FU IL PRIMO A PORTARE A PROCESSO I CORLEONESI, MENTRE AL GOVERNO C'ERA CHI DICEVA CHE LA MAFIA NON ESISTE. FU UCCISO IL 25 SETTEMBRE DI 45 ANNI FA. A RINFRESCARE LA MEMORIA DI QUANTI LO HANNO DIMENTICATO CI PENSA ADESSO UN FILM
LA MATTINA DI GIOVEDÌ 26 SETTEMBRE SARÀ PROIETTATO AL CINEMA MARTORANA A CORLEONE
dal nostro inviato Lucio Luca (Venerdì di Repubblica)
PALERMO, La casa di famiglia di Totò Rina è ancora in pieno centro, a Corleone. Li ci ha vissuto il boss quando era un giovane scagnozzo di Luciano Liggio, li è tornata la moglie Ninetta Bagarella insieme ai figli quando il capo di Cosa nostra si godeva la sua beata latitanza, durata quasi 24 anni. E in quella palazzina abita adesso Salvuccio, il più piccolo dei rampolli del padrino, che proprio non ce la fa ad accettare che la strada di casa sia intitolata a Cesare Terranova, il giudice che fu il primo a scoprire i Corleonesi e a capire che Liggio e i suoi stavano scalando le gerarchie di Cosa nostra a colpi di mitra per prendersi Palermo e il controllo totale degli affari illeciti.
La droga, soprattutto, autentico spartitraffico tra la mafia rurale del dottor Michele Navarra, l'anziano boss di Corleone fatto fuori proprio da Liggio, Rina e Provenzano, e l'ala stragista che fino al 1993 ha imposto le sue regole con il consenso di una parte influente della politica siciliana."Buon ferragosto da via Scorsone" ha scritto quest'estate sui social Salvuccio Rina, che anni fa si era messo in testa di ricostituire il clan del padre e per questo ha scontato otto anni di carcere. Perché cosi si chiamava quella strada
prima che i commissari inviati dal governo, dopo lo scioglimento del Comune per mafia, decidessero di intestarla simbolicamente a Terranova. Un magistrato, parlamentare della sinistra indipendente per un paio di legislature, che pagò con la vita il suo impegno antimafia.
Lo uccisero il 25 settembre del 1979 assieme al suo coltaboratore più fidato, il poliziotto con il quale aveva lavorato fianco per più di vent'anni. E proprio il 25 settembre nel giorno in cui si ricordano i 45 anni dal sacrificio di Terranova, nelle sale italiane uscirà un film che ricostruisce la storia del giudice, di Lenin Mancuso e del contesto nel quale quel delitto è maturato.
Siamo a Palermo alla fine degli anni
Settanta, racconta Attilio Bolzoni, oggi giornalista del Domani dopo più di quarant’anni a Repubblica, che ha scritto la sceneggiatura de “Il giudice e il boss”. In quel periodo c’erano anche Piersanti Mattarella, Pio La Torre, Gaetano Costa, Boris Giuliano, il capitano Emanuele Basile. Un gruppo di politici, magistrati, poliziotti e carabinieri che non si erano allineati al pensiero dominante. Era il tempo in cui al governo c’era chi sosteneva l’inesistenza della mafia. Il giudice Terranova è tutti gli altri si erano messi di traverso e avevano cominciato a combattere una guerra che, un decennio dopo, fu ripresa da Falcone e Borsellino. Troppo per un gruppo di fuoco come quello dei Corleonesi. E infatti partì la campagna di
sterminio dei nemici" che furono tutti eliminati. Ecco, se non ci fosse stato Cesare Terranova la storia del contrasto alla criminalità sarebbe stata diversa. E se qualche tempo dopo si arrivò al maxiprocesso contro le cosche, gran parte del merito fu suo. Anche se in tanti adesso non se lo ricordano». Poi, alla fine degli anni Sessanta, Cesare Terranova porta per la prima volta a processo i Corleonesi, anticipando di un ventennio le rivelazioni di Tommaso Buscetta sulla gestione piramidale di Cosa nostra.
volta a processo i Corleonesi, anticipando di un ventennio le rivelazioni di Tommaso Buscetta sulla gestione piramidale di Cosa nostra.
A Catanzaro prima e Bari poi, però, i boss vengono incredibilmente assolti: «All'epoca la mafia era letteralmente in ginocchio», spiega Pasquale Sci-
meca. «Dopo la strage di Ciaculli del ‘63 i capi erano finiti tutti in galera, cosi come i picciotti. La Cupola era stata sciolta, rischiava di scomparire l'intera Cosa nostra. Ma quelle sentenze restituirono forza e consenso ai padrini che, naturalmente, si vendicarono contro il giudice che li aveva quasi sconfitti».
COLPEVOLI DI NULLA
E fecero terra bruciata anche intorno a Luciano "Cianuzzu" Raia, il primo pentito della storia, che a Cesare Terranova aveva svelato tutti i segreti delle cosche. Lo fecero passare per un pedofilo, finì i suoi giorni in manicomio. Nel film di Scimeca è interpretato da uno strepitoso Marco Gambino. Per dieci anni Terranova e Mancuso avevano lavorato giorno e notte, in assoluta solitudine, per istruire un processo che avrebbe potuto cambiare il destino del Paese.
Eppure quei 64 mafiosi individuati dagli investigatori palermitani non furono riconosciuti colpevoli di nulla. Totò Rina fu condannato per una ridicola accusa di possesso di patente falsa, Bernardo Provenzano sparì letteralmente dalla circolazione e rimase latitante per più di 43 anni. «Chissà cosa sarebbe successo in Italia se il verdetto fosse stato diverso», si chiede Scimeca.
«Chissà quanti morti innocenti, quanto sangue, quante stragi si sarebbero potute evitare». A partire proprio dall'uccisione di Cesare Terranova, il modello al quale si sarebbero ispirati poi Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. E poliziotti come Boris Giuliano, Beppe Montana, Ninni Cassarà, Lillo Zucchetto, Natale
Mondo e Roberto Antiochia. Tutti uccisi dalle cosche.
«Terranova fu un grande investigatore, il primo ad aver capito che la mafia era un'organizzazione criminale unitaria che agiva di concerto con elementi della politica, dell'amministrazione pubblica e dell'economia. Un uomo capace di andare oltre i fatti per collegarli e farci comprendere cosi il disegno, mostruoso e tragico, che ha insanguinato la storia del nostro Paese» riprende Bolzoni.
In questo senso fu determinante l'esperienza politica da deputato tra il 1972 e pochi mesi prima della morte:
«La grande intuizione di Pio La Torre sul sequestro e la confisca dei beni ai mafiosi porta la sua firma», spiega il giornalista, «quando concluse il suo secondo mandato parlamentare rientrò a Palermo e fu designato come Consigliere istruttore.
SEGRETI INCONFESSABILI
Ecco dunque perché, la mattina del 25 settembre 1979, venne eliminato insieme a Mancuso. «Di quali inconfessabili segreti era venuto a conoscenza? A quali verità si stava avvicinando tanto da far tremare il Palazzo? Cosa c'entra con questa storia la strage di Portella della Ginestra, il peccato originale della Repubblica italiana, lì dove tutto è iniziato?
Abbiamo cercato di spiegarlo nel film», dice Scimeca. Grazie anche al
"contributo sentimentale" della scrittrice Nadia Terranova, che del magistrato è anche una lontana parente: «Cesare era cugino di mio nonno», racconta, «e io non l'ho mai potuto conoscere perché quando è stato assassinato avevo appena un anno. Ma ho capito chi fosse dai racconti dei miei genitori, degli zii, dei cugini. Una di loro l'ho incontrata a Roma durante la presentazione di un mio libro. Chiacchierando abbiamo scoperto questa lontana parentela. Mi ha messo in contatto con Pasquale Scimeca e sono stata subito coinvolta in un progetto che ritengo necessario. Perché la memoria di un magistrato così coraggioso non può svanire ed è fondamentale che anche i più giovani, quelli che magari non hanno mai sentito parlare di lui, sappiano quanto sia stato importante nella storia della nostra terra».
Un racconto, quello de Il giudice e il boss, visto attraverso gli occhi del giudice, originario di Petralia Sottana.
Che, come scriveva il suo grande amico Leonardo Sciascia, erano «gli occhi di un bambino. Cesare avrà sicuramente avuto i suoi momenti duri, implacabili, quei momenti che gli valsero la condanna a morte: ma i suoi occhi», concludeva lo scrittore di Racalmuto, «saranno stati a misura del suo stupore di fronte al delitto, di fronte al male, anche se quotidianamente vi si trovava di fronte...».
Lucio Luca
Il Venerdì, 20 settembre 2024
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