giovedì, febbraio 11, 2016

Villabate, domani la Cgil ricorda per la prima volta dopo 69 anni Vincenzo Sansone, sindacalista assassinato dalla mafia il 13 febbraio 1947



Palermo 11 febbraio 2016 – Per la prima volta domani, 69° anniversario della sua uccisione, la Cgil ricorda Vincenzo “Nunzio” Sansone, una dei primi sindacalisti vittime della mafia. L'iniziativa, organizzata assieme al Comune di Villabate e al Centro Pio La Torre, si terrà alle ore 9 presso la biblioteca comunale “E. Salmeri”. “Sarà l'occasione per far riemergere dall'oblio di questi anni un pezzo della nostra storia sindacale, per restituire onore alla memoria di un uomo coraggioso che voleva aiutare i braccianti poveri del suo paese, procurando fastidio per la sua attività ai poteri forti della mafia e della cattiva politica - dice il segretario della Cgil Palermo Enzo Campo - Nel periodo che copre l’arco temporale che va dal 1945 ai primi anni ’50, furono tante le case e i comuni della Sicilia dove si piansero le morti ingiuste di sindacalisti uccisi dalla mafia. Anche a Villabate venne assassinato un nostro concittadino: Nunzio “Vincenzo” – Sansone, che cadde sotto i colpi di lupara il 13 febbraio 1947”. Ad illustrare l'iniziativa sarà Dino Paternostro, responsabile del dipartimento Legalità Cgil Palermo. Interverranno familiari di “Nunzio” Vincenzo Sansone, studenti di Villabate, il presidente di Rinascita Villabatese Francesco Giglio, il presidente del centro Pio La Torre Vito Lo Monaco, il segretario Cgil Palermo Enzo Campo.

“A narrare la storia di Sansone, dimenticata da tutti – dice Dino Paternostro - è stato il professore Edoardo Salmeri nelle sue “Storie Villabatesi”. Salmeri ha tracciato un ritratto di Sansone, suo compagno di partito, che aveva cercato di fondare una cooperativa agricola. La mafia del paese lo eliminò crudelmente, freddandolo a colpi di lupara all’uscita dall’abitato, mentre percorreva il tratto solitario che divide Villabate dal borgo di Portella di Mare”.
In un brano del testo di Salmeri si ricordano alcuni episodi, come quando Sansone tentò di consegnare una lettera a Mussolini e fu malmenato, arrestato e condotto all'Ucciardone: ‹‹Povero Vincenzo Sansone! [...] La sorte fu avara con lui. L’avevo conosciuto in una particolare circostanza, in occasione del passaggio del Duce per Villabate. Quando la macchina dell’alto Capo del Fascismo si fermò per un istante sulla strada per ricevere dalle autorità del paese l’omaggio di un folto ramo di arance, egli, giovane studente, corse verso l’eminente personaggio per porgergli una lettera. Tosto l’aperta vettura si mise in moto e l’audace giovane corse dietro di essa, tendendo la mano. Fu trattenuto dalla forza pubblica, che non solo gli impedì di consegnare la lettera, ma cominciò a malmenarlo come un malfattore. Quindi, messegli le manette, lo trascinò verso la caserma, tempestandolo brutalmente di pugni e di calci [...] Il fatto è che l’indomani l’infelice giovane, carico di catene, fu trasportato all’Ucciardone di Palermo”.
Salmeri si trovava con Sansone poco prima della sua uccisione. “Ci eravamo appena separati [...] A duecento metri da casa mia c’era un gruppo di gente con la polizia, che piantonava il corpo dell’ucciso. Ricordai allora come la sera prima, appena rientrato, avevo sentito dei colpi di fucile. Non vi avevo dato importanza, credendo che fossero spari di cacciatore. Non avevo sospettato per nulla che in quel momento il mio povero amico e compagno fosse caduto sotto il piombo della mafia. Non immaginavo che quella sanguinaria associazione criminale sarebbe stata capace di commettere un tale efferato delitto. A chi faceva male il povero Vincenzo Sansone, insegnante di lettere, che nella sua gioventù aveva tanto lottato contro la povertà, sopportando dure prove e umilianti privazioni? Egli che conosceva la triste indigenza, voleva riscattare le masse operaie e contadine dalla loro miseria, dall’abiezione materiale e morale in cui esse vivevano nel prolungato servaggio dei tempi, ma era stato stroncato dalla mafia, da quella cosiddetta ‹‹onorata società›› che si arrogava il vanto di interpretare gli ideali di giustizia dell’antica setta dei Beati Paoli, e invece salvaguardava gli interessi del baronato e degli agrari, degli sfruttatori, del lavoro umano. Ecco perché la mafia l’aveva ucciso››.

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