sabato, novembre 28, 2020

“Da li tenebri a la luci e da Eva a Maria”, un poemetto sacro di Biagio Palazzo


di SANTO PRIVITERA

“Da li tenebri a la luci e da Eva a Maria” è un poemetto in lingua siciliana scritto nel 1916 da Biagio Palazzo originario di Corleone, in provincia di Palermo. Di lui, malgrado le ricerche compiute negli archivi e nelle biblioteche oltre che nelle riviste storiche del luogo, non si hanno che poche scarne notizie. Rinvenuta in una biblioteca privata, l’opera è stata adeguatamente analizzata prima di farne una ristampa anastatica curata dal prof. Giovanni Perrino per i tipi della “Palladium” edizioni. Perino, scrittore e storico palermitano da tempo residente a Mantova, ha offerto un quadro analitico completo che rende merito al componimento nella sua totalità. L’esiguità delle notizie biografiche riferibili all’autore, ha costretto lo studioso palermitano a ricostruire pazientemente e con sufficiente precisione il contesto nel quale è maturata l’opera e il pubblico destinatario. U “Puemettu sacru” è composto da una breve introduzione dell’autore rivolta al lettore, e da XV canti in quartine rimate che compendiano i Misteri del Santo Rosario (Gaudiosi, Dolorosi e Gloriosi).

Seguendo lo schema del “Cuntu”, narra attraverso accattivanti allegorie, della creazione del mondo e la vita di Gesù Cristo. Quasi un affresco letterario che a seguito delle similitudini con le artistiche scene bibliche riportate nei mosaici del Duomo di

 Monreale, meriterebbe uno studio a parte. Il livello culturale dell’opera è elevato. Biagio Palazzo, oltre che un fervente religioso dovette essere uno studioso di Teologia e profondo conoscitore delle Sacre scritture. Dietro il linguaggio popolare con cui si espresse, si cela la figura di un intellettuale colto e raffinato. Alla base della scelta linguistica non vi è soltanto l’esaltazione della lingua siciliana in quanto tale, ma ragioni di mera opportunità. Consapevole della necessità di una nuova evangelizzazione nel pieno del primo conflitto mondiale che già si preannunciava devastante, l’intento del Palazzo sarebbe stato proprio quello di divulgare in modo capillare e incisivo la parola di Dio. Il rapporto con il lettore si rafforza nel dialetto, in particolare modo quando questo è espresso in una forma comprensibile. Questo concetto dovette essergli ben chiaro. Perciò per parlare in modo più immediato e diretto al cuore, quale migliore veicolo da usare se non quello della Lingua madre? 

 

Pubblicato su La Sicilia del 17.11.2020 

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