lunedì, novembre 12, 2018

Intervista a Giuseppina Paterniti. "Da Bruxelles alla guida del Tg 3. La mia Sicilia è nostalgia e punto di riferimento"

Giuseppina Paterniti

DANIELE IENNA
Succeduta a Luca Mazzà, adesso dirige il Tg3. Siciliana ed europeista, Giuseppina Paterniti ha ricevuto la nomina dall’amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini nell’ambito dei nuovi assetti.
Direttrice, a chi dedica il suo nuovo incarico?
«Ai miei telespettatori, perché saranno loro la nostra barra. Sono loro che hanno diritto ad avere una informazione completa. Non possiamo venire meno a questo dovere. Dobbiamo garantire un giornalismo indipendente e corretto, perché sappiamo, e ne siamo consapevoli, che noi cronisti siamo i cani da guardia della democrazia. Senza il nostro dovere compiuto fino in fondo, la democrazia non si regge».
Qual è il suo legame con la Sicilia?

«Faccio le vacanze a Capo d’Orlando, le mie radici sono qui. Torno spesso a casa. Lì ho mia mamma, mia sorella, le zie e pure molti amici. Noi i siciliani, che abitiamo fuori, sentiamo molto forte questo senso dell’Isola. Le radici sono profonde. Io sono un po’ "marina": la prima cosa che faccio a Capo d’Orlando è andare sul lungomare e guardare le isole Eolie che ho davanti. Mi ritorna in mente un fatto: quando ero a Bruxelles, ho incontrato un signore molto anziano in metropolitana. Abbiamo cominciato a chiacchierare e abbiamo capito di essere entrambi siciliani. Quel signore mi ha confidato: "Da una vita sono qui. Mi hanno detto che mi sarei abituato, ma come facciamo noi ‘agrumi’ ad abituarci al clima del Belgio?».
A proposito, dal 2008 al 2015 è stata corrispondente da Bruxelles. Cosa conserva di quell’esperienza?
«Dal punto di vista professionale, è stato un periodo che mi ha consentito di aprire gli orizzonti e comprendere quello che accade a livello di politica estera. A Bruxelles non ci sono solo i rappresentanti dell’UE, ma tutte le parti del mondo che guardano quello che accade in Europa. Assistere e studiare con attenzione i processi di integrazione dell’Unione è molto interessante. Mi ha aiutato a capire tanto dell’anima dei popoli, dei Paesi. Se noi giornalisti raccontassimo soltanto le posizioni politiche, riusciremmo a capire forse poco di quello che si muove all’interno di un paese, come la sua cultura, le sue capacità di innovazione».
Oggi l’Europa, anche a causa della Brexit, sembra vivere una crisi di identità. Quale sarà il suo futuro?
«Voglio fare una premessa: se questa domanda la facesse a un giovane, le risponderebbe subito che non si torna indietro. Perché i giovani sentono questa identità europea: girano per l’Europa, avendo tutti i vantaggi di circolare e di studiare senza passaporti da uno Stato all’altro.Tutto questo con una moneta unica. Questo è il mondo lanciato verso il futuro. Probabilmente, i giovani hanno tutta la forza di guardare al futuro molto più di quanto non la abbiano i più ‘anziani’, che oggi cominciano a diventare la maggioranza nell’Unione Europea, e che guardano alla conservazione. E’ come se avessero paura di quello che può accadere. Il confronto più alto sarà fra chi ha l’energia e la forza di guardare al futuro e chi, invece, preferisce intanarsi nella paura. Questo è il vero problema che si porrà durante il periodo elettorale verso le elezioni europee».
Come viene vista la Sicilia dalle istituzioni dell’Ue?
«La Sicilia è apprezzata per il suo incredibile patrimonio culturale. Grazie a questo, la nostra regione sta vivendo uno sviluppo turistico. Questa è la grande carta di identità del nostro territorio. Dal punto di vista più pratico dobbiamo, però, chiederci, e dobbiamo innanzitutto chiederlo a noi stessi prima che ce lo chiedano gli altri, come mai non riusciamo a spendere tutti i fondi europei, come mai non siamo in grado di fare i progetti per ottenere i finanziamenti europei. Siccome siamo intelligenti e di cultura, la domanda è: perché non lo facciamo? Ci sono molti interrogativi. Allora, forse tocca a noi rimboccarci le maniche».
Con Palermo che rapporto ha?
«E’ il centro della cultura sicula. Ho un legame fortissimo con li capoluogo. Adesso, poi, è capitale italiana della cultura. E’ tornata a essere davvero una gran bella città: ha fatto grossi passi avanti nella ristrutturazione globale del centro storico. E’ straordinario poterla percorrere nelle sue strade, nei suoi vicoli. E’ una città che ti prende il cuore. In questi ultimi tre anni, in cui sono stata vicedirettrice della Tgr Rai, ho avuto anche rapporti stretti con la redazione di viale Strasburgo, dove spesso sono andata a lavorare con i colleghi».
Aneddoti professionali legati alla Sicilia?
«La prima parte del mio lavoro al Tg3 cominciò proprio in Sicilia. Seguivo una rubrica che, all’epoca, si chiamava ‘Insieme’. E ho seguito tutta la cronaca antimafia, prima e subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio. Ho, quindi, conosciuto il coraggio di sindaci e semplici cittadini. Sono stata al loro fianco, ricordo bene i loro volti e le loro lunghe battaglie. Volti di persone che hanno combattuto e che, spesso, sono state lasciate sole. Ricordo, per esempio, di essere stata parecchio sul posto di in un bene confiscato, una cava, che però continuava a essere usata dai mafiosi. Per quel mio lavoro, sono stata inseguita, mi avevano pure telefonato. Ho avuto dalla mia parte un giornale e ho incontrato tanti colleghi bravi con cui mi confrontavo. Ma sono cose che appartengono alla cronaca piccola, perché molti colleghi, all’epoca e anche oggi, sono più esposti di me».
Il giornalismo siciliano è stato segnato da numerose vittime della mafia. Da nativa di questa terra, cosa prova al riguardo?
«E’ davvero terribile che ci siano stati tutti questi morti. Adesso si dice che la mafia è stata quasi sconfitta perché non uccide. Credo, invece, che bisogna stringere sempre i denti. Su questo non si deve assolutamente abbassare la guardia. Tutte le morti e le stragi ci hanno insegnato molto e ci hanno ferito nel profondo. Non si deve mai chiudere con la memoria.
Bisogna sempre sostenere chi, oggi, è in prima linea e continua, anche nel silenzio, a fare la battaglia contro la mafia. E io spero che l’informazione li continui a sostenere. In questo caso, sì, un’informazione ‘partigiana’, dalla parte di chi lotta la mafia».
La Repubblica Palermo, 11 nov 2018

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