domenica, marzo 17, 2019

Franco Zecchin: "Palermo è cambiata ora non ha più paura, ma state in guardia, le Primavere finiscono"

Franco Zecchin
CLAUDIO REALE
«Eravamo in una salumeria. C’era la moglie della vittima che aveva visto ammazzare il marito e non poteva uscire, perché avrebbe dovuto scavalcare il corpo del marito.
Su quella scena sono arrivato con una volante della polizia perché eravamo su un altro omicidio. A un certo punto tutti partivano di corsa e sono andato anche io. Eravamo sopraffatti dal ritmo degli avvenimenti: c’erano due omicidi al giorno, non ti si lasciava il tempo tempo di riflettere». 
Di quella Palermo, quella degli anni Ottanta, Franco Zecchin — che da ieri espone al Centro internazionale di fotografia dei Cantieri 95 sue immagini scattate fra il 1975 e il 1994 in Sicilia — ricorda soprattutto l’atmosfera: ed è naturale, per un membro nominé dell’agenzia Magnum, che questa si traduca in un’immagine. Un’immagine cupa, in contrasto fra quella città e questa, rinata passando da una primavera che per il fotografo milanese affonda le radici nella Pantera e ancor più indietro nelle lotte per la terra, ma che oggi è giunta all’epoca controrivoluzionaria, al necessario riflusso.

Partiamo da qui, dalla Palermo di oggi. Che città ha trovato, 25 anni dopo?
«Io ormai ho uno sguardo esterno, ormai posso restare sulla superficie».
In superficie cosa si vede?
«Si vede la vivibilità, per usare il termine che la giunta Orlando affidò a Letizia Battaglia, che si occupava appunto della vivibilità urbana. La qualità percettibile è notevolmente aumentata: provo stupore nel vedere parti del tessuto urbano che erano quasi destinate a scomparire e adesso si riempiono di vita, soprattutto nel centro storico. È uno dei grandi meriti di Orlando: è qualche cosa di visibile, io passo nei vicoli e ricordo che c’erano le transenne e ora vedo palazzi restaurati, vedo un fiorire di bar e ristoranti nello spazio pubblico, aperti. Quando arrivai a Palermo, nel 1975, non c’era un bar con i tavolini fuori».
Perché la colpiva così tanto l’assenza di tavolini all’esterno nel 1975 e la sorprende la loro presenza adesso?
«Perché tutte le città sul mare del Mediterraneo hanno una vita fatta di terrazze. A Palermo non c’era, e uno dei motivi principali secondo me era la paura».
Una Palermo più cupa. Perché l’ha affascinata?
«C’erano degli aspetti più solari. Sono cresciuto a Milano detestando profondamente la città, e ritrovarmi grazie a Letizia in un luogo nella quale la qualità della relazione è diversa mi faceva sentire paradossalmente a casa. Questi contrasti la mostravano in modo più percettibile».
Poi cosa è successo?
«Il ricordo più intenso sono ovviamente le stragi Falcone e Borsellino. Tutti sapevamo che poteva succedere, ma quando poi è successo ci ha tanto sconvolto che in fondo il fatto di aver potuto avere dei presentimenti non ha tolto nulla alla sorpresa. Poi è stato sorprendente vedere come la città si è ribellata e ha manifestato apertamente il suo dissenso. Quello è stato il culmine di una presa di coscienza da parte della società palermitana: i movimenti sono entrati nel Palazzo, ma del resto quella città aveva dato vita alla Pantera».
Le proteste studentesche del 1989. In che modo sono collegate queste due fasi?
«La Pantera era nata a Palermo prima che altrove perché questa città era un laboratorio sociale e politico all’avanguardia a livello nazionale. Ai Comitati dei lenzuoli non si arriva all’improvviso».
Sono figli della Pantera?
«C’è un legame fra tutte queste cose e che porta a Addiopizzo. Non so cosa sia diventata oggi Addiopizzo, ma alla nascita era un movimento che ha avuto una sua originalità internazionale: in nessun’altra parte del mondo è esistita una presa di coscienza di questo livello».
Andiamo ancora a ritroso. C’è il filo fra Pantera, lenzuoli e Addiopizzo. Ma da dove è nata quella spinta?
«Con Letizia e Umberto Santino sono fra i fondatori del Centro Impastato. Ci siamo ritrovati in una minoranza, una minoranza estremamente ridicola, che aveva il coraggio di dire no, aveva il coraggio di dimostrare il dissenso. Non il dissenso solo con quella che poteva apparire la parte criminale del sistema politico-mafioso, ma il dissenso contro tutte le compromissioni espresse, ad esempio, da Vito Ciancimino e Salvo Lima e che poi Giovanni Falcone è riuscito a dimostrare. All’epoca erano pochi a dirlo. Questo, però, senza voler assumere il carattere degli iniziatori: prima c’era stata l’occupazione delle terre, prima ancora Portella della Ginestra. Non abbiamo inventato nulla: non voglio dire che la Pantera sia venuta da questo, ma nella storia siciliana c’era il seme del dissenso e della rivolta che portò ai lenzuoli».
E adesso?
«Non basta agire sulle coscienze e sulla cultura. Adesso rimane ancora da affrontare il nocciolo della questione, che passa dall’economia e dalla politica. Se l’economia rimane sotto il controllo dei gruppi che fanno affari con la mafia, nulla cambia. Ma questo è molto difficile da costruire, anche perché servono paradigmi alternativi».
Negli anni dei Comitati dei lenzuoli, come adesso, il sindaco era Leoluca Orlando.
Cosa pensa della sua azione politica?
«Sono partito a gennaio del 1994 e non ho usufruito dei benefici dell’era Orlando, che ha dato più spazio e più servizi ai cittadini. C’è stata una rinascita culturale».
Che si traduce anche nei Cantieri che ospitano la sua mostra.
«Anche, ma non solo. È ovvio però che i fermenti della Primavera di Palermo non possono continuare per sempre. Come in qualsiasi periodo rivoluzionario, l’effervescenza ha una durata limitata nel tempo e si trasforma, si irrigidisce, si formalizza. A quel punto i fermenti devono essere rimessi in discussione».
È l’epoca della controrivoluzione, della controprimavera?
«Non lo so. Non ho vissuto i benefici di quell’epoca, quindi neanche la reazione. Posso dire che la cosa più importante di quest’era Orlando è il Piano particolareggiato del centro storico, che ha impedito la devastazione, ha preservato la città da un nuovo "sacco". Questa è una cosa che storicamente resterà. Cosa riserverà il futuro, ovviamente, è questione che attiene a chi vive in questa città».
La Repubblica Palermo, 17 marzo 2019

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