lunedì, luglio 13, 2020

“Parentopoli” a Roccamena, oppure opposizione politica con fake news?

Il municipio di Roccamena
DINO PATERNOSTRO 
Per tanti giorni, gli articoli sul web, hanno presentato il caso di Roccamena come quello di una “vedova con figlio disoccupato che chiede aiuto e il Sindaco la denuncia per calunnia”. La signora in questione è Dorotea Pirrone, il figlio Vincenzo Miceli. Una vicenda assurda, incredibile, come quelle che solo in Sicilia possono accadere. Una vicenda cavalcata dalla Lega
di Salvini, sbarcata a Roccamena, che con l’on. Alessandro Pagano ha presentato un’interrogazione parlamentare.
“La signora esasperata – ha scritto il deputato siculo-leghista – ha denunciato che all’interno dello Sprar venivano assunti soltanto parenti degli allora amministratori comunali, assessori e consiglieri, oltreché la moglie dell’ex comandante della stazione locale dei Carabinieri, chiedendo chiarimenti alle autorità locali di pubblica sicurezza sui criteri di assunzione in questo Sprar e segnalando alle istituzioni la situazione del figlio perché potessero dare qualche sostegno”. Un vero e proprio caso di “parentopoli”, che – secondo la Lega - ha coinvolto l’intera amministrazione comunale e la maggioranza consiliare che la sosteneva.

Ma vediamo cosa è accaduto a Roccamena, facendoci aiutare dai documenti che illustrano l’intera storia. Con una premessa per i lettori. Parliamo di una vicenda che è cominciata nel 2018, quando sindaco di Roccamena era il quarantenne Tommaso Ciaccio, di estrazione Pd. Oggi sindaco di Roccamena è Pippo Palmeri, mentre Ciaccio è presidente del consiglio comunale.
Proprio il 15 giugno 2018  Vincenzo Miceli, 24 anni, figlio della signora Dorotea Pirrone, scrisse al sindaco di Roccamena e al responsabile della cooperativa “La mano di Francesco”, che gestisce lo SPRAR, accogliendo circa 30 ragazze immigrate, per chiedere di essere assunto come mediatore interculturale, essendo in possesso della relativa qualifica, conseguita in un corso professionale della Regione siciliana. Sette giorni dopo, il 22 giugno, la mamma del Miceli, Dorotea Pirrone, scriveva una lettera al Prefetto di Palermo, per metterla a conoscenza che nel centro di accoglienza di Roccamena “chi lavora … sono tutti amici e parenti dell’amministrazione comunale guidata dal sindaco Tommaso Ciaccio”. La signora aggiungeva di trovarsi in una situazione economica difficile con un figlio disoccupato e chiedeva “trasparenza e i criteri di assunzione della cooperativa”.
Tommaso Ciaccio
Il 9 luglio 2018 il Prefetto di Palermo girava la lettera della signora Pirrone al sindaco di Roccamena “per le eventuali iniziative di competenza”. A quanto pare, prima della lettera un contatto tra la Pirrone e il comune di Roccamena c’era stato. Con la prima a chiedere un posto di lavoro per sé o per il figlio e col secondo che indicava la strada dell’istanza da presentare alla cooperativa. Formalmente, infatti, le assunzioni non le faceva il comune ma la cooperativa. “Ed io come sindaco – spiega Tommaso Ciaccio – non potevo chiedere l’assunzione di un singolo cittadino a scapito di altri”. “Ma, appena mi è arrivata la lettera della signora, giratami dalla prefettura, non ho avuto altra alternativa della querela-denuncia contro la signora, che mi accusava che nel centro di accoglienza di Roccamena “chi lavora … sono tutti amici e parenti dell’amministrazione comunale guidata dal sindaco Tommaso Ciaccio”. E l’ho fatto per il semplice motivo che nessuno si deve permettere di giocare con la mia serietà e la mia onorabilità. Nessun mio parente lavora in questo centro!”.
Lo scorso 3 febbraio il sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, Felice De Benedittis, ha chiesto al giudice per le indagini preliminari di disporre l’archiviazione della querela-denuncia di Ciaccio, perché “il fatto costitutivo della fattispecie criminosa risulta di particolare tenuità e che, pertanto, deve escludersi la punibilità”. Ma la richiesta di archiviazione, negli ambienti all’apposizione dell’amministrazione comunale di Roccamena, è stata presentata tramite i social come la prova provata della “parentopoli” in salsa roccamenese”. In effetti, invece, si tratta di una richiesta di archiviazione della denuncia dell’allora sindaco. L’eventuale “parentopoli” – sicuramente riprovevole sul piano etico e politico e punibile penalmente nel caso di “scambi” vietati dalla legge – dovrebbe essere dimostrata, indicando i nomi e i cognomi degli assunti al centro di accoglienza e gli eventuali rapporti di parentela/affinità degli stessi con gli amministratori. Ma questi nomi (per la privacy?) non è possibile averli. Nessuno li tira fuori, nemmeno gli oppositori, che vogliono essere creduti sulla parola. Abbiamo solo la dichiarazione dell’ex sindaco Ciaccio, che esclude nel modo più assoluto l’assunzione di suoi parenti.
Pare che adesso sull’intera vicenda stia indagando la magistratura col supporto della polizia. Sarà questa indagine a dirci se effettivamente a Roccamena c’è stato un caso di “parentopoli”, oppure un’opposizione politica condotta con metodi scorretti, fino ad arrivare all’uso delle fake news. (dp)

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