venerdì, febbraio 14, 2014

Riduzione in schiavitù e tratta. Dati preoccupanti

di Piero Innocenti

Parlare, ancora oggi, in Italia, di persone ridotte in schiavitù (o mantenute in stato di servitù) e di tratta di esseri umani, può sembrare un argomento irreale, fuori dal tempo. Invece, nonostante le innumerevoli norme contenute in convenzioni internazionali, trattati, accordi, solenni dichiarazioni che vietano e condannano queste condotte, le statistiche ci indicano la triste realtà di persone ridotte in una condizione simile a quella di una “cosa” posseduta da altri. Sia chiaro, è un fenomeno disgustoso che in diversi paesi nel mondo assume anche dimensioni drammatiche come emerge dai consueti rapporti annuali dell’Unodc (quello relativo al 2013 è in fase di elaborazione) e, per ultimo (ottobre 2013) dalla Ong australiana “Walk free” secondo cui circa trenta milioni di persone si trovano in condizioni di schiavitù.
Ma anche nel nostro Paese i dati statistici nazionali devono indurre a serie riflessioni.  Solo nel 2013, le forze di polizia hanno segnalato alla magistratura (dati non ancora definitivi a febbraio 2014) 228 persone per il delitto di riduzione in schiavitù (art.600 del C.P.) e 72 per quello di tratta (art.601). Per entrambi questi delitti, la Campania è in testa alla graduatoria nazionale, rispettivamente, con 43 e 33 persone denunciate, seguita dalla Lombardia con 31 e 9. Il Veneto ha registrato 16 persone denunciate per riduzione in schiavitù e nessuna per la tratta. Molise e Marche sono risultate le uniche due regioni “indenni” da queste due ipotesi delittuose. Che il fenomeno criminale sia oggetto di attenzione investigativa lo si può dedurre anche dai dati relativi al quadriennio 2009/2012 (fonte: Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Roma): ben 1.279 le persone di varie nazionalità denunciate complessivamente per la violazione dell’art.600 e 423 per la tratta. Occorrerà, poi, vedere, come vanno i processi. Sta di fatto che, nel 2012 sarebbero state 32 le condanne per tratta e solo una nel 2013 secondo quanto riportato nella relazione allegata al testo del decreto legislativo che deve ratificare la direttiva 2011/36/UE sulla tratta. In molti, me compreso, si auspicano che un sistema normativo nazionale così migliorato possa comportare uno slancio nella prevenzione e nella repressione degli episodi di criminalità in questione. Tuttavia, non si può non ricordare, con delusione, come su questi fenomeni, da oltre un secolo, si siano firmati accordi, fatte convenzioni internazionali, rilasciate solenni dichiarazioni con risultati davvero modesti. A partire, si badi bene, dal 18 maggio 1904 (110 anni fa!) quando fu deciso di  “garantire” una protezione efficace contro il traffico criminale conosciuto sotto il nome di tratta delle bianche. Si sono succedute le due convenzioni di Ginevra e Berna (1921 e 1923), quelle dell’Onu (1949 e 1950), il protocollo della convenzione di Palermo (2000), e una serie di dichiarazioni, direttive e risoluzioni dell’UE (dal 2002 al 2010). Lo “strabismo” dei vari Governi italiani sul tema era già stato oggetto di una “nota di biasimo” (giugno 2011) da un cartello di ben 83 associazioni e Ong in ambito europeo. Quello che manca(va) è la presenza di un’autorità transnazionale in grado di far rispettare le tante sollecitazioni e regole in tema di tratta delle persone e protezione delle vittime. L’Unchr è sicuramente un’importante agenzia dell’Onu ma non ha veri e propri poteri esecutivi ed è sostenuta finanziariamente da pochi paesi “donatori volontari” che, per giunta, hanno mostrato evidenti segni di stanchezza nelle donazioni.
Un’autorità politica europea (anche mondiale) dovrebbe poter assicurare alcune funzioni essenziali ( in questo senso le indicazioni espresse in più circostanze del Professore Stefano Zamagni, Ordinario di Economia Politica presso l’Università di Bologna), tra cui quella di realizzare un quadro statistico-informativo credibile sul fenomeno delle migrazioni per consentire serie e coerenti politiche di interventi ed evitare, così, speculazioni politiche che servono solo a creare paura tra la gente e di far adottare politiche migratorie omogenee e coerenti in una stessa  regione geografica ponendosi come arbitro in caso di controversie.
Suggerimenti, dunque, interessanti e razionali che, però, trovano resistenze in alcuni partiti e movimenti politici, anche in ambito Unione Europea, perché, su questi temi, c’è il rischio serio di perdere consenso elettorale. E nessuno, allo stato, con l’aria che tira e con le elezioni europee alle porte, vuole il suicidio politico.

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