domenica, marzo 31, 2019

L’INTERVISTA a MAURIZIO BETTINI. Umani e cittadini stranieri e ius soli al tempo di Seneca


di MARCO BRACCONI
Fosse vissuto oggi, l’imperatore romano Claudio probabilmente non avrebbe votato Salvini: per lui la rovina di Atene e Sparta fu " l’aver tenuto lontani i nemici sconfitti in quanto forestieri". Eppure nemmeno i greci, abituati a dividere il mondo tra gli abitanti della polis e tutto il resto, avrebbero mai lasciato un naufrago in mare, negato l’acqua e il fuoco allo straniero, rifiutato di indicare la strada al viaggiatore errante. Maurizio Bettini, autore per Einaudi di Homo sum, indagine sull’" essere umani" nel mondo antico, è la guida ideale per comprendere come la cultura classica si rapportava a chi proveniva da oltre il confine, alla donna, al bambino, all’uomo che oggi chiamiamo migrante. «Lo ius soli (l’attribuzione di cittadinanza a chi nasce sul territorio di uno Stato, ndr) è espressione latina ma non esisteva in Grecia e a Roma, che tra l’altro avevano due modi molto diversi, perfino opposti, di intendere la cittadinanza.
Gli ateniesi, per esempio, non la attribuivano a nessuno e, in omaggio al modello mitico dell’autochthonía, pretendevano dal cittadino l’essere " proprio di quella stessa terra"; i romani invece la concedevano con maggiore facilità, se un cittadino liberava uno schiavo questi diventava subito un romano, la provenienza non era una discriminante rigida. Il primo è uno schema di chiusura, il secondo di apertura ». In ogni caso entrambe le culture hanno qualcosa da dirci su ciò che è necessario fare, anzi essere, per definirsi esseri umani: per via filosofica o di ragion di Stato, da Virgilio che canta Didone in soccorso di Enea alla fratellanza "global" di Seneca, l’hashtag # restiamoumani non era affatto sconosciuto
all’antichità. Anzi.
Nel mondo classico il tema dei "diritti umani" è ribaltato rispetto al mondo moderno. Non è il migrante, o il naufrago, che ha il diritto di essere accolto, ma è chi soccorre che ha il dovere di farlo.
«Siamo in un mondo di obblighi, e sono obblighi di carattere soprattutto religioso. È la divinità che chiede che la giustizia sia applicata nel mondo attraverso l’accoglienza, il cibo, l’acqua e il fuoco. E questo schema resisterà anche nel mondo cristiano, a lungo, fino all’Illuminismo».
Quali parole spiegano meglio l’idea di umanità di greci e romani?
« Philanthropía, termine greco che sta a indicare non "colui che ama l’uomo", ma colui che ha nell’uomo il suo interlocutore privilegiato, quello con cui "vuole avere relazioni". E poi huminatas, che è ancora più interessante perchè da un lato significa mitezza, comportamento buono, presupponendo che la vera essenza dell’uomo consistesse appunto nell’essere generoso e giusto; ma humanitas
significa anche " cultura", l’avere letto, pensato, studiato».
Anche qui torniamo al dibattito contemporaneo sulla cittadinanza, la proposta di darla a chi conosce la lingua e ha completato un ciclo di studi in Italia.
«Sì, e questo ci riconduce anche a chi dovrebbe concederla, la cittadinanza. Pure chi governa e decide, per essere umano e dunque avere l’humanitas, dovrebbe studiare».
Su quanto è dovuto all’uomo "in quanto uomo" Seneca e Cicerone non la pensavano allo stesso modo.
« Seneca dice che per essere veramente umani non basta porgere la mano al naufrago o dare da mangiare a chi ha fame, bisogna fare molto di più. Il filosofo stoico ragiona in termini di vera e propria "fratellanza" umana. Cicerone è invece più restrittivo sui criteri con cui valutare quelli che chiama i communia, le cose che si devono concedere a tutti gli uomini in quanto esseri umani. Per lui i
communia vanno concessi solo "a patto che non subisca danno chi li concede", aggiungendo un po’ furbescamente che altrimenti non si avrebbero più le risorse per quelli che sono più prossimi, i concittadini».
L’hashtag ciceroniano sarebbe stato #primairomani?
« Esatto, per lui esistono cose dovute ad ogni essere umano, ma prima vengono i cives, quelli a sé prossimi».
Ci si scontra sulla cittadinanza per Rami, il ragazzo che ha salvato i compagni sul bus incendiato in Lombardia. Per i romani esiste la cittadinanza-premio?
«Certamente sì. Accadeva sia in casi individuali che collettivi: un popolo, una città che avesse aiutato i romani in circostanze difficili, riceveva la cittadinanza. Una cosa che in Grecia non poteva succedere, lì era riservata solo ai figli dei già cittadini. E basta».
Romani più "aperti", i greci molto meno. Anche per questo Roma resiste nel tempo più a lungo delle polis?
«Sicuramente sì. I romani stessi lo sapevano e lo dicevano. L’atteggiamento inclusivo di Roma conduce a un Impero che si espande e trova via via le sue forme di convivenza. Un universo chiuso porta inevitabilmente alle divisioni».
Ma in entrambe le culture è disumano non aiutare gli "erranti", chi viaggia senza una chiara destinazione. E oggi le Ong finiscono sotto inchiesta...
«Fa parte di quegli obblighi culturali e religiosi di cui parlavamo prima. ma non è il solo filo che ci ricollega a oggi. È proprio la parola, ius humanum: l’hanno inventata loro. E poi gli stoici, con la loro idea che l’umanità sia una famiglia. E che sia stata la natura, prima di ogni forma sociale, a farci parenti». ?
La Repubblica, 31 marzo 2019

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