Viaggio nell’Isola di chi lotta contro l’emigrazione. A Caltabellotta il marketing territoriale di giovani e stranieri
di Gaetano Savatteri
CALTABELLOTTA. Questa è la terra degli ultimi: la roccaforte dove si raccolgono gli assediati, i partigiani, i militanti dell’estrema resistenza. A mille metri di altitudine, su un pizzo di roccia che guarda a sud il mare africano della costa agrigentina e a nord i monti Sicani, nell’antica Triocala prima pagana e poi cristiana, ribattezzata dagli arabi la «rocca delle querce», si sono sempre radunati quelli che non volevano arrendersi: gli schiavi ribelli incalzati dai centurioni romani, gli arabi inseguiti dai normanni di Ruggero II, gli angioini braccati dagli aragonesi che insieme qui firmarono, il 31 agosto 1302, la pace che mise fine ai Vespri Siciliani. Restano strade, piazze, chiese, cattedrali e palazzi che furono in passato moschee o templi, perché qui a Caltabellotta anche gli ultimi ebrei di Sicilia costruirono nel 1492 l’ultima sinagoga prima di esser cacciati via a forza dagli spagnoli.
Adesso, sembra la roccaforte di chi vuole resistere all’ineluttabilità della nuova emigrazione, strada segnata dell’esodo verso il nord, per un lavoro precario da corriere Amazon o una cattedra annuale da insegnante di sostegno, viaggi senza valigia di cartone ma con il biglietto di sola andata di una compagnia low cost «Da qui è passata la storia – dice Lillo Pumilia, ex sindaco di Caltabellotta e ora presidente della Fondazione Orestiadi – ma adesso la storia passa lontano da qui. Il benessere esclusivamente economico, rispetto a un passato povero che non rimpiango, però non basta più.Fino a trent’anni fa, tra nascite e morti c’era un saldo positivo. Chi emigrava in Germania, pensava che prima o poi sarebbe tornato. Adesso, ogni anno c’è un saldo negativo di venti persone. Chi va via non pensa di ritornare. Piazze, vicoli, case, circoli, sono deserti. Piccoli segnali ci sono, è vero, ma non riescono a invertire il dissanguamento demografico».
Nel silenzio della mattina di Caltabellotta, piena di sole che qualche gatto si gode disteso sugli scalini di pietra, risuona da una bottega aperta sulla strada l’eco di colpi di scalpello. Non è un artigiano, ma lo scultore Salvatore Rizzuti, già docente all’Accademia delle Belle Arti, che ogni estate torna da Palermo nel suo paese. «Qui si sta bene, l’aria è buona, è il posto che amo. Certo – dice – vedere le case sbarrate, le putìe chiuse fa impressione, rispetto ai ricordi della mia infanzia quando il paese brulicava di umanità, di gente che chiacchierava davanti alle porte di casa. D’estate il paese odorava di pomodoro, la salsa sulle tele ad asciugare al sole per preparare l’astratto, il concentrato di pomodori» . Rizzuti fino a 18 anni ha fatto il pastore e ha visto lo spopolamento delle campagne. «La gente andava in Germania o in Svizzera. Poi, si sono spopolati i paesi. I pochi giovani vanno via, alcuni si trasferiscono a Sciacca, sul mare, dove preferiscono abitare in un appartamento affacciato su un altro palazzo piuttosto che restare qui, nelle vecchie case affacciate sull’universo. Ma ormai viviamo una modernità senza identità. Invece questo paese è una ricchezza, un tesoro di bellezza e di storia. Ma vogliamo vivere qui come a Milano o a New York. E così non sappiamo più vivere da nessuna parte».
Con una popolazione dimezzata negli ultimi trent’anni, Caltabellotta con i suoi 3200 abitanti attuali paga lo stesso prezzo di molti centri dell’interno della Sicilia e delle aree appenniniche del sud. Una lenta e inesorabile desertificazione. «Una vera antropologia del vuoto che bisogna riempire di cose nuove», spiega Vito Teti, studioso dei fenomeni dello spopolamento e costruttore del concetto di “restanza”, cioè il diritto di restare nei propri luoghi. «È una linea di tendenza drammatica e non vedo impegni nazionali per cambiarla. Bisogna sostenere le giovani coppie, migliorando la rete scolastica e sanitaria perché chi ha un figlio o degli anziani in casa deve poter contare su una sanità efficiente. Ma le coppie vanno a fare i figli al nord, vicino ai luoghi di lavoro e portano con loro gli anziani, per offrire maggiore assistenza. Forse si potrebbe ripartire dalla cura del territorio: manutenzione di edifici pubblici, case, scuole, argini. Il sud è soggetto a frane e terremoti: mettere in sicurezza il patrimonio edilizio significa alimentare lavori utili e mobilitare maestranze. Altrimenti, senza un nuovo senso di comunità e senza servizi, chiediamo veri atti di eroismo a chi vuole rimanere».
Biagio Marciante guarda dall’alto i tetti del suo paese antico.
Ha 37 anni, la primavera scorsa è stato eletto sindaco ed è nato suo figlio.
Due buone ragioni per rimanere? «Non mi sono mai allontanato da qui, se non per studiare a Palermo. Vivo bene a Caltabellotta, in maniera felice. E ci credo, ci voglio credere», dice. Segretario della Camera del Lavoro, Marciante punta sulle iniziative culturali come il Pacefestival che raccoglie centinaia di persone per seguire dibattiti, concerti, spettacoli teatrali. Ma al di là del cartellone culturale, disegna il fronte di resistenza della roccaforte di Caltabellotta: «Alcuni giovani che hanno fatte esperienze fuori dalla Sicilia, stanno prendendo in mano attività di famiglia, aziende agricole, trasformano case private in B&B: ci sono oltre 150 posti letto. Giovani che hanno lavorato fuori, si rendono conto che tolte le spese di affitto e di trasporto, i guadagni al nord non bastano. Tornano tra la propria gente, per avere margini di guadagno più che sufficienti per vivere in una condizione sociale distesa e meno convulsa delle città settentrionali. Qualcuno ha approfittato dei finanziamenti del progetto nazionale Resto al Sud per aprire attività come pasticcerie o ristoranti. Altri hanno ricominciato a produrre olio, abbiamo censito 100 etichette familiari. Abbiamo portato la fibra ottica, adesso anche da qui si può svolgere il lavoro agile. Emigrare non è la strada obbligatoria. Ho già sposato giovani coppie che vogliono restare qui. Lo scorso anno, per la prima volta, abbiamo dovuto fissare dei criteri per l’accesso all’asilo nido perché c’erano più richieste dei posti disponibili. Buon segno, no?».
Una pizzeria che apre, una bottega che chiude, una casa in vendita, un appartamento acquistato da uno straniero. Sono segni da ascoltare come scricchiolii nelle travi del tetto per intuire pericoli o tendenze. A pochi chilometri da qui, a Cianciana, negli anni scorsi molti inglesi hanno comprato casolari e masserie, dopo che l’area era stata esplorata da un inglese di origini agrigentine. Dopo sono arrivati canadesi, polacchi, svedesi. Presto è stato coniato il termine Ciancianashire, per raccontare il fenomeno: duecento famiglie da Europa e America e perfino una celebrità come Emmanuele Bains,attrice neozelandese che una decina di anni fa aveva avuto successo fra i teen-agers con la serie televisiva The sleepover club. Anche lei tra gli stranieri – anche se ha origini ciancianesi – che hanno preso casa tra i monti Sicani, dove passa parte dell’anno con il compagno fotografo e il loro figlio di 4 anni. Eppure da qualche tempo cerca un’altra casa, più vicina alle scuole: non è facile percorrere una ventina di chilometri, d’inverno, col maltempo, per accompagnare un bambino a Ribera o a Sciacca.
«Le famiglie cambiano, nascono nuove esigenze. E i servizi fondamentali – strade, scuole, sanità, sono sempre più essenziali» , spiega Michele Ruvolo, operatore culturale e turistico, impegnato nel rilancio dei borghi siciliani con la Fondazione La Via dei Tesori. «Non esiste una ricetta per fermare lo spopolamento, ma la prima cosa è far conoscere le nostre realtà, come ad esempio facciamo a Caltabellotta con le iniziative del Presepe Vivente che mobilitano oltre 150 giovani, grazie ai quali possiamo tenere aperte al pubblico chiese o edifici storici. È un’iniziativa dal basso legata al periodo natalizio che serve a far conoscere il nostro paese, a far crescere lo spirito di coesione e serve come vetrina per innescare fenomeni positivi». Ruvolo racconta che quest’anno cinque famiglie residenti in Germania che erano state in vacanza nella zona di Caltabellotta, si sono messe insieme e hanno comprato un uliveto. Torneranno in autunno, per la raccolta e la produzione del loro olio che si porteranno in Germania. Un giovane di Caltabellotta che ha imparato a giocare a golf al Verdura Resort di Rocco Forte di Ribera, si è trasferito ad Abu Dhabi come istruttore e ha già indirizzato alcuni investitori stranieri interessati ad acquistare immobili in questa zona. «Sono piccole gocce – continua Ruvolo ma una dopo l’altra fanno tendenza e dimostrano che fuori da qui c’è un mondo affascinato dalla vita dei borghi siciliani, dalla sua semplicità, dalla sua identità. Servono canali e mezzi per far conoscere le nostre realtà: a Burgio, ad esempio, ci sono due fonderie di campane, le uniche esistenti a sud di Napoli. Molti turisti vengono a visitarle, e scoprono che a Burgio c’è un sontuoso museo delle ceramiche e il museo delle mummie. Insomma, l’offerta turistica è il volano per la conoscenza, e per costruirla occorre muoversi insieme, perché un piccolo paese da solo non può farcela. Tra coloro che vengono da queste parti per caso, alcuni ci tornano e qualcuno ci resta». Nella cattedrale arabo- normanna nella parte più alta del paese, isolata e splendida tra le nuvole, la ragazza che accompagna un gruppetto di visitatori per mostrare statue e altari, addita una figura scolpita nella parete di una cappella, un vecchio ricoperto di lunghissimi peli: «È sant’Onofrio Pilusu, miracoloso per ritrovare le cose perdute. Sant’Onofrio pilusu pilusu, lu me cori è tuttu cunfusu”. Bisognerà pregarlo a lungo per convincerlo a ritrovare i siciliani che si sono perduti per il mondo, lontani dalle loro case e dalle loro strade, lontani dalla Sicilia svuotata.
La Repubblica, 12 settembre 2024
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