venerdì, marzo 25, 2016

Il Venerdì Santo a Corleone

Il nuovo giorno, un lungo giorno, incombe su Corleone denso di foschi presagi.
Dalle 7, ogni quarto d’ora, il silenzio è interrotto dal rombo provocato dallo scoppio di un mortaretto che viene sparato dalla casa detta ‘ri maschi’, che si trova su una rocca in alto, a perpendicolo sul Calvario: è il cosiddetto “sparo del quarto”. 
Il sole è già alto quando sul sagrato della Matrice giungono i confrati. Quando varcano la soglia del portone laterale, in chiesa tutto è già pronto per la solenne liturgia “In Passione Domini”. Con la celebrazione liturgica della Passione la Chiesa intera rivive, nella fede, la morte del Cristo suo Signore; è il silenzio che domina, misto ad un senso di vuoto: la prostrazione silenziosa dei sacerdoti celebranti esprime il silenzio dell’uomo davanti al mistero di un Dio che muore per amore. La lettura, a voci alterne, del cosiddetto ‘Passio’ è toccante e coinvolge i cuori. La chiesa è gremita di fedeli. Tutti si alzano quando dal fondo della navata appaiono i sacerdoti che conducono il simulacro del Cristo coperto da un panno viola. Piano piano, l’effigie del Cristo in Croce viene liberata dal panno che la occulta.


Sacerdoti, confrati e fedeli si prostrano baciando i piedi del Crocifisso ‘della Catena’, accompagnati da canti penitenziali e inni alla Croce.
La funzione liturgica si avvia alla conclusione. In un ampio locale adiacente l’abside, il corpo del Cristo è adagiato sul lenzuolo che, tra poco, lo sosterrà nella salita al Calvario.
Intanto, i confrati si avviano disponendosi su due file.
Alcuni colpi di mortaretto accolgono il corpo del Cristo all’uscita dalla Chiesa.
Le tristi note della banda accompagnano l’inizio della toccante processione al Calvario. Il simulacro del Cristo, adagiato su un lenzuolo bianco, viene condotto verso il luogo della crocifissione dai sacerdoti.
Alla mesta processione partecipano i numerosi membri delle confraternite ‘Bianche’, istituzioni laiche la cui presenza a Corleone è documentata già nel XIII secolo, ma riconosciute dalla Chiesa solo due secoli più tardi). Il loro nome deriva dal colore del cosiddetto “cammìsu”, il lungo camice di lino indossato dai “fratelli”, che hanno il capo coperto da un cappuccio la cui estremità superiore è pieghettata a ventaglio. Il diverso colore della mantella distingue le confraternite (ognuna delle quali ha un compito ben preciso nei riti della Settimana Santa corleonese) e serve anche a creare uno spirito di fratellanza che annulla le differenze sociali dei membri.
La processione viene guidata dalla ‘Grande Croce’ dell’Ospedale dei Bianchi; due fanali, che la affiancano, simboleggiano la luce divina che si inoltra nelle vie del mondo lungo la strada che porta al Calvario.
Tre bambini ‘fratelli’ della compagnia dei “Santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo” (che precedono il Cristo e si distinguono dal colore rosso della mantellina) trasportano su altrettanti vassoi gli strumenti del supplizio: tre chiodi acuminati, la corona di spine, i martelli.

Prendono parte alla processione sette Compagnie Bianche :  “Maria SS. del Carmelo” fu costituita nel 1600 ,  si distinguono dal colore marrone dell’abitino ed anch’essi portano una croce da cui pende una lunga benda bianca , dei “Santi Elena e Costantino” (che fu costituita nel 1200 per dare assistenza e beneficenza ai confrati e alle loro famiglie),  dei “Santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo”, e dei “Bianchi dell’Ospedale” (che diede origine alla celebrazione del Venerdì Santo a Corleone nel XV secolo) dei “Santi Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo”, di “Maria SS. del Carmelo”, dei “Santi Elena e Costantino” (che fu costituita nel 1200 per dare assistenza  ai propri Confratelli, Maria SS. del Rosario, Maria del Soccorso, e del Nome di Gesù quest’ultime tutte del XVI secolo .
Ogni confraternita è guidata dalla rispettiva cosiddetta ‘bacchetta’, un’asta che termina in cima con una piccola croce artisticamente lavorate in argento .

La musica della banda tace. Si odono, ora, altri suoni: quello cupo del tamburo coperto da un drappo nero; quelli lugubri dei mortaretti che rimbombano dalla rocca “ri maschi” ; il canto dei fedeli.
La banda riprende a suonare, quando, dopo aver percorso le strade della zona più antica della città, la processione, già lenta, nell’acciottolata erta del Calvario rallenta ancora di più il passo. I gravi movimenti di confrati e fedeli sono accompagnati dalle note di un’austera marcia funebre che fa vibrare i cuori: fu composta tra il 1935 ed il 1936 dal maestro corleonese Pietro Cipolla in memoria del fratello Giorgio ed è a tutti nota semplicemente come “Marcia numero 14”, dal numero d’ordine che la stessa occupa nel libretto degli spartiti.

Il corteo giunge alla sommità del colle dove è issata la Croce.
La semplicità del Calvario s’intona con la povertà del rito.
Due sacerdoti salgono sulle scale appoggiate alla croce. Cristo viene issato lentamente e inchiodato.
I fedeli, che numerosi assiepano e circondano il colle, assistono commossi. E intonano tristi canti.
Alle 4 del pomeriggio, un ripetuto sparo di mortaretti (una ‘maschiata’, come la chiamano i corleonesi) ricorda che in quell’ora Cristo morì.
Da questo momento, e fino a quando il Cristo non sarà deposto, ininterrotto sarà il commosso pellegrinaggio dei fedeli al Calvario.
Rendono omaggio al Cristo crocifisso anche i confrati dell’Addolorata, che pregano mentre salgono al Calvario.
Poi, giunti sotto la croce, intonano canti, riconoscendosi in Colui che muore e riconoscendo in Lui il fratello che redime dalla schiavitù del peccato del mondo - radice di tutti i mali -, che salva dalle giustizie negate e dalle dignità calpestate.
Mentre sul Calvario prosegue l’omaggio dei devoti al Cristo in croce, nel settecentesco Santuario dedicato a Maria SS. Addolorata (centro di tradizione religiosa e di formazione cristiana, civile e morale), si compie un rito antico: come si usava un tempo, donne e bambini porgono ad un confrate un fazzoletto bianco per asciugare il volto dell’Addolorata.

Dopo, il simulacro della Vergine (l’immagine sacra più venerata dai corleonesi, quella che più d’ogni altra parla direttamente al loro cuore), viene preparato per l’imminente lunga processione notturna.
Colpi di tamburo si odono, mentre lunghe ombre già incombono sul paese. Si appressa l’ora delle Deposizione.
La ‘Grande Croce’ nera guida il corteo delle confraternite che salgono al Calvario: ‘Madonna del Carmelo’, ‘Santi Elena e Costantino’, San Giuseppe D’Arimatea e Nicodemo’, dei Bianchi.
Il cielo che fa da quinta alla scena sembra dipinto. Cristo, ormai morto, viene deposto dalla Croce. Il momento è suggellato da forti spari di mortaretto e da una toccante marcia funebre intonata dalla banda musicale.
I presenti, in raccoglimento, pregano commossi.
La statua, posta sul lenzuolo bianco, viene portata a valle questa volta dai confrati  percorrendo al contrario l’itinerario fatto di giorno. Il passo, lento, segue le cadenze della musica. I fedeli seguono commossi. 
Al suono della banda si sovrappone ora il caratteristico rumore della ‘troccola’ che detta i tempi per l’uscita del simulacro dell’Addolorata dal suo Tempio.
Disadorna, senza la corona, l’Addolorata incontra sul sagrato del Santuario il Cristo deposto. L’incontro della Madre con il Figlio non più in vita è uno dei momenti più suggestivi e commoventi dell’intera giornata: la corale, i confrati e tutti i fedeli intonano canti e lamenti caratteristici corleonesi, accompagnando l’evento in preghiera e in raccoglimento.
Lo sparo di una potente ‘maschiata’ suggella il toccante momento, a testimoniare e rappresentare l’immenso dolore della Madre per la morte del Figlio.
Il Cristo Deposto viene adagiato nella navata della vicina piccola Chiesa di San Nicolò.
Fuori, i fedeli attendono l’uscita dalla chiesa della semplice ‘vara’ con il Cristo Morto, adorna di fiori e sormontata da una palma.
Tutto è pronto per la lunga processione. E’ già sera quando, lentamente, il corteo si avvia dallo slargo.
La processione (la cui struttura è ancora quella stabilita da un atto del 1863) è aperta dai devoti, che si dispongono su due file e recano in mano i ceri accesi. Alcuni sono a piedi scalzi per grazia chiesta o già ricevuta. Le flebili fiamme dei ceri creano un malinconico alternarsi di luci ed ombre nel quale si riflettono i volti dei fedeli, il loro dolore, il dolore della Madre che ha perso il Figlio.
Alcuni confrati precedono la vara del Cristo Morto. Altri la portano a spalla, facendo ondeggiare la palma che la sovrasta.
Le Serve di Maria e i confrati dell’Addolorata con le lampade accese precedono la disadorna statua dell’Addolorata, portata a spalla.
L’itinerario è rimasto uguale nei secoli. Per ore, la processione, seguita da una moltitudine di fedeli mai stanchi, andrà su e giù per le vie di Corleone toccando tutti i quartieri, percorrendo le nuove larghe strade e le strette vie del centro storico.
La processione si conclude quando è già passata la mezzanotte. Il simulacro del Cristo rientra nella Chiesa di San Nicolò.
Il volto delle Serve di Maria, che, conclusa lo loro processione, attendono l’arrivo dell’Addolorata, tradisce fatica e commozione.
Qualche minuto dopo, sullo slargo sopraggiunge il simulacro dell’Addolorata, che viene accolto dallo sparo di mortaretti che vengono fatti brillare sotto la Rocca Sottana, la cui parete viene illuminata a giorno creando un suggestivo effetto scenico.
Ora anche il simulacro dell’Addolorata può rientrare nella chiesa da dove era uscito.
La lunga giornata si conclude con un’ultima toccante scena: nella Chiesa di San Nicolò i confrati si dispongono a cerchio attorno al Cristo Morto. Inizia il rito del ‘bacia piedi’. E’ il popolo dei devoti a genuflettersi per primo. Poi, è la volta dei confrati ‘bianchi’.
Sul paese non si odono più i rimbombi dei mortaretti e il silenzio del lutto regnerà sovrano fino alla mezzanotte del sabato, quando le campane e la solenne messa annunceranno che Cristo è risorto. Nel giorno di Pasqua, il giorno della vita, l’incoronazione del simulacro della Vergine e la benedizione dei Fiori suggelleranno la gioia per la Resurrezione e concluderanno i riti della Settimana Santa.

Non solo tradizioni e folclore nei riti della Settimana Santa a Corleone, ma presa di coscienza delle radici cristiane della nostra civiltà, dell’appartenenza ad una Chiesa viva, aperta al mondo, testimone di speranza in Cristo Risorto, in sintonia con tutti gli uomini di buona volontà, senza distinzione culturale, religiosa o sociale, onde costruire un’umanità rinnovata nell’amore.

Tutto finirà per poi ricominciare. Un anno ancora e la gente di Corleone (quella che vive qui e quella che ritorna da fuori per partecipare all’evento) si ritroverà unita a celebrare il Mistero della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo. Con immutata devozione percorrerà le strade che lambiscono chiese, vetusti palazzi, vecchie e nuove dimore, nelle quali è scritta la storia di questo paese, di questa comunità che guarda al suo glorioso passato per conservarne la memoria e su essa costruire il proprio riscatto. Ai giovani di Corleone il compito di salvaguardare e tramandare ai posteri tanto splendore, di sentirsi degni eredi dei tanti ingegni che li hanno preceduti, di diffonderne i valori ovunque e a chiunque. Perché la storia di questo paese, le opere che essa ha generato, i segni del forte legame che unisce i corleonesi alla fede, meritano di essere evocati e conosciuti non solo dai suoi figli vicini e lontani, ma da tutti.
DAL SITO ISTITUZIONALE DEL COMUNE DI CORLEONE

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