venerdì, gennaio 06, 2017

Il fallimento della Calcestruzzi Belice è anche il fallimento della lotta alla mafia

La sede della Calcestruzzi Belice a Montevago (Ag)
di MATTEO SCIRÈ 
Incredibilmente dichiarata fallita per un semplice debito di trentamila euro un'azienda che ha un volume d’affari superiore al milione e duecentomila euro l’anno. Licenziamenti per gli indici dipendenti
Anche il sogno della Calcestruzzi Belice Srl di Montevago (Agrigento) sembra infrangersi contro il muro delle difficoltà con cui si scontrano la maggior parte delle aziende confiscate una volta che vengono sottratte ai boss. La società, un tempo di proprietà dell’imprenditore di Partanna Rosario Cascio, condannato per associazione mafiosa, è stata rilanciata dallo Stato sotto il segno della legalità e dello sviluppo. Tuttora è gestita dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. Ma lo scorso 29 dicembre il tribunale di Sciacca l’ha dichiarata fallita. I giudici hanno accolto l’istanza dell’Eni Spa creditrice di circa 30 mila euro. Al provvedimento ha fatto seguito la comunicazione del preavviso di licenziamento per gli 11 dipendenti.

Un sconfitta bruciante non solo dal punto di vista imprenditoriale, ma anche culturale. Perché a fallire non è soltanto l’azienda, ma la stessa lotta alla mafia. Il messaggio che rischia di passare è quello secondo cui lo Stato, al contrario della criminalità organizzata, non riesce a garantire il lavoro. Anche perchè la società ha un buon fatturato, che supera il milione di euro.
“La Calcestruzzi Belice – spiega il sindaco di Montevago Margherita La Rocca Ruvolo  è un’azienda sana, che ha un volume d’affari superiore al milione e duecentomila euro l’anno, non è possibile che l’agenzia per i beni confiscati non trovi una soluzione, lasciando undici padri di famiglia in mezzo la strada”.
“Un provvedimento assurdo”, aggiunge il sindacalista Vito Baglio, segretario provinciale della Fillea Cgil, per il quale “la lotta alla mafia si fa incrementando i posti lavoro, non togliendo il lavoro a chi ce l’ha”.
La notizie è stata diffusa ieri nel giorno in cui la segretaria della Cgil, Susanna Camusso, si trovava a Sciacca per commemorare il 70esimo anniversario dell’omicidio del sindacalista Accursio Miraglia. La leader del sindacato ha incontrato una delegazione della Calcestruzzi Belice di Montevago. “Parleremo con l’agenzia nazionale – ha detto – che amministra i beni sequestrati alla criminalità, affinché riveda questa assurda decisione”.
Contro la decisione del Tribunale di Sciacca “l’Agenzia nazionale per i beni confiscati ha proposto reclamo davanti alla corte d’Appello, che verrà esaminato il 2 febbraio. Nel frattempo, visto che l’attività di estrazione è boccata, abbiamo dato autorizzazione a continuare a vendere il materiale”. A dirlo è il direttore dell’Agenzia, Umberto Postiglione.
“Le caratteristiche di questo fallimento sono singolari – commenta Postiglione – tutto il debito per il quale la magistratura ha stabilito che l’azienda va fallita è di 30 mila euro, debito che la Calcestruzzi prima del sequestro aveva nei confronti dell’Eni, la quale si è sottoposta a verifica dei crediti. Il credito è molto modesto per mandare a gambe all’aria una struttura”.
“Nel settore delle costruzioni la mafia ha buon gioco – dice Postiglione – e non c’è mercato; più facile è invece rimettere in sesto gli alberghi, con alcuni dei quali abbiamo ottenuto grandi risultati fino a migliorarne qualità, fatturati e numero di ospiti. Il settore delle costruzioni è più delicato, vede purtroppo concentrati molti investimenti dei mafiosi”.
Per il deputato del Pd Davide Mattiello, relatore alla Camera della riforma del Codice Antimafia, il problema è strutturale e la soluzione risiede in Parlamento: “se il nuovo Codice Antimafia fosse stato legge, questa assurdità non sarebbe stata possibile, invece il testo è fermo in Senato dal Novembre del 2015″.
“Questa vicenda – spiega Mattiello – va chiarita: perché una azienda confiscata da anni, era ancora direttamente amministrata dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati? Cosa ha fatto l’Agenzia per ricollocare sul mercato questa azienda, tutelando i livelli occupazionali? Come è possibile che l’ENI abbia chiesto il fallimento di questa azienda per avere soddisfazione di un credito di 30 mila euro? In altre parole: un pezzo dello Stato avrebbe chiesto (e ottenuto!) il fallimento di un altro pezzo di Stato per 30 mila euro senza tenere in alcun conto né il devastante valore simbolico né il devastante valore occupazionale di una simile scelta. Fino a che la confisca di una azienda capace di stare nel mercato si trasformerà in disoccupazione e fallimento, lo Stato non chiuderà la partita contro la mafia”, conclude il deputato Dem.
Nell’attesa che il Parlamento si decida a varare la riforma e che la giustizia faccia il suo corso la mafia brinda. E’ questo l’inizio d’anno peggiore che i lavoratori della Calcestruzzi Belice e la società civile impegnata nella lotta alla criminalità si potevano aspettare.

Dal blog evonomico siciliano: Secolo Ventuno, 5/1/2017


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