L’associazione critica: «Ridotti gli spazi e tante imprecisioni storiche». Il sindaco Petta: «Pronti al confronto, ma i visitatori sono aumentati»
Leandro Salvia
Piana degli Albanesi - L’associazione «Portella della Ginestra» critica il nuovo allestimento del Museo della cultura arbëreshe dedicato a Nicola Barbato. L’intervento per «la rimozione delle barriere fisiche e cognitive» è stato realizzato con 468 mila euro di fondi del Pnrr, 29 mila dei quali per la consulenza museale. «Prima dei lavori c’erano due ampie sale che includevano anche una mostra documentaria su Portella – scrive l’associazione –. Adesso lo spazio espositivo è stato drasticamente ridimensionato, riducendolo in due modesti pannelli e in alcuni filmati che presentano le vari tesi sulla strage in maniera contraddittoria e senza alcuna valutazione critica».
L’associazione solleva perplessità anche sui testi contenuti nei pannelli e nel catalogo del museo: «Sono colmi di inesattezze storiche sia sulla vicenda di Portella che sulla figura di Nicola Barbato: non è vero, infatti, che il primo maggio 1947 si intendeva riprendere l’antica tradizione della festa dei lavoratori. Perché era già stata ripresa tre anni prima. Così come non è vero che all’assalto seguì una “sparatoria durata pochi minuti”. È falso che il processo di Viterbo fu “istruito nel 1950” e “si concluse tre anni dopo”. Gaspare Pisciotta inoltre non era “il guardaspalle” di Giuliano, che non fu freddato con un solo “colpo di pistola”. Così come non è vero che Barbato aveva partecipato ai moti del 1898».
Per l’associazione che raggruppa i familiari dei testimoni e delle vittime è inaccettabile leggere che l’assalto fu «attribuito» a Salvatore Giuliano. «C’è una sentenza di terzo grado che conferma la sua colpevolezza. Non è dunque un’ipotesi», fa notare lo studioso Francesco Petrotta, preoccupato dall’idea che quel termine possa legittimare ipotesi sull’estraneità del bandito nell’esecuzione della strage. «Altrettanto inaccettabile – scrivono – è ridurre la figura di Barbato, che ricoprì ruoli di primo piano sulla scena nazionale, a un personaggio della storia locale».
Nel museo, dopo il restyling, non è rimasto un solo ritratto del deputato nazionale socialista. «Escludiamo – conclude l’associazione – che con questi testi si volesse riscrivere da destra la storia di Portella e quella di Barbato, ma sono stati comunque propinati al pubblico tanti falsi storici con l’accettazione passiva dell’amministrazione».
A replicare è il sindaco Rosario Petta. «Siamo sempre disponibili ad ascoltare e confrontarci per meglio descrivere la strage di Portella - afferma Petta -. Rimangono però delle perplessità sui modi messi in atto da Petrotta. Posso dire però che dal giorno dell’inaugurazione del museo, abbiamo avuto un notevole aumento di turisti, con recensioni eccellenti».
Sulla vicenda è intervenuta anche la museologa Daniela Brignone. «La sezione di Portella della Ginestra – scrive in una nota - è stata raccontata in modo più sintetico. Precedentemente erano infatti presenti dettagli tecnici che ne appesantivano eccessivamente la narrazione, come appurato anche da un sondaggio effettuato. Il pubblico interpellato non reggeva una lettura così lunga». Una scelta che, a detta dell’esperta, sarebbe inoltre in linea con il bando del Pnrr. «La precedente sezione di Portella – afferma Brignone - non rispettava minimamente gli standard». Per quanti riguarda le contestazioni sui testi, la consulente del Comune cita come fonti Giuseppe Carlo Marino, Francesco Renda, Giovanni Ruggiero e Giovanni Arpino. Per l’uso improprio del termine «sparatoria» riporta invece un’espressione tratta dal volume dello stesso Petrotta. A Portella però quel 1° maggio non ci fu uno scambio di colpi. A sparare furono banditi e mafiosi su una folla festante di comunisti e socialisti inermi. (*LEAS*)
GdS, 26/1/25
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