domenica, novembre 01, 2020

Breve guida alle elezioni americane in attesa del 3 novembre

Trumph e Biden

di
Atlante USA 2020

Siamo a un passo dal voto del 3 novembre e, nella notte elettorale, potremmo non sapere subito chi sarà il presidente. Quanti numeri avete ascoltato e letto su queste elezioni? E quante volte si è fatto il paragone con le elezioni del 2016? Di seguito cerchiamo di fornire una guida breve al 2020. Chi ha votato cosa nelle ultime due elezioni? Negli Stati, nei diversi tipi di insediamento (città, aree rurali, suburbia), nei diversi gruppi e fasce d’età. Come diverge l’elettorato attivo dalla popolazione nel suo complesso? E a che punto sono i sondaggi negli Stati decisivi? Infine (e cominciamo da qui), non si vota solo per il presidente, ma anche per Camera, Senato, alcuni governatori e molti referendum a livello statale.

 

Il rinnovo del Congresso

Per governare davvero, al presidente serve la maggioranza nei due rami del Congresso. I democratici dovrebbero mantenerla alla Camera e puntano a quella del Senato. Arizona, Maine, Iowa, Colorado, Michigan, Georgia (1 e 2) sono gli Stati da seguire. Alcuni coincidono con gli Swing States che saranno determinanti per la vittoria finale. I repubblicani sperano di difendere alcuni di questi seggi e conquistare il seggio dell’Alabama dove, l’ultima volta, vinse a sorpresa un democratico. Nei grafici un quadro della situazione e un paragone tra la composizione del Congresso uscente e quella della società americana.

 

 

Il voto negli Swing States

Come noto l’elezione del presidente USA avviene in modo indiretto: ciascuno Stato elegge un numero di grandi elettori (Electoral College) proporzionato alla popolazione residente ‒ gli Stati più popolosi contano di più, ma in realtà quelli piccoli sono sovrarappresentati: per fare un esempio, in California si elegge 1 grande elettore ogni 718 mila abitanti, in Wyoming 1 ogni 192 mila ‒ e sono poi questi a nominare il presidente. Tranne nei piccoli Maine e Nebraska, il sistema di voto è un maggioritario secco, chi vince lo Stato si aggiudica tutti i grandi elettori. Per diventare presidente, un candidato deve ottenere 270 voti e siccome in molti Stati il risultato è scontato (l’Alabama voterà repubblicano, New York democratico), la campagna elettorale si concentra in pochi Stati (nel 2020 il numero degli Swing States è cresciuto). Nel grafico i risultati del 2016 e del voto di mezzo termine del 2018 e, infine, le medie dei sondaggi ponderati aggiornati a venerdì 30 ottobre. Biden è in vantaggio in quasi tutti gli Swing States, ma a volte il suo vantaggio è inferiore al margine di errore dei sondaggi.

 

Come si compone l’elettorato e chi vota chi?

Sulle elezioni del 3 novembre abbiamo una quasi certezza, il voto popolare premierà i democratici: raccolgono più consensi nelle aree urbane e negli Stati più popolosi – fatta eccezione per il Texas, e a corrente alternata in Florida. Nel grafico qui sotto la distribuzione del voto per tipologia di territorio nel 2016: come si nota il terreno davvero conteso è quello della suburbia, dove vive più di un terzo degli americani. Gli elettori che vivono in queste aree erano bianchi al 76% nel 2000; nel 2018 rappresentavano il 68%.

 

Le differenze tra consenso ai democratici e ai repubblicani sono anche generazionali ed etniche. Partiamo dalle classi di età: come si evince dal grafico qui sotto, i giovani votano più frequentemente democratico, mentre sopra i 50 anni la maggioranza percentuale vota repubblicano. I giovani dai 18 ai 29 anni, però, rappresentano il 17% degli elettori registrati, contro il 24% degli over 65 (nel 1996 c’erano solo tre punti percentuali di differenza). Il divario tra i partiti nelle classi di età più avanzate è minore rispetto a quello tra i giovani, ma questi ultimi votano meno e, quindi, pesano meno sul risultato finale. Nelle elezioni di metà mandato del 2018 i giovani hanno però partecipato in numeri senza precedenti, contribuendo non poco a un risultato straordinario per i democratici (nel 2014 aveva votato, alle altre elezioni di metà mandato, solo il 18% di loro; nel 2018 la partecipazione è praticamente raddoppiata). I segnali relativi al voto in anticipo di queste settimane indicano che anche il 2020 potrebbe rivelarsi un anno in cui gli under 30 votano più del solito. Staremo a vedere.

 

L’altra differenza negli elettorati riguarda l’etnia (o la “razza”, come si dice nel censimento americano): i bianchi tendono a votare di più repubblicano, mentre gli appartenenti alle minoranze più democratico. Le differenze esistono anche tra i sessi. Nella tabella qui sotto il voto dei diversi gruppi e quello di donne e uomini. Molti analisti indicano nelle donne della suburbia la categoria più importante per il 2020: quante di queste elettrici che scelsero Trump nel 2016 ‒ o non si recarono al voto ‒ cambieranno la propria preferenza?

 

Quanti votano?

I consensi per i democratici tra le minoranze aiutano a spiegare come mai i governatori repubblicani adottino spesso degli strumenti per scoraggiare il voto degli afroamericani in particolar modo (ne parliamo in questo podcast). Neri e soprattutto ispanici e asiatici votano poco, ma, come i giovani, nel 2018 hanno votato in numeri piuttosto alti. Alle elezioni di mezzo termine la partecipazione è molto più bassa che alle presidenziali, ma due anni fa gli ispanici si sono recati alle urne in un numero paragonabile a quello di elezioni presidenziali. Una crescita simile nel 2020 potrebbe spostare l’esito del voto in diversi Stati, Arizona e Florida in testa. Nelle due grafiche in basso la partecipazione al voto dei vari gruppi etnici dalle elezioni del 2008 al 2018 e il peso di ciascun gruppo e di ciascuna classe di età nella società e nell’elettorato.

 

La minoranza bianca

Da anni si dice che il voto bianco sia una reazione al cambiamento demografico in atto. I bianchi sentono di non essere più la forza dominante e nei prossimi anni sono destinati a divenire una minoranza: è previsto per il 2040 circa che gli Stati Uniti divengano un Paese Majority/Minority, dove i bianchi saranno semplicemente la minoranza più grande. In queste elezioni l’orientamento di voto dei bianchi è fortemente condizionato dalla variabile dell’istruzione, come e probabilmente più che nel 2016. I bianchi che non posseggono una laurea sono quasi il 50% dell’elettorato complessivo: nel 2016, hanno votato al 64% per Donald Trump. Interessante notare che il voto bianco per Trump cresce ‒ meno fra le donne ‒ anche fra i redditi più alti. Una sorta di alleanza fra bianchi molto benestanti e bianchi con titoli di studio più bassi.

 

 Nel grafico la composizione della società americana per come era e per come è oggi.

 

Gig economy, tasse e marijuana: i referendum statali

Infine, lo abbiamo detto all’inizio di questa scheda, il 3 novembre si vota anche per molte proposition, i referendum statali. Si tratta di strumenti importanti che spesso aprono la strada a scelte che nel tempo divengono federali. Le grandi discussioni sul voto per posta e in anticipo hanno determinato il fiorire di proposte per rendere più facile il voto. Ci sono poi referendum sulle tasse che mirano a rendere i sistemi fiscali locali più equi: in Arizona, California e Illinois, per esempio. Il referendum più importante si tiene in California e riguarda la Gig economy. Una legge statale estende ai fattorini e agli autisti Uber e Lyft alcune tutele che normalmente riguardano solo i lavoratori dipendenti: le corporation della Gig economy hanno promosso e massicciamente finanziato il referendum per abrogarla. Si tratta dunque di una battaglia simbolica importante.

 

Quanto pesa il voto in anticipo?

Concludiamo questa breve guida piena di numeri ricordando che, mentre scriviamo, i dati sul voto in anticipo e per posta indicano che assisteremo a un possibile record di affluenza alle urne – hanno già votato quasi 80 milioni di persone. Questa partecipazione alta non è, come si potrebbe credere, un’indicazione di vantaggio democratico. Negli USA per votare è necessario registrarsi al voto e lo si può fare dichiarando la propria appartenenza a un partito o dichiarandosi “indipendente”, ma l’appartenenza all’atto della registrazione non implica fedeltà a un partito e il numero di indipendenti è costantemente cresciuto negli anni. Mentre scriviamo il numero di elettori registrati come democratici che ha votato è più alto, ma non negli Stati chiave. Osservare il dato sull’affluenza alle urne il 3 novembre sarà dunque altrettanto importante.

 

Infine: quando sapremo qualcosa?

Proprio l’alto numero di voti in anticipo e a distanza, che possono arrivare anche alcuni giorni dopo il 3 novembre, rende difficile dare una risposta a questa domanda. Dalle urne potrebbe emergere un dato favorevole a Trump e nonostante questo Biden potrebbe vincere le elezioni. Se in alcuni Stati, ad esempio la Florida, Biden risulterà in vantaggio già nella notte elettorale, è probabile che sia lui ad emergere come vincitore. Naturalmente nella notte elettorale avremo gli exit poll, ma se Pennsylvania, Florida e Ohio fossero dentro il margine di errore per un candidato o per l’altro, allora occorrerà aspettare.

 

30 ottobre 2020

 

www.treccani.it/magazine/atlante/geopolitica/Breve_guida_alle_elezioni_americane.html

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