domenica, maggio 24, 2020

Capaci, il mistero del residence negli Usa chiamato dal boss a due ore dalla strage


di SALVO PALAZZOLO
Ventotto anni fa la morte di Falcone. Uno degli attentatori del giudice fece il numero di un'utenza del Minnesota
PALERMO. Due ore e 41 minuti prima che l'autostrada di Capaci saltasse in aria, il 23 maggio di 28 anni fa, uno degli attentatori del giudice Giovanni Falcone chiamò dal suo telefonino (clonato) un numero americano. Un'utenza del Minnesota. È tutto quello che i processi sono riusciti a raccontarci, ma i magistrati di Caltanissetta non hanno smesso di indagare su uno dei misteri meglio custoditi di quella strage. Indagine lunga e complessa, perché l'utenza 00161277746990 risultava inesistente. Un rompicapo per gli investigatori della Direzione investigativa antimafia, che hanno però trovato una traccia: Repubblica ha potuto consultare il rapporto inviato alla procura di Caltanissetta, adesso agli atti del processo d'appello che si sta celebrando contro altri quattro boss della strage.
In quel rapporto c'è un indirizzo: 2585 Ivy Avenue East, Maplewood, Minnesota. E anche il numero dell'appartamento del residence in cui era installata l'utenza, il 315. Utenza che è rimasta un mistero per anni perché il sistema aveva segnato uno zero alla fine. In un altro tabulato, lo zero non c'era. E si è aperta una traccia, da dove adesso si ricomincia ad indagare.
   
L'artificiere
Negli ultimi mesi, un pentito della mafia catanese, Maurizio Avola, è tornato a parlare di un americano esperto di esplosivi che era stato mandato in Sicilia dal capo della famiglia Gambino di New York, John Gotti. "Il forestiero arrivò a Palermo nei primi mesi del 1992 - ha raccontato ai pm di Caltanissetta, e anche questo verbale è depositato nel processo Capaci bis - Aveva circa 40 anni, capelli castani, alto 1,85, vestito in maniera elegante. Lo incontrai a Catania, a casa di Aldo Ercolano, che mi disse: "Oggi hai conosciuto una persona importante"". Ma chi c'era in quell'appartamento di Ivy Avenue East il 23 maggio del 1992? Solo un "cugino" della mafia americana? Negli archivi del palazzo di giustizia di Palermo c'è un'altra telefonata per certi versi simile: il 30 luglio 1983, il giorno dopo la strage che travolse il consigliere istruttore Rocco Chinnici, due carabinieri della scorta e il portiere dello stabile, l'Fbi intercettò negli Stati Uniti il boss Gino Mineo al telefono con un misterioso interlocutore a Palermo. Veniva informato che "hanno messo Tnt nella macchina, lui è morto". Non ci fu bisogno di fare il nome di Chinnici. I cugini americani già sapevano.

La "trattativa"
Nella storia del 1992, ci sono però altri tasselli per provare a comporre un possibile quadro. Che in questo caso va oltre le solite presenze di mafia. Una dichiarazione porta proprio a Gioè, che poi morì suicida nel carcere di Rebibbia, il 28 luglio 1993. Uno strano suicidio, nei giorni in cui il boss di Altofonte era entrato in crisi e sembrava volesse collaborare con i magistrati. Fra il 1992 e l'inizio del 1993, incontrava un ex estremista di destra, Paolo Bellini, oggi indagato per la bomba alla stazione di Bologna. "Gioè mi raccontava della strage di Capaci - ha spiegato Bellini ai magistrati siciliani - e ripeteva: "Ci hanno consumati", "Ci hanno usati". Mi spiegò che Riina aveva un ulteriore canale di trattativa, con lo scopo di ottenere benefici per l'organizzazione mafiosa. Era una trattativa triangolare fra l'Italia e gli Stati Uniti, nel senso che Cosa nostra aveva dei tramiti negli Stati Uniti per una trattativa da condurre in porto con ambienti italiani che Gioè non mi disse". Il boss di Altofonte svelò soltanto che i "tramiti americani" erano in contatto con alcuni "parenti americani di Totò Riina".
"Nec P 300"
Gli investigatori della Dia sono tornati a cercare una traccia nel telefonino clonato di Gioè: era un Nec P 300 agganciato a un'utenza che risultava disattivata da mesi. Quella dell'imprenditore Andrea Di Matteo, che è il cugino di un altro degli stragisti di Falcone. Il numero è 0337/893266: attivato il 19 marzo 1991, il 15 aprile 1992 l'intestatario presentò una denuncia di furto dell'apparecchio, sei giorni dopo l'utenza era già disattivata, ma solo sulla carta. Perché continuò misteriosamente a funzionare fino al 16 ottobre. Evidentemente grazie a una talpa all'interno della società telefonica, anche questa mai individuata.

La Repubblica, 23 MAGGIO 2020

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