di Vincenzo Lapunzina
Se c’è una cosa di cui in Sicilia non si parla (pubblicamente) è il riordino del Servizio Sanitario Regionale (SSR). Siamo tutti fermi alla “velina”, divulgata ad arte (?) lo scorso autunno, che conteneva le “disposizioni in materia di riorganizzazione delle aziende del SSR”.
Un vespaio che ha indotto il Presidente della Regione a declassare il tutto a delle infondate voci di corridoio. Il tema del futuro della sanità in Sicilia, che costa oltre 10 miliardi e mezzo di euro ogni anno (circa la metà del bilancio della Regione Siciliana) – per la quale lo Stato contribuisce al 51% – sarebbe rimasto “sospeso”, come rimane in sospeso la qualità dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), invero, volano i LEC (Livelli Essenziali di Carità).
Noi non crediamo si tratti di “voci di corridoio” e abbiamo motivo di ritenere che da qualche parte il dirigente del Dipartimento Pianificazione Strategica dell’Assessorato alla Salute, Salvatore Iacolino, e l’assessore alla Salute Giovanna Volo, stiano affinando l’atto definitivo e che lo faranno spuntare all’improvviso dal cappello.
Il futuro della “riorganizzazione” potrebbe essere legato alla capacità di non scontentare nessuno. Cosa impossibile se l’intento è quello di dotare la Sicilia di una sanità a misura di utente e non di taluni “comitati” che aspirano a governarla.
Come che sia, il “chiavi in mano” (taglio di tutti i nastri) dovrà essere consegnato entro il 2026, la riorganizzazione si avvale anche dell’ingente prestito concesso dall’Europa (PNRR).
In verità l’impianto della “velina” sarebbe sostenibile.
Da un lato le nove ASP – che coincidono con i territori delle ex Province – assicurerebbero la tutela della salute dei cittadini, il governo del rapporto tra domanda e offerta di servizi sanitari, l’integrazione socio sanitaria sia mediante le strutture e i Dipartimenti di propria pertinenza, i servizi territoriali di assistenza, gli Ospedali di Comunità , le (costosissime) Case di Comunità, le centrali operative territoriali, quindi i rapporti con le strutture accreditate.
Dall’altro, attraverso un raccordo operativo con le Asp (per assicurare la continuità assistenziale), si costituirebbero 11 nuove aziende ospedaliere (che coincidono con i DEA di I e II livello esistenti), dotate di autonomia imprenditoriale, con funzione multi presidio a cui transiterebbe la gestione diretta dei 46 presidi ospedalieri che insistono in ogni Provincia.
Sempre secondo la “velina”, al tempo non digerita nemmeno dalla maggioranza di governo (a proposito di “trattabili” mal di pancia), rimarrebbero in essere i Policlinici di Palermo, Catania e Messina e l’Istituto di ricovero e cura di carattere scientifico “Bonino Pulejo” di Messina.
All’interno della costellazione dei presidi, delle Aziende e degli Enti, è allocata una piccolissima “stella”, voluta in modalità “cadente” da coloro che nel recente passato hanno governato la Regione Siciliana, a livello temporale possiamo affermare che il viaggio (irreversibile?) è iniziato dal governo Lombardo in poi.
L’ibrido “dell’Alto” potrebbe transitare (come spiegato prima) nella gestione diretta dell’ARNAS Civico di Palermo (stessa sorte toccherebbe, sempre secondo la “velina”, ai presidi “Di Cristina” e “Ingrassia” di Palermo e al “Cimino” di Termini Imerese).
L’associazione zone franche montane Sicilia a novembre dello scorso anno, per scongiurare la scelta politica di accorpamento/depotenziamento (stanno affinando ancora quella?) ha inviato una proposta/appello al presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani e all’Assessore alla Salute.
Nella nota, della quale – ad oggi – non risulta alcun riscontro (buona educazione?), si apriva un focus sull’assistenza “ai pazienti multi-cronici, quelli vittime di traumi o patologie che richiedono lungi periodi di riabilitazione, i pazienti anziani e in particolare i pazienti anziani fragili, quelli cioè che sono fortemente debilitati da più fattori di malattia e che hanno bisogno di continua assistenza e una riabilitazione specializzata per vivere dignitosamente la vita che è giusto continuino a vivere”.
Insomma, il “dell’Alto” di Petralia Sottana (23106,4 mq di superficie utile), con i moderni standard potrebbe ospitare fino a 400 posti letto ed essere riconvertito in uno dei più grandi centri di riabilitazione d’Italia.
Destinare l’imponente struttura di Petralia a “produrre salute” nel settore della riabilitazione pneumologica, cardiologica, polmonare e da traumi non è un progetto visionario, lo ribadiamo da mesi, è solo un’idea coraggiosa che è facilmente supportabile con i fatti, la scelta rientra nella esclusiva prerogativa del governo regionale.
Guardando all’esistente abbiamo un ospedale che si regge solo sulla buona volontà e la tenacia/sacrificio del personale sanitario, con una giovane direttore d’orchestra che sta dimostrando di essere all’altezza della difficile e complessa situazione, per la quale (spesso) occorre la presenza anche nei giorni e nelle ore di riposo.
Sulla qualità e valore della gestione è d’accordo anche il sindaco di Petralia Sottana, Piero Polito, sul direttore del presidio, Francesca Caracci, ha espresso un giudizio sinceramente positivo, «con lei i sindaci intrattengono una continua, fattiva e consolidata interlocuzione e collaborazione».
La scelta di destinare l’intera struttura petralese anche alla riabilitazione geriatrica di riferimento regionale porterebbe ad aumentare il PIL del paesaggio madonita con delle refluenze positive in termini occupazionali.
Al momento l’Asp di Palermo, se pur in ritardo, sulla riabilitazione sta mantenendo l’impegno di attuare il dettato della nuova Rete Ospedaliera approvata a febbraio 2019, portando i posti letto da 12 a 20. A tal proposito la direzione del presidio del “dell’Alto” ha destinato una parte del terzo piano (ex chirurgia e ginecologia) al c.d. “Codice 56”. Oltre agli impianti dei gas medicinali, le stanze di degenza verranno rese più accoglienti e dotati di testa letto nuovi. L’aspetto sanitario resterà in capo al personale sanitario di Villa delle Ginestre, abilmente coordinato dal professore Giorgio Mandalà.
Questa azione fa ben sperare sul fatto che “Petralia” potrebbe essere destinato alla riabilitazione, la conseguenza diretta e ovvia sarebbe quella del potenziamento degli altri reparti attivi e perché non il ritorno della chirurgia ortopedica.
Sul tema della riabilitazione nei mesi scorsi abbiamo avuto delle interlocuzioni con i vertici della Fondazione “Salvatore Maugeri”. pionieri della riabilitazione dei pazienti fragili (dal 1965) e precursori di nuovi modelli organizzativi. Abbiamo esposto la nostra idea progettuale e riscontrato considerevole interesse a rispondere all’eventuale chiamata della Regione Siciliana.
In tutto questo ci sarebbe anche il modello giuridico e organizzativo da utilizzare. Quello della Fondazione, attivo e funzionante al “Giglio” di Cefalù (il valore delle “vendite e prestazioni” del 2023 ammonta a oltre 95 mln di euro), nella quale il pubblico (Regione Siciliana, Asp di Palermo e Comune di Cefalù, soci della Fondazione) fino ad oggi hanno dimostrato che “si può fare” e anche bene, con una gestione manageriale, affidata a Giovanni Albano, che ha messo al centro l’utente/paziente.
Perché non pensare a una Fondazione (modello “Giglio”) per il “dell’Alto” di Petralia Sottana, magari coinvolgendo la famiglia Maugeri in questa sfida?
Del futuro dell’intera struttura che ospita il nosocomio petralese, quindi della proposta avanzata dall’associazione zfm Sicilia, se ne dovrebbe parlare nel corso di un’audizione in Commissione Sanità dell’ARS, prevista per la prossima settimana, chiesta da tempo al presidente Giuseppe Laccoto.
Il tempo per parlare di “produrre salute” è adesso. Mentre si discute (anche) del futuro dei presidi ibridi, considerati un peso che grava sul bilancio della Regione e dello Stato.
Sulle Madonie partiamo svantaggiati in quanto non c’è un deputato regionale (esclusivo) di riferimento, che potrebbe intestarsi la proposta di far diventare “Petralia” un punto di riferimento regionale di qualcosa di “produttivo”.
Nondimeno, è tutto commutativo, se non dovesse piacere il “codice 56”, si potrebbe perseguire la strada della chirurgia intima, quindi anche del pene. Si allargherebbe la platea degli utenti all’intero bacino mediterraneo.
www.ilcaleidoscopio.tv, 30 Set 2024
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