martedì, giugno 11, 2019

La memoria. Io, il compagno Berlinguer e le mie lacrime con Ingrao

Enrico Berlinguer con Eugenio Scalfari

di Eugenio Scalfari
Enrico Berlinguer aveva in mente di sostenere l’autonomia dei partiti nazionali comunisti occidentali dall’influenza della Russia e della Cina. Rese concreta questa rottura con il passato attraverso alcuni interventi che fece al comitato centrale del Partito comunista sovietico. In particolare le sue parole a Mosca, nel 1969, segnarono un nuovo inizio, quando disse: «Noi respingiamo il concetto che possa esservi un modello di società socialista unico e valido per tutte le situazioni». E ancora: «Ogni Paese ha la sua storia. Ogni partito opera in una realtà storicamente determinata e condizionante».

I socialisti, che all’epoca, dopo Pietro Nenni, erano guidati da Francesco De Martino, fecero un patto di unità d’azione con Berlinguer perché appoggiavano la sua tesi. E lui spiegava: siamo i comunisti italiani, ma non cessiamo di credere nei valori del comunismo che sono eguaglianza e libertà, era il suo credo. Gli si obiettò: sono i valori della Rivoluzione francese. Sì, replicò, ma se voi leggete quello che scrissero nel Manifesto del partito comunista Marx ed Engels, nel 1848, troverete che le libertà borghesi sono libertà fondamentali alle quali i comunisti affiancano l’eguaglianza, che è molto più importante della libertà. Questa – diceva Berlinguer – è la distinzione tra noi che siamo comunisti e i liberaldemocratici socialisti del resto d’Europa: quando avremo affermato insieme alla borghesia dei vari paesi la libertà, allora faremo la rivoluzione proletaria per affiancare alla libertà l’eguaglianza. E “libertà ed eguaglianza” sarà il nostro motto mondiale. Io ero deputato e durante quegli anni conobbi Berlinguer. Quando poi ci fu il sequestro Moro, lui, da capo del Partito comunista, propose alla Democrazia cristiana di fare un’alleanza dei forti contro i deboli. I forti erano quelli che dicevano: noi dobbiamo prendere i brigatisti e mandarli in galera. Questo partito della fermezza era costituito da metà della Dc, dall’intero Pci e da Ugo La Malfa. Noi, come Repubblica, eravamo l’unico giornale che era per il partito della fermezza.
Intervistai Berlinguer cinque volte: un’intervista, quella uscita il 28 luglio 1981, era sulla “questione morale”. Dopo questi cinque incontri eravamo ormai diventati amici, tanto che lui mi invitò una sera a casa sua e io ricambiai. Ormai ci davamo del tu. Berlinguer mi diceva: «Ci stai aiutando molto».
Poi lui morì. E ricordo che gran parte della direzione del Pci partì subito per Padova. A Roma era rimasto un gruppo guidato da Pietro Ingrao per preparare i funerali. Io andai nella sede della direzione: Ingrao mi venne incontro. Gli dissi che ero estremamente desolato perché condividevo lo stesso pensiero di Berlinguer. Tanto che avevo finito per votare per il Pci. Mentre stavo andando via, a metà del salone, Ingrao mi abbracciò. Il gesto mi commosse profondamente. Sentendo che piangevo, anche Ingrao iniziò a singhiozzare, cercando di consolarmi. Più lui provava a consolarmi, più il mio pianto aumentava. Passarono cinque o sei minuti. Poi sciogliemmo l’abbraccio.
Berlinguer è il contrario di Renzi. Il Pd non è altro che il Partito comunista di Berlinguer. Il Pci di Berlinguer venne ereditato da Achille Occhetto, il quale cambiò il nome: non più Pci ma Pds, Partito democratico della sinistra. Ma fu Berlinguer per primo ad avere trasformato il Partito comunista in un partito democratico di sinistra. Quanto sarebbe diverso avere oggi un Berlinguer a capo del Pd.
La Repubblica, 11 giugno 2019

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