verso il luogo della crocifissione dai sacerdoti.  


La musica della banda si alterna ad altri suoni: quello cupo del tamburo coperto da un drappo nero; quelli lugubri dei mortaretti che rimbombano dalla rocca ri maschi ; il canto dei fedeli. 


La processione si incammina mestamente verso il monte Calvario, dopo aver percorso le strade della zona più antica della città, Il corteo bianco procede tra due ali di folla, che man mano si accoda al Cristo sul lenzuolo, per le strade della vecchia città: via Firmaturi, via Spatafora, via Sant'Agostino, via Ospedale, via San Nicolò, via Addolorata, via Calvario. Poi su per i viottoli del monte, fino alla croce. I movimenti di confrati e fedeli sono accompagnati dalle note di un’austera marcia funebre che fa vibrare i cuori: fu composta tra il 1935 ed il 1936 dal maestro corleonese Pietro Cipolla in memoria del fratello Giorgio ed è a tutti nota semplicemente come “Marcia numero 14”, dal numero d’ordine che la stessa occupa nel libretto degli spartiti. mentre sul monte, fino a quando essa non arriverà al Calvario, i mortaretti esplodono più frequentemente, due ogni due minuti. 


Il corteo giunge alla sommità del colle, la semplicità del Calvario s’intona con la povertà del rito, la statua snodabile del Cristo viene appesa al patibolo e inchiodata da tre sacerdoti. Segue il sermone del decano, i fedeli, numerosi assiepano e circondano il colle, assistono commossi. E intonano tristi canti. 


Alcuni Confrati a turno rimangono a guardia ai piedi della croce, da questo momento, e fino a quando il Cristo non sarà deposto, ininterrotto sarà il commosso pellegrinaggio dei fedeli e delle Confraternite al Calvario per rendere omaggio al Cristo crocifisso. 


Alle 4 del pomeriggio, un ripetuto sparo di mortaretti (una ‘maschiata’, come la chiamano i corleonesi) ricorda che in quell’ora Cristo morì. 


Mentre sul Calvario prosegue l’omaggio dei devoti al Cristo in croce, nel settecentesco Santuario dedicato a Maria SS. Addolorata (centro di tradizione religiosa e di formazione cristiana, civile e morale), si compie un rito antico: come si usava un tempo, donne e bambini porgono ad un confrate un fazzoletto bianco per asciugare il volto dell’Addolorata. 


Dopo, il simulacro della Vergine (l’immagine sacra più venerata dai corleonesi, quella che più d’ogni altra parla direttamente al loro cuore), viene preparato per l’imminente lunga processione notturna. 


Colpi di tamburo si odono, mentre lunghe ombre già incombono sul paese, il cielo che fa da quinta alla scena sembra dipinto. 


Si appressa l’ora delle Deposizione, la ‘Grande Croce’ nera illuminata dalla luce fioca dei fanali guida il corteo delle confraternite che salgono al Calvario:  


Cristo, ormai morto, viene deposto dalla Croce. Il Cristo viene deposto da due confrati - uno dei Bianchi, l'altro di San Giuseppe d'Arimatea - e adagiato di nuovo sul lenzuolo per riportarlo a valle. Il momento è suggellato da forti spari di mortaretto e da una toccante marcia funebre intonata dalla banda musicale, la numerosa folla presente assiste basita alcuni in raccoglimento altri pregano commossi. 


Il lenzuolo bianco, viene portato a valle questa volta dai confrati di tutte le Compagnie, percorrendo al contrario l’itinerario fatto di giorno. Il passo, lento del corteo, segue le cadenze della musica della banda che si alterna al canto dei fedeli. 


Dal Calvario, stavolta, ci si ferma nella piazzetta alle pendici del monte dove si affacciano le due chiese dell'Addolorata e di Santo Nicolò. In quest'ultima viene lasciato il Cristo deposto e viene prelevata l'urna, preparata il giorno avanti, che contiene un'altra statua del Cristo morto da portare in processione. 


Fuori, i fedeli sempre più numerosi, attendono l’uscita dalla chiesa della semplice ‘vara’ con il Cristo Morto, adorna di fiori. L'urna ha la base di legno appesantita dagli accumulatori che forniscono l'energia elettrica alle tante lampade, ed è sormontata da un'intelaiatura che sorregge una cupola di velo bianco sulla quale svetta una foglia di palma intrecciata, un po' più grande di quelle che i bambini portano in chiesa la domenica precedente la Pasqua. 


Tutto è pronto per la lunga processione. E’ già sera quando, lentamente, il corteo si avvia dallo slargo, la processione (la cui struttura è ancora quella stabilita da un atto del 1863) è aperta sempre da una delle croci penitenziali con i fanali e dal tamburo scordato avvolto nel drappo nero e dai devoti, che si dispongono su due file e recano in mano i ceri accesi. Alcuni sono a piedi scalzi per grazia chiesta o già ricevuta. Le flebili fiamme dei ceri creano un malinconico alternarsi di luci ed ombre , poi le confraternite bianche precedono la vara del Cristo Morto. Altri la portano a spalla, facendo ondeggiare la palma che la sovrasta. E' poi la volta dell'Addolorata, preceduta dalle "Serve di Maria", vestite e velate di nero con il cuore rosso trafitto dal pugnale sul petto, e dalle centinaia di confrati, sempre con l'abitino nero e il cuore trafitto sul petto. 


Quando la statua della Madonna esce dalla sua chiesetta nella piazza sferzata dal vento gelido di una primavera in embrione e si ferma sul ponte che scavalca l'affluente del Belice, il parallelepipedo di roccia viene di nuovo illuminato a giorno dai mortaretti. 


Per ore, la processione, seguita da una moltitudine di fedeli mai stanchi, andrà su e giù per le vie di Corleone toccando tutti i quartieri, percorrendo le nuove larghe strade e le strette vie del centro storico. 


La processione si conclude quando è già passata la mezzanotte. Il simulacro del Cristo rientra all'Oratorio dei Bianchi. Qui viene lasciata l'urna del Cristo morto, mentre la processione continua per piazza Annunziata e via San Nicolò fino a raggiungere la chiesa dell'Addolorata, il volto delle Serve di Maria, che, conclusa lo loro processione, attendono l’arrivo dell’Addolorata, tradisce fatica e commozione, osserva Giovanni Montanti poco prima di concludere il film. 


Qualche minuto dopo, sullo slargo sopraggiunge il simulacro dell’Addolorata, che viene accolto dallo sparo di mortaretti che vengono fatti brillare sotto la Rocca Sottana, la cui parete viene illuminata a giorno creando un suggestivo effetto scenico. 


Ora anche il simulacro dell’Addolorata può rientrare nella chiesa da dove era uscito. 


La processione non si è però ancora conclusa -annota ancora Nonuccio Anselmo-. Dalla chiesetta di Santo Nicolò viene infatti ripreso il Cristo che era stato in croce, adagiato nel suo lenzuolo, per fare ritorno a casa. Qui, nella cappella barocca del vecchio Ospedale , il Cristo adagiato su un catafalco riceve da fedeli e confrati il bacio sui piedi e sulle ginocchia. 


E dal 2010, con la riapertura della chiesa dell’Annunziata, è rinata un’altra antica usanza. Dalla chiesa dei confrati del Nome di Gesù, esce la statua del Cristo Risorto per raggiungere la chiesa madre, dove nella gloria risorgerà ancora alla mezzanotte del sabato. 


Ma intanto, finalmente, in attesa di questa resurrezione, i mortaretti non esplodono più sulla rocca ri maschi, il silenzio del lutto regnerà sovrano fino alla mezzanotte del sabato, quando le campane e la solenne messa annunceranno che Cristo è risorto. Nel giorno di Pasqua, il giorno della vita, l’incoronazione del simulacro della Vergine e la benedizione dei Fiori suggelleranno la gioia per la Resurrezione e concluderanno i riti della Settimana Santa. 


Termina così la Settimana Santa: un anno ancora e la gente di Corleone si ritroverà unita a celebrare il Mistero della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo. Con immutata devozione percorrerà le strade che lambiscono chiese, vetusti palazzi, vecchie e nuove dimore nelle quali è scritta la storia di questo paese, di questa comunità che guarda al suo glorioso passato per conservarne la memoria e su di essa costruire il proprio riscatto.  


Questo è il rito del Venerdì santo giunto fino a noi in questo inizio del terzo millennio. Molto, moltissimo è cambiato nel corso dei secoli, e ciò si può dedurre pure dai documenti giunti fino a noi. Nei successivi capitoli, parleremo di queste modifiche e di cosa questo rito ha rappresentato in mezzo millennio. 


Pagina tratta dalla relazione allegata alla  richiesta di iscrizione al REIS Sicilia 

sito  web : https://settimanasantacorleone.jimdofree.com/ 


foto di Mario Cuccia

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