lunedì, luglio 01, 2019

Consolo e Sciascia, lettere fraterne tra due scrittori

Leonardo Sciascia e Vincenzo Consolo fotografati da Giuseppe Leone

di Marcello Benfante
Esce “ Essere o no scrittore” curato da Rosalba Galvagno che si legge come un avvincente racconto di vite parallele
 All’inizio è solo l’«Egregio signor Sciascia» , l’illustre «Conterraneo» . Una specie di mostro sacro cui rivolgersi con tono reverenziale: «Mi permetto inviarle il mio libro La ferita dell’aprile. Spero che questo primo contatto possa dare inizio a futuri colloqui. La ringrazio intanto per l’attenzione che vorrà prestarmi e Le porgo molti cordiali saluti» . A vergare questa lettera, datata 6 dicembre 1963, è un timido, quasi impacciato Vincenzo Consolo: fresco dell’esordio, col carico di attese dunque e di inibizioni tipico del debuttante.

Muovono la mano del giovane scrittore la «riconoscenza per la parte che hanno avuto i Suoi libri nella mia formazione» e insieme «il desiderio d’essere letto» . Passano solo sei giorni e Sciascia risponde con generosità e slancio: «L’ho subito letto: e con interesse vivissimo. E conto di scriverne, appena mi sarò liberato dal lavoro cui per ora attendo, su L’Ora; o altrove se su questo giornale qualcuno mi precederà».
Le missive citate aprono il carteggio tra Vincenzo Consolo e Leonardo Sciascia ora raccolto nel prezioso volumetto “Essere o no scrittore. Lettere 1963- 1988” curato da Rosalba Galvagno (Archinto, 86 pagine, 14 euro), che si legge come un avvincente racconto di vite parallele. Sciascia viene subito folgorato dalle particolarità storico-linguistiche della scrittura di Consolo (così diversa dalla sua) e su di esse, nella lettera di risposta, chiede delucidazioni allegando alla seconda missiva un ritaglio che riguarda il premio Soverato, della cui giuria Sciascia stesso fa parte: «Mi pare che il tuo libro potrebbe concorrere con ottime possibilità». Per poi concludere: «La mia azione dentro la giuria sarà conseguente a tale convinzione».
Lo scrittore di Racalmuto si sbilancia al punto da confessare in una lettera successiva (12 aprile 1964): Fino a questo momento i libri che ho ricevuto dalla segreteria del premio sono da eliminare alla prima cernita. Non mi pare, oggettivamente, che possa venir fuori un libro migliore del tuo, tra gli autori esordienti» . I giochi dovrebbero essere già fatti e Sciascia si mostra quasi galvanizzato: «Io non vedo, onestamente, nessun lavoro che sia da preferire al tuo» (10 giugno 1964). Ma alla fine si aggiudicheranno il riconoscimento Michele Ranchetti e Salvatore Bruno.
Il commento alla fine, assai amaro, si rivela in qualche modo anche profetico: «In Italia non si fa un premio per un libro, ma un libro per un premio» . La delusione è cocente, lenita dal rapporto di amicizia che si va cementando: «Io ti sono grato — scrive Consolo — di tutte le care cose che mi scrivi. E davvero vorrei, anch’io, avere più frequenti e prolungate occasioni di incontrarti» . Il sodalizio ormai è avviato: la corrispondenza si fa sempre più fitta e prodiga di confidenze spontanee, anche relativamente ad aspetti legati alla vita di ogni giorno. La familiarità ormai si taglia a fette: l’autore di “Retablo” chiede a Leonardo una mano per risolvere i suoi problemi di lavoro. «Alla fine di maggio, infatti, mi scade il contratto alla Rai e non so proprio quello che capiterà».
Tra le lettere scritte nel periodo che va dalla metà degli anni Sessanta alla fine del decennio successivo spicca quella del 15 aprile 1967, nella quale Consolo palesa i suoi sentimenti di lettore-ammiratore: «Nel mio natio borgo scipito, leggevo i tuoi primi libri e mi aprivo e apprendevo da questo mio scrittore e siciliano ideale del cuore della Sicilia. Non sorridere — nel tuo modo agghiacciante — di questa dichiarazione d’amore».

La Repubblica Palermo, 30 giugno 2019

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