lunedì, agosto 22, 2016

PER UN’EUROPA LIBERA E UNITA: IL MANIFESTO DI VENTOTENE

Altiero Spinelli
Progetto d’un manifesto, 22 gennaio 1944
PREFAZIONE
I presenti scritti sono stati concepiti e redatti nell’isola di Ventotene, negli anni 1941 e 1942. In quell’ambiente d’eccezione, fra le maglie di una rigidissima disciplina, attraverso un’informazione che con mille accorgimenti si cercava di rendere il più possibile completa, nella tristezza dell’inerzia forzata e nell’ansia della prossima liberazione, andava maturando in alcune menti un processo di ripensamento di tutti i problemi che avevano costituito il motivo stesso dell’azione compiuta e dell’atteggiamento preso nella lotta.
La lontananza dalla vita politica concreta permetteva uno sguardo più distaccato, e consigliava di rivedere le posizioni tradizionali, ricercando i motivi degli insuccessi passati non tanto in errori tecnici di tattica parlamentare o rivoluzionaria, od in una generica «immaturità» della situazione, quanto in insufficienze dell’impostazione generale, e nell’aver impegnato la lotta lungo le consuete linee di frattura, con troppo scarsa attenzione al nuovo che veniva modificando la realtà.

Preparandosi a combattere con efficienza la grande battaglia che si profilava per il prossimo avvenire, si sentiva il bisogno non semplicemente di correggere gli errori del passato, ma di rienunciare i termini dei problemi politici con mente sgombra da preconcetti dottrinari o da miti di partito.
Fu così che si fece strada, nella mente di alcuni, l’idea centrale che la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l’esistenza di stati sovrani, geograficamente, economicamente, militarmente individuati, consideranti gli altri stati come concorrenti e potenziali nemici, viventi gli uni rispetto agli altri in una situazione di perpetuo bellum omnium contra omnes.
I motivi per cui questa idea, di per sé non nuova, assumeva un aspetto di novità nelle condizioni e nell’occasione in cui veniva pensata, sono vari:
1) Anzitutto, la soluzione internazionalista, che figura nel programma di tutti i partiti politici progressisti, viene da essi considerata, in un certo senso, come una conseguenza necessaria e quasi automatica del raggiungimento dei fini che ciascuno di essi si propone. I democratici ritengono che l’instaurazione, nell’ambito di ciascun paese, del regime da essi propugnato, condurrebbe sicuramente alla formazione di quella coscienza unitaria che, superando le frontiere nel campo culturale e morale, costituirebbe la premessa che essi ritengono indispensabile ad una libera unione di popoli anche nel campo politico ed economico. E i socialisti, dal canto loro, pensano che l’instaurazione di regimi di dittatura del proletariato nei vari stati, condurrebbe di per sé ad uno stato internazionale collettivista.
Ora, una analisi del concetto moderno di stato e dell’insieme di interessi e di sentimenti che ad esso sono legati, mostra chiaramente che, benché le analogie di regime interno possano facilitare i rapporti di amicizia e di collaborazione fra stato e stato, non è affatto detto che portino automaticamente e neppure progressivamente alla unificazione, finché esistano interessi e sentimenti collettivi legati al mantenimento di una unità chiusa all’interno delle frontiere. Sappiamo per esperienza che sentimenti sciovinistici ed interessi protezionistici possono facilmente condurre all’urto e
alla concorrenza anche tra due democrazie; e non è detto che uno stato socialista ricco debba necessariamente accettare di mettere in comune le proprie risorse con un altro stato socialista molto più povero, per il solo fatto che in esso vige un regime interno analogo al proprio.
L’abolizione delle frontiere politiche ed economiche fra stato e stato non discende dunque necessariamente dall’instaurazione contemporanea di un dato regime interno in ciascuno stato; ma è un problema a sé stante, che va aggredito con mezzi propri e ad esso attagliantisi. Non si può essere socialisti, è vero, senza essere insieme internazionalisti; ma ciò per un legame ideologico, più che per una necessità politica ed economica; e dalla vittoria socialista nei singoli stati non discende necessariamente lo stato internazionale.
2) Ciò che spingeva inoltre ad accentuare in modo autonomo la tesi federalista, era il fatto che i partiti politici esistenti, legati ad un passato di lotte combattute nell’ambito di ciascuna nazione, sono avvezzi, per consuetudine e per tradizione, a porsi tutti i problemi partendo dal tacito presupposto dell’esistenza dello stato nazionale, ed a considerare i problemi dell’ordinamento internazionale come questioni di «politica estera», da risolversi mediante azioni diplomatiche e accordi fra i vari governi. Questo atteggiamento è in parte causa, in parte conseguenza di quello prima accennato, secondo cui, una volta afferrate le redini di comando nel proprio paese, l’accordo e l’unione con regimi affini in altri
paesi è cosa che viene da sé, senza bisogno di dar luogo aduna lotta politica a ciò espressamente dedicata.
Negli autori dei presenti scritti si era invece radicata la convinzione che chi voglia proporsi il problema dell’ordinamento internazionale come quello centrale dell’attuale epoca storica, e consideri la soluzione di esso come la premessa necessaria per la soluzione di tutti i problemi istituzionali, economici, sociali che si impongono alla nostra società, debba di necessità considerare da questo punto di vista tutte le questioni riguardanti i contrasti politici interni e l’atteggiamento di ciascun partito, anche riguardo alla tattica e alla strategia nella lotta quotidiana. Tutti i problemi, da quello delle libertà costituzionali a quello della lotta di classe, da quello della pianificazione a quello della presa del potere e dell’uso di esso, ricevono una nuova luce se vengono posti partendo dalla premessa che la prima mèta da raggiungere è quella di un ordinamento unitario nel campo internazionale. La stessa manovra politica, l’appoggiarsi all’una od all’altra delle forze in giuoco, l’accentuare l’una o l’altra parola d’ordine, assume aspetti ben diversi, a seconda che si consideri come scopo essenziale la presa del potere e l’attuazione di determinate riforme nell’ambito di ciascun singolo stato, oppure la creazione delle premesse economiche, politiche, morali per la instaurazione di un ordinamento federale che abbracci tutto il continente.
3) Un altro motivo ancora  e forse il più importante  era costituito dal fatto che l’ideale di una Federazione Europea, preludio di una Federazione Mondiale, mentre poteva apparire lontana utopia ancora qualche anno fa, si presenta oggi, alla fine di questa guerra, come una mèta raggiungibile e quasi a portata di mano. Nel totale rimescolamento di popoli che questo conflitto ha provocato in tutti i paesi soggetti all’occupazione tedesca, nella necessità di ricostruire su basi nuove una economia quasi totalmente distrutta, e di rimettere sul tappeto tutti i problemi riguardanti i confini politici, le barriere doganali, le minoranze etniche ecc.; nel carattere stesso di questa guerra, in cui l’elemento nazionale è stato così spesso sopravanzato dall’elemento ideologico, in cui si sono visti piccoli e medi stati rinunziare a gran parte della loro sovranità a favore degli stati più forti, e in cui da parte degli stessi fascisti il concetto di «spazio vitale» si è sostituito a quello di «indipendenza nazionale»; in tutti questi elementi sono da ravvisare dei dati che rendono attuale come non mai, in questo dopoguerra, il problema dell’ordinamento federale dell’Europa.
Forze provenienti da tutte le classi sociali, per motivi sia economici sia ideali, possono essere interessate ad esso. Ad esso ci si potrà avvicinare per via di trattative diplomatiche e per via di agitazione popolare; promuovendo fra le classi colte lo studio dei problemi ad esso attinenti, e provocando stati di fatto rivoluzionari, avvenuti i quali non sia più possibile tornare indietro; influendo sulle sfere dirigenti degli stati vincitori, ed agitando negli stati vinti la parola che solo in una Europa libera e unita essi possono trovare la loro salvezza ed evitare le disastrose conseguenze della sconfitta.
Appunto per questo è sorto il nostro Movimento. È la preminenza, l’anteriorità di questo problema rispetto a tutti quelli che si impongono nell’epoca in cui ci stiamo inoltrando; è la sicurezza che, se lasceremo risolidificare la situazione nei vecchi stampi nazionalistici, l’occasione sarà persa per sempre, e nessuna pace e benessere duraturo ne potrà avere il nostro continente; è tutto questo che ci ha spinto a creare un’organizzazione autonoma, allo scopo di propugnare l’idea della Federazione Europea come mèta realizzabile nel prossimo dopoguerra.
Non ci nascondiamo le difficoltà della cosa, e la potenza delle forze che opereranno nel senso contrario; ma è la prima volta, crediamo, che questo problema si pone sul tappeto della lotta politica, non come un lontano ideale, ma come una impellente, tragica necessità.
Il nostro Movimento, che vive oramai da circa due anni della difficile vita clandestina sotto l’oppressione fascista e nazista; i cui aderenti provengono dalle file dei militanti dell’antifascismo e sono tutti in linea nella lotta armata per la libertà; che ha già pagato il suo duro contributo di carcere per la causa comune; il nostro Movimento non è e non vuol essere un partito politico. Così come si è venuto sempre più nettamente caratterizzando, esso vuole operare sui vari partiti politici e nell’interno di essi, non solo affinché l’istanza internazionalista venga accentuata, ma anche e principalmente affinché tutti i problemi della sua vita politica vengano impostati partendo da questo nuovo angolo visuale, a cui finora sono stati così poco avvezzi.
Non siamo un partito politico perché, pur promuovendo attivamente ogni studio riguardante l’assetto istituzionale, economico, sociale della Federazione Europea, e pur prendendo parte attiva alla lotta per la sua realizzazione e preoccupandoci di scoprire quali forze potranno agire in favore di essa nella futura congiuntura politica, non vogliamo pronunciarci ufficialmente sui particolari istituzionali, sul grado maggiore o minore di collettivizzazione economica, sul maggiore o minore decentramento amministrativo ecc. ecc., che dovranno caratterizzare il futuro organismo federale. Lasciamo che nel seno del nostro Movimento questi problemi vengano ampiamente e liberamente discussi, e che tutte le tendenze politiche, da quella comunista a quella liberale, siano presso di noi rappresentate. Di fatto, i nostri aderenti militano quasi tutti in qualcuno dei partiti politici progressivi: tutti si accordano nel propugnare quelli che sono i principi basilari di una libera Federazione Europea, non basata su egemonie di sorta, né su ordinamenti totalitari, e dotata di quella solidità strutturale che non la riduca ad una semplice Società delle Nazioni.
Tali principi si possono riassumere nei seguenti punti: esercito unico federale, unità monetaria, abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all’emigrazione tra gli stati appartenenti alla Federazione, rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali, politica estera unica.
In questi due anni di vita, il nostro Movimento si è largamente diffuso fra i gruppi ed i partiti politici antifascisti. Alcuni di essi ci hanno espresso pubblicamente la loro adesione e la loro simpatia. Altri ci hanno chiamato a collaborare alle loro formulazioni programmatiche. Non è forse presuntuoso dire che è in parte merito nostro, se i problemi della Federazione Europea vengono così spesso trattati nella stampa clandestina italiana. Il nostro giornale, L’Unità Europea, segue con attenzione gli avvenimenti della politica interna ed internazionale, prendendo posizione di fronte ad essi con assoluta indipendenza di giudizio.
I presenti scritti, frutto dell’elaborazione di idee che ha dato luogo alla nascita del nostro Movimento, non rappresentano però che l’opinione dei loro autori, e non costituiscono affatto una presa di posizione del Movimento stesso. Vogliono solo essere una proposizione di temi di discussione a coloro che vogliono ripensare tutti i problemi della vita politica internazionale tenendo conto delle più recenti esperienze ideologiche e politiche, dei risultati più aggiornati della scienza economica, delle più sensate e ragionevoli prospettive per l’avvenire.
Saranno presto seguiti da altri studi. Il nostro augurio è che possano suscitare fermento di idee; e che, nella presente atmosfera arroventata dall’impellente necessità dell’azione, portino un contributo di chiarificazione che renda l’azione sempre più decisa, cosciente e responsabile.
 Il  Movimento  italiano per   la   federazione   europea
Roma, 22 Gennaio 1944.

PER UN’EUROPA LIBERA E UNITA

Progetto d’un manifesto
I. — LA CRISI DELLA CIVILTÀ MODERNA.
 La civiltà moderna ha posto come proprio fondamento il principio della libertà, secondo il quale l’uomo non deve essere un mero strumento altrui, ma un autonomo centro di vita. Con questo codice alla mano si è venuto imbastendo un grandioso processo storico a tutti gli aspetti della vita sociale, che non lo rispettassero.
1°) Si è affermato l’eguale diritto a tutte le nazioni di organizzarsi in stati indipendenti. Ogni popolo, individuato dalle sue caratteristiche etniche, geografiche, linguistiche e storiche, doveva trovare nell’organismo statale creato per proprio conto, secondo la sua particolare concezione della vita politica, lo strumento per soddisfare nel modo migliore i suoi bisogni, indipendentemente da ogni intervento estraneo. L’ideologia dell’indipendenza nazionale è stata un potente lievito di progresso; ha fatto superare i meschini campanilismi in un senso di più vasta solidarietà contro l’oppressione degli stranieri dominatori; ha eliminato molti degli inciampi che ostacolavano la circolazione degli uomini e delle merci; ha fatto estendere entro il territorio di ciascun nuovo stato alle popolazioni più arretrate le istituzioni e gli ordinamenti delle popolazioni più civili. Essa portava però in sé i germi dell’imperialismo capitalista, che la nostra generazione ha visto ingigantire, sino alla formazione degli stati totalitari ed allo scatenarsi delle guerre mondiali.
La nazione non è ora più considerata come lo storico prodotto della convivenza di uomini che, pervenuti grazie ad un lungo processo ad una maggiore unità di costumi e di aspirazioni, trovano nel loro stato la forma più efficace per organizzare la vita collettiva entro il quadro di tutta la società umana; è invece divenuta un’entità divina, un organismo che deve pensare solo alla propria esistenza ed al proprio sviluppo, senza in alcun modo curarsi del danno che gli altri possano risentirne. La sovranità assoluta degli stati nazionali ha portato alla volontà di dominio di ciascuno di essi, poiché ciascuno si sente minacciato dalla potenza degli altri e considera suo «spazio vitale» territori sempre più vasti, che gli permettano di muoversi liberamente e di assicurarsi i mezzi di esistenza, senza dipendere da alcuno. Questa volontà di dominio non potrebbe acquetarsi che nella egemonia dello stato più forte su tutti gli altri asserviti.
In conseguenza di ciò, lo stato, da tutelatore della libertà dei cittadini, si è trasformato in padrone di sudditi tenuti a servizio, con tutte le facoltà per renderne massima l’efficienza bellica. Anche nei periodi di pace, considerati come soste per la preparazione alle inevitabili guerre successive, la volontà dei ceti militari predomina ormai in molti paesi su quella dei ceti civili, rendendo sempre più difficile il funzionamento di ordinamenti politici liberi: la scuola, la scienza, la produzione, l’organismo amministrativo sono principalmente diretti ad aumentare il potenziale bellico; le madri vengono considerate come fattrici di soldati, ed in conseguenza premiate con gli stessi criteri con i quali alle mostre si premiano le bestie prolifiche; i bambini vengono educati fin dalla più tenera età al mestiere delle armi e all’odio verso gli stranieri, le libertà individuali si riducono a nulla, dal momento che tutti sono militarizzati e continuamente chiamati a prestare servizio militare; le guerre a ripetizione costringono ad abbandonare la famiglia, l’impiego, gli averi, ed a sacrificare la vita stessa per obbiettivi di cui nessuno capisce veramente il valore; in poche giornate vengono distrutti i risultati di decenni di sforzi compiuti per aumentare il benessere collettivo.
Gli stati totalitari sono quelli che hanno realizzato nel modo più coerente l’unificazione di tutte le forze, attuando il massimo di accentramento e di autarchia, e si sono perciò dimostrati gli organismi più adatti all’odierno ambiente internazionale. Basta che una nazione faccia un passo in avanti verso un più accentuato totalitarismo, perché sia seguita dalle altre trascinate nello stesso solco dalla volontà di sopravvivere.
2°) Si è affermato l’eguale diritto di tutti i cittadini alla formazione della volontà dello stato. Questa doveva così risultare la sintesi delle mutevoli esigenze economiche e ideologiche di tutte le categorie sociali liberamente espresse. Tale organizzazione politica ha permesso di correggere o almeno di attenuare molte delle più stridenti ingiustizie ereditarie dei regimi passati. Ma la libertà di stampa e di associazione, e la progressiva estensione del suffragio, rendevano sempre più difficile la difesa dei vecchi privilegi, mantenendo il sistema rappresentativo.
I nullatenenti a poco a poco imparavano a servirsi di questi strumenti per dare l’assalto ai diritti acquisiti dalle classi abbienti; le imposte sociali sui redditi non guadagnati e sulle successioni, le aliquote progressive sulle maggiori fortune, la esenzione dei redditi minimi e dei beni di prima necessità, la gratuità della scuola pubblica, l’aumento delle spese di assistenza e di previdenza sociale, le riforme agrarie, il controllo delle fabbriche, minacciavano i ceti privilegiati nelle loro più fortificate cittadelle.
Anche i ceti privilegiati che avevano consentito all’eguaglianza dei diritti politici, non potevano ammettere che le classi diseredate se ne valessero per cercare di realizzare quell’uguaglianza di fatto che avrebbe dato a tali diritti un contenuto concreto di effettiva libertà. Quando, dopo la fine della prima guerra mondiale, la minaccia divenne troppo grave, fu naturale che tali ceti applaudissero calorosamente ed appoggiassero l’instaurazione delle dittature, che toglievano le armi legali di mano ai loro avversari.
D’altra parte la formazione di giganteschi complessi industriali e bancari e di sindacati riunenti sotto un’unica direzione interi eserciti di lavoratori, sindacati e complessi che premevano sul governo per ottenere la politica più rispondente ai loro particolari interessi, minacciava di dissolvere lo stato stesso in tante baronie economiche in acerba lotta fra loro. Gli ordinamenti democratico liberali, divenendo lo strumento di cui questi gruppi si servivano per meglio sfruttare l’intera collettività, perdevano sempre più il loro prestigio, e così si diffondeva la convinzione che solamente lo stato totalitario, abolendo le libertà popolari, potesse in qualche modo risolvere i conflitti di interessi che le istituzioni politiche esistenti non riuscivano più a contenere.
Di fatto, poi, i regimi totalitari hanno consolidato in complesso la posizione delle varie categorie sociali nei punti volta a volta raggiunti, ed hanno precluso col controllo poliziesco di tutta la vita dei cittadini e con la violenta eliminazione di tutti i dissenzienti, ogni possibilità legale di ulteriore correzione dello stato di cose vigenti. Si è così assicurata l’esistenza del ceto assolutamente parassitario dei proprietari terrieri assenteisti e dei redditieri che contribuiscono alla produzione sociale solo nel tagliare le cedole dei loro titoli; dei ceti monopolistici e delle società a catena che sfruttano i consumatori, e fanno volatilizzare i denari dei piccoli risparmiatori; dei plutocrati che, nascosti dietro le quinte, tirano i fili degli uomini politici per dirigere tutta la macchina dello stato a proprio esclusivo vantaggio, sotto l’apparenza del perseguimento dei superiori interessi nazionali. Sono conservate le colossali fortune di pochi e la miseria delle grandi masse, escluse da ogni possibilità di godere i frutti della moderna cultura. È salvato, nelle sue linee sostanziali, un regime economico in cui le riserve materiali e le forze di lavoro, che dovrebbero essere rivolte a soddisfare i bisogni fondamentali per lo sviluppo delle energie vitali umane, vengono invece indirizzate alla soddisfazione dei desideri più futili di coloro che sono in grado di pagare i prezzi più alti; un regime economico in cui, col diritto di successione, la potenza del denaro si perpetua nello stesso ceto, trasformandosi in un privilegio senza alcuna corrispondenza al valore sociale dei servizi effettivamente prestati, e il campo delle possibilità proletarie resta così ridotto, che per vivere i lavoratori sono spesso costretti a lasciarsi sfruttare da chi offra loro una qualsiasi possibilità di impiego.
Per tenere immobilizzate e sottomesse le classi operaie, i sindacati sono stati trasformati, da liberi organismi di lotta, diretti da individui che godevano la fiducia degli associati, in organi di sorveglianza poliziesca, sotto la direzione di impiegati scelti dal gruppo governante e verso esso solo responsabili. Se qualche correzione viene fatta a un tale regime economico, è sempre solo dettata dalle esigenze del militarismo, che hanno confluito con le reazionarie aspirazioni dei ceti privilegiati nel far sorgere e consolidare gli stati totalitari.
3°) Contro il dogmatismo autoritario, si è affermato il valore permanente dello spirito critico. Tutto quello che veniva asserito, doveva dare ragione di sé o scomparire. Alla metodicità di questo spregiudicato atteggiamento, sono dovute le maggiori conquiste della nostra società in ogni campo. Ma questa libertà spirituale non ha resistito alla crisi che ha fatto sorgere gli stati totalitari. Nuovi dogmi da accettare per fede, o da accettare ipocritamente, si stanno accampando da padroni in tutte le scienze.
Quantunque nessuno sappia che cosa sia una razza, e le più elementari nozioni storiche ne facciano risultare l’assurdità, si esige dai fisiologi di credere, dimostrare e convincere che si appartiene ad una razza eletta, solo perché l’imperialismo ha bisogno di questo mito per esaltare nelle masse l’odio e l’orgoglio. I più evidenti concetti della scienza economica debbono essere considerati anatemi per presentare la politica autarchica, gli scambi bilanciati e gli altri ferri vecchi del mercantilismo, come straordinarie scoperte dei nostri tempi. A causa della interdipendenza economica di tutte le parti del mondo, spazio vitale per ogni popolo che voglia conservare il livello di vita corrispondente alla civiltà moderna è tutto il globo; ma si è creata la pseudo scienza della geopolitica, che vuol dimostrare la consistenza della teoria degli spazi vitali, per dar veste teorica alla volontà di sopraffazione dell’imperialismo.
La storia viene falsificata nei suoi dati essenziali, nell’interesse della classe governante. Le biblioteche e le librerie vengono purificate di tutte le opere non considerate ortodosse. Le tenebre dell’oscurantismo di nuovo minacciano di soffocare lo spirito umano. La stessa etica sociale della libertà e dell’eguaglianza è scalzata. Gli uomini non sono più considerati cittadini liberi, che si valgono dello stato per meglio raggiungere i loro fini collettivi. Sono servitori dello stato, che stabilisce quali debbano essere i loro fini, e come volontà dello stato viene senz’altro assunta la volontà di coloro che detengono il potere. Gli uomini non sono più soggetti di diritto, ma, gerarchicamente disposti, sono tenuti ad ubbidire senza discutere alle autorità superiori che culminano in un capo debitamente divinizzato. Il regime delle caste rinasce prepotente dalle sue stesse ceneri.
Questa reazionaria civiltà totalitaria, dopo aver trionfato in una serie di paesi, ha infine trovato nella Germania nazista la potenza che si è ritenuta capace di trarne le ultime conseguenze. Dopo una meticolosa preparazione, approfittando con audacia e senza scrupoli delle rivalità, degli egoismi, della stupidità altrui, trascinando al suo seguito altri stati vassalli europei — primo fra i quali l’Italia — alleandosi col Giappone, che persegue fini identici in Asia, essa si è lanciata nell’opera di sopraffazione. La sua vittoria significherebbe il definitivo consolidamento del totalitarismo nel mondo. Tutte le sue caratteristiche sarebbero esasperate al massimo, e le forze progressive sarebbero condannate per lungo tempo ad una semplice opposizione negativa.
La tradizionale arroganza ed intransigenza dei ceti militari tedeschi può già darci un’idea di quel che sarebbe il carattere del loro dominio, dopo una guerra vittoriosa. I tedeschi, vittoriosi, potrebbero anche permettersi una lustra di generosità verso gli altri popoli europei, rispettare formalmente i loro territori e le loro istituzioni politiche, per governare così soddisfacendo lo stupido sentimento patriottico che guarda ai colori dei pali di confine ed alla nazionalità degli uomini politici che si presentano alla ribalta, invece che al rapporto delle forze ed al contenuto effettivo degli organismi dello stato. Comunque camuffata, la realtà sarebbe sempre la stessa: una rinnovata divisione dell’umanità in Spartiati ed Iloti.
Anche una soluzione di compromesso tra le parti in lotta, significherebbe un ulteriore passo innanzi del totalitarismo, poiché tutti i paesi che fossero sfuggiti alla stretta della Germania, sarebbero costretti ad adottare le sue stesse forme di organizzazione politica, per prepararsi adeguatamente alla ripresa della guerra.
Ma la Germania hitleriana, se ha potuto abbattere ad uno ad uno gli stati minori, con la sua azione ha costretto forze sempre più potenti a scendere in lizza. La coraggiosa combattività della Gran Bretagna, anche nel momento più critico in cui era rimasta sola a tener testa al nemico, ha fatto sì che i tedeschi sieno andati a cozzare contro la strenua resistenza dell’esercito sovietico e ha dato tempo all’America di avviare la mobilitazione delle sue sterminate risorse produttive. E questa lotta contro l’imperialismo tedesco si è strettamente connessa con quella che il popolo cinese va conducendo contro l’imperialismo giapponese.
Immense masse di uomini e di ricchezze sono già schierate contro le potenze totalitarie; le forze di queste potenze hanno raggiunto il loro culmine, e non possono ormai che consumarsi progressivamente. Quelle avverse hanno invece già superato il momento della massima depressione, e sono in ascesa.
La guerra degli alleati risveglia ogni giorno di più la volontà di liberazione, anche nei paesi che avevano soggiaciuto alla violenza ed erano stati smarriti per il colpo ricevuto; e persino risveglia tale volontà negli stessi popoli delle potenze dell’Asse, i quali si accorgono di essere trascinati in una situazione disperata, solo per soddisfare la brama di dominio dei loro padroni.
Il lento processo, grazie al quale enormi masse di uomini si lasciavano modellare passivamente dal nuovo regime, vi si adeguavano e contribuivano così a consolidarlo, è arrestato; si è invece iniziato il processo contrario. In questa immensa ondata che lentamente si solleva, si ritrovano tutte le forze progressive, le parti più illuminate delle classi lavoratrici che non si sono lasciate distogliere dal terrore e dalle lusinghe nella loro aspirazione ad una superiore forma di vita; gli elementi più consapevoli dei ceti intellettuali, offesi dalla degradazione cui è sottoposta la intelligenza; imprenditori che, sentendosi capaci di nuove iniziative, vorrebbero liberarsi dalle bardature burocratiche e dalle autarchie nazionali, che impacciano ogni loro movimento; tutti coloro infine che, per un senso innato di dignità, non sanno piegar la spina dorsale nell’umiliazione della servitù.
A tutte queste forze è oggi affidata la salvezza della nostra civiltà.

II. — COMPITI DEL DOPO GUERRA – L’UNITÀ EUROPEA.
La sconfitta della Germania non porterebbe però automaticamente al riordinamento dell’Europa secondo il nostro ideale di civiltà.
Nel breve intenso periodo di crisi generale (in cui gli stati giaceranno fracassati al suolo, in cui le masse popolari attenderanno ansiose le parole nuove e saranno materia fusa, ardente, suscettibile di essere colata in forme nuove, capaci di accogliere la guida di uomini seriamente internazionalisti), i ceti che più erano privilegiati nei vecchi sistemi nazionali, cercheranno subdolamente o con la violenza di smorzare l’ondata dei sentimenti e delle passioni internazionaliste, e si daranno ostentatamente a ricostituire i vecchi organismi statali. Ed è probabile che i dirigenti inglesi, magari d’accordo con quelli americani, tentino di spingere le cose in questo senso, per riprendere la politica dell’equilibrio dei poteri, nell’apparente immediato interesse dei loro imperi.
Le forze conservatrici, cioè: i dirigenti delle istituzioni fondamentali degli stati nazionali; i quadri superiori delle forze armate, culminanti, là dove ora esistono, nelle monarchie; quei gruppi del capitalismo monopolista che hanno legato le sorti dei loro profitti a quelle degli stati; i grandi proprietari fondiari e le alte gerarchie ecclesiastiche che solo da una stabile società conservatrice possono vedere assicurate le loro entrate parassitarie; ed al loro seguito tutto l’innumerevole stuolo di coloro che da essi dipendono o che anche sono solo abbagliati dalla loro tradizionale potenza; tutte queste forze reazionarie già fin da oggi sentono che l’edificio scricchiola, e cercano di salvarsi. Il crollo le priverebbe di colpo di tutte le garanzie che hanno avuto finora, e le esporrebbe all’assalto delle forze progressiste.
La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti
La caduta dei regimi totalitari significherà sentimentalmente per interi popoli l’avvento della «libertà»; sarà scomparso ogni freno, ed automaticamente regneranno amplissime libertà di parola e di associazione. Sarà il trionfo delle tendenze democratiche. Esse hanno innumerevoli sfumature, che vanno da un liberalismo molto conservatore fino al socialismo e all’anarchia. Credono nella «generazione spontanea» degli avvenimenti e delle istituzioni, nella bontà assoluta degli impulsi che vengono dal basso. Non vogliono forzare la mano alla «storia», al «popolo», al «proletariato» e come altro chiamano il loro Dio. Auspicano la fine delle dittature, immaginandola come la restituzione al popolo degli imprescrittibili diritti di autodeterminazione. Il coronamento dei loro sogni è un’assemblea costituente, eletta col più esteso suffragio e col più scrupoloso rispetto del diritto degli elettori, la quale decida che costituzione debba darsi. Se il popolo è immaturo, se ne darà una cattiva; ma correggerla si potrà solo mediante una costante opera di convinzione.
I democratici non rifuggono per principio dalla violenza; ma la vogliono adoperare solo quando la maggioranza sia convinta della sua indispensabilità, cioè propriamente quando non è più altro che un pressoché superfluo puntino da mettere sull’«i», sono perciò dirigenti adatti solo nelle epoche di ordinaria amministrazione, in cui un popolo è nel suo complesso convinto della bontà delle istituzioni fondamentali, che debbono essere solo ritoccate in aspetti relativamente secondari. Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate, ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente. La pietosa impotenza dei democratici nella rivoluzione russa, tedesca, spagnola, sono tre dei più recenti esempi. In tali situazioni, caduto il vecchio apparato statale, colle sue leggi e la sua amministrazione, pullulano immediatamente, con sembianze di vecchia legalità, o sprezzandola, una quantità di assemblee e rappresentanze popolari in cui convergono e si agitano tutte le forze sociali progressiste. Il popolo ha sì alcuni fondamentali bisogni da soddisfare, ma non sa con precisione cosa volere e cosa fare. Mille campane suonano alle sue orecchie. Con i suoi milioni di teste non riesce ad orientarsi, e si disgrega in una quantità di tendenze in lotta fra loro.
Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni. Pensano che loro dovere sia di formare quel consenso, e si presentano come predicatori esortanti, laddove occorrono capi che guidino sapendo dove arrivare. Perdono le occasioni favorevoli al consolidamento del nuovo regime, cercando di far funzionare subito organi che presuppongono una lunga preparazione, e sono adatti ai periodi di relativa tranquillità; dànno ai loro avversari armi di cui quelli poi si valgono per rovesciarli; rappresentano insomma, nelle loro mille tendenze, non già la volontà di rinnovamento, ma le confuse velleità regnanti in tutte le menti, che, paralizzandosi a vicenda, preparano il terreno propizio allo sviluppo della reazione. La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria.
Man mano che i democratici logorassero nelle loro logomachie la loro prima popolarità di assertori della libertà, mancando ogni seria rivoluzione politica e sociale, si andrebbero immancabilmente ricostituendo le istituzioni politiche pre-totalitarie, e la lotta tornerebbe a svilupparsi secondo i vecchi schemi della contrapposizione delle classi.
Il principio secondo il quale la lotta di classe è il termine cui van ridotti tutti i problemi politici, ha costituito la direttiva fondamentale specialmente degli operai delle fabbriche, ed ha giovato a dare consistenza alla loro politica, finché non erano in questione le istituzioni fondamentali; ma si converte in uno strumento di isolamento del proletariato, quando si imponga la necessità di trasformare l’intera organizzazione della società. Gli operai, educati classisticamente, non sanno allora vedere che le loro particolari rivendicazioni di classe, o addirittura di categoria, senza curarsi del come connetterle con gli interessi degli altri ceti; oppure aspirano alla unilaterale dittatura della loro classe, per realizzare l’utopistica collettivizzazione di tutti gli strumenti materiali di produzione, indicata da una propaganda secolare come il rimedio sovrano di tutti i loro mali. Questa politica non riesce a far presa su nessun altro strato, fuorché sugli operai, i quali così privano le altre forze progressive del loro sostegno, o le lasciano cadere in balìa della reazione che abilmente le organizza per spezzare le reni allo stesso movimento proletario.
Fra le varie tendenze proletarie, seguaci della politica classista e dell’ideale collettivista, i comunisti hanno riconosciuta la difficoltà di ottenere un seguito di forze sufficienti per vincere, e per ciò si sono — a differenza degli altri partiti popolari — trasformati in un movimento rigidamente disciplinato, che sfrutta il mito russo per organizzare gli operai, ma non prende legge da essi e li utilizza nelle più disparate manovre.
Questo atteggiamento rende i comunisti, nelle crisi rivoluzionarie, più efficienti dei democratici; ma, tenendo essi distinte quanto più possono le classi operaie dalle altre forze rivoluzionarie — col predicare che la loro «vera» rivoluzione è ancora da venire — costituiscono, nei momenti decisivi, un elemento settario che indebolisce il tutto. Inoltre, la loro assoluta dipendenza dallo stato russo, che li ha ripetutamente adoperati per il perseguimento della sua politica nazionale, impedisce loro di svolgere alcuna politica con un minimo di continuità. Hanno sempre bisogno di nascondersi dietro un Karoly, un Blum, un Negrin, per andare poi facilmente in rovina insieme con i fantocci democratici adoperati; poiché il potere si consegue e mantiene non semplicemente con la furberia, ma con la capacità di rispondere in modo organico e vitale alla necessità della società moderna.
Se la lotta restasse domani ristretta nel tradizionale campo nazionale, sarebbe molto difficile sfuggire alle vecchie aporie. Gli stati nazionali hanno infatti già così profondamente pianificato le rispettive economie, che la questione centrale diverrebbe ben presto quella di sapere quale gruppo di interessi economici, cioè quale classe dovrebbe detenere le leve di comando del piano. Il fronte delle forze progressiste sarebbe facilmente frantumato nella rissa fra classi e categorie economiche. Con la maggiore probabilità i reazionari sarebbero coloro che ne trarrebbero profitto.
Un vero movimento rivoluzionario dovrà sorgere da coloro che han saputo criticare le vecchie impostazioni politiche; dovrà saper collaborare con le forze democratiche, con quelle comuniste, e in genere con quanti cooperino alla disgregazione del totalitarismo; ma senza lasciarsi irretire dalla prassi politica di nessuna di esse.
Le forze reazionarie hanno uomini e quadri abili ed educati al comando, che si batteranno accanitamente per conservare la loro supremazia. Nel grave momento sapranno presentarsi ben camuffati, si proclameranno amanti della libertà, della pace, del benessere generale, delle classi più povere. Già nel passato abbiamo visto come si siano insinuate dietro i movimenti popolari, e li abbiano paralizzati, deviati, convertiti nel preciso contrario. Senza dubbio saranno la forza più pericolosa con cui si dovranno fare i conti.
Il punto sul quale esse cercheranno di far leva sarà la restaurazione dello stato nazionale. Potranno così far presa sul sentimento popolare più diffuso, più offeso dai recenti movimenti, più facilmente adoperabile a scopi reazionari: il sentimento patriottico. In tal modo possono anche sperare di più facilmente confondere le idee degli avversari, dato che per le masse popolari l’unica esperienza politica finora acquisita è quella svolgentesi entro l’ambito nazionale, ed è perciò abbastanza facile convogliare sia esse che i loro capi più miopi sul terreno della ricostruzione degli stati abbattuti dalla bufera.
Se questo scopo venisse raggiunto, la reazione avrebbe vinto. Potrebbero pure questi stati essere in apparenza largamente democratici e socialisti; il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali, e ciascuno stato di nuovo riporrebbe la soddisfazione delle proprie esigenze solo nella forza delle armi. Compito precipuo tornerebbe ad essere a più o meno breve scadenza quello di convertire i popoli in eserciti. I generali tornerebbero a comandare, i monopolisti a profittare delle autarchie, i corpi burocratici a gonfiarsi, i preti a tener docili le masse. Tutte le conquiste del primo momento si raggrinzirebbero in un nulla, di fronte alla necessità di prepararsi nuovamente alla guerra.
Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani. Il crollo della maggior parte degli stati del continente sotto il rullo compressore tedesco ha già accomunato la sorte dei popoli europei, che, o tutti insieme soggiaceranno al dominio hitleriano, o tutti insieme entreranno, con la caduta di questo, in una crisi rivoluzionaria in cui non si troveranno irrigiditi e distinti in solide strutture statali. Gli spiriti sono già ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell’Europa. La dura esperienza degli ultimi decenni ha aperto gli occhi anche a chi non voleva vedere, ed ha fatto maturare molte circostanze favorevoli al nostro ideale.
Tutti gli uomini ragionevoli riconoscono ormai che non si può mantenere un equilibrio di stati europei indipendenti, con la convivenza della Germania militarista a parità di condizioni degli altri paesi, né si può spezzettare la Germania e tenerle il piede sul collo una volta che sia vinta. Alla prova, è apparso evidente che nessun paese in Europa può restarsene da parte mentre gli altri si battono, a niente valendo le dichiarazioni di neutralità e di patti di non aggressione. È ormai dimostrata l’inutilità, anzi la dannosità di organismi sul tipo della Società delle Nazioni, che pretendeva di garantire un diritto internazionale senza una forza militare capace di imporre le sue decisioni, e rispettando la sovranità assoluta degli stati partecipanti. Assurdo è risultato il principio del non intervento, secondo il quale ogni popolo dovrebbe essere lasciato libero di darsi il governo dispotico che meglio crede, quasi che la costituzione interna di ogni singolo stato non costituisse un interesse vitale per tutti gli altri paesi europei. Insolubili sono diventati i molteplici problemi che avvelenano la vita internazionale del continente — tracciato dei confini nelle zone di popolazione mista, difesa delle minoranze allogene, sbocco al mare dei paesi situati nell’interno, questione balcanica, questione irlandese, ecc. — che troverebbe nella Federazione Europea la più semplice soluzione — come l’hanno trovata in passato i corrispondenti problemi degli staterelli entrati a far parte della più vasta unità nazionale avendo perso la loro acredine, col trasformarsi in problemi di rapporti fra le diverse provincie.
D’altra parte, la fine del senso di sicurezza dato dalla inattaccabilità della Gran Bretagna, che consigliava agli inglesi la «splendid isolation», la dissoluzione dell’esercito e della stessa repubblica francese al primo serio urto delle forze tedesche (risultato che è da sperare abbia di molto smorzata la convinzione sciovinista dell’assoluta superiorità gallica) e specialmente la coscienza della gravità del pericolo corso di generale asservimento, sono tutte circostanze che favoriranno la costituzione di un regime federale, che ponga fine all’attuale anarchia. E il fatto che l’Inghilterra abbia ormai accettato il principio dell’indipendenza indiana, e la Francia abbia potenzialmente perduto col riconoscimento della sconfitta tutto il suo impero, rendono più agevole trovare anche una base di accordo per una sistemazione europea nei possedimenti coloniali.
A tutto ciò va aggiunta infine la scomparsa di alcune delle principali dinastie, e la fragilità delle basi che sostengono quelle superstiti. Va tenuto conto infatti che le dinastie, considerando i diversi paesi come proprio tradizionale appannaggio, rappresentavano, con i poderosi interessi di cui eran l’appoggio, un serio ostacolo alla organizzazione razionale degli Stati Uniti d’Europa, i quali non possono poggiare che sulla costituzione repubblicana di tutti i paesi federati. E quando, superando l’orizzonte del vecchio continente, si abbraccino in una visione di insieme tutti i popoli che costituiscono l’umanità, bisogna pur riconoscere che la Federazione Europea è l’unica concepibile garanzia che i rapporti con i popoli asiatici e americani si possano svolgere su una base di pacifica cooperazione, in attesa di un più lontano avvenire, in cui diventi possibile l’unità politica dell’intero globo.
La linea di divisione fra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta quello antico, cioè la conquista del potere politico nazionale — e che faranno, sia pure involontariamente, il gioco delle forze reazionarie lasciando solidificare la lava incandescente delle passioni popolari nel vecchio stampo, e risorgere le vecchie assurdità — e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopreranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale.
Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami fra i singoli movimenti che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre sin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli.
Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, poiché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera. Essi avranno di fronte partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi: del MOVIMENTO PER L’EUROPA LIBERA ED UNITA.

III. — COMPITI DEL DOPO GUERRA – LA RIFORMA DELLA SOCIETÀ.
Un’Europa libera e unita è premessa necessaria del potenziamento della civiltà moderna, di cui l’era totalitaria rappresenta un arresto. La fine di questa era farà riprendere immediatamente in pieno il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Tutte le vecchie istituzioni conservatrici che ne impedivano l’attuazione saranno crollate o crollanti; e questa loro crisi dovrà essere sfruttata con coraggio e decisione.
La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita. La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia.
Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per le forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne sieno vittime. Le gigantesche forze di progresso che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del genere; quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta la collettività.
La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente in linea di principio. Questa direttiva si inserisce naturalmente nel processo di formazione di una vita economica europea liberata dagli incubi del militarismo o del burocratismo nazionale. La soluzione razionale deve prendere il posto di quella irrazionale, anche nella coscienza dei lavoratori. Volendo indicare in modo più particolareggiato il contenuto di questa direttiva, ed avvertendo che la convenienza e le modalità di ogni punto programmatico dovranno essere sempre giudicate in rapporto al presupposto ormai indispensabile dell’unità europea, mettiamo in rilievo i seguenti punti:
a) Non si possono più lasciare ai privati le imprese che, svolgendo un’attività necessariamente monopolistica, sono in condizioni di sfruttare la massa dei consumatori; ad esempio le industrie elettriche, le imprese che si vogliono mantenere in vita per ragioni di interesse collettivo ma che, per reggersi, hanno bisogno di dazi protettivi, sussidi, ordinazioni di favore ecc. (l’esempio più notevole di questo tipo d’industria sono finora in Italia le siderurgiche); e le imprese che per la grandezza dei capitali investiti e il numero degli operai occupati, o per l’importanza del settore che dominano, possono ricattare gli organi dello stato, imponendo la politica per loro più vantaggiosa (es.: industrie minerarie, grandi istituti bancari, grandi armamenti). È questo il campo in cui si dovrà procedere senz’altro a nazionalizzazioni su scala vastissima, senza alcun riguardo per i diritti acquisiti.
b) Le caratteristiche che hanno avuto in passato il diritto di proprietà e il diritto di successione, hanno permesso di accumulare nelle mani di pochi privilegiati ricchezze che converrà distribuire durante una crisi rivoluzionaria in senso egualitario, per eliminare i ceti parassitari e per dare ai lavoratori gli strumenti di produzione di cui abbisognano, onde migliorare le condizioni economiche e far loro raggiungere una maggiore indipendenza di vita. Pensiamo cioè ad una riforma agraria che, passando la terra a chi la coltiva, aumenti enormemente il numero dei proprietari, e ad una riforma industriale che estenda la proprietà dei lavoratori nei settori non statizzati, con le gestioni cooperative, l’azionariato operaio ecc.
c) I giovani vanno assistiti con le provvidenze necessarie per ridurre al minimo le distanze fra le posizioni di partenza nella lotta per la vita. In particolare la scuola pubblica dovrà dare le possibilità effettive di proseguire gli studi fino ai gradi superiori ai più idonei, invece che ai più ricchi; e dovrà preparare in ogni branca di studi, per l’avviamento ai diversi mestieri e alle diverse attività liberali e scientifiche, un numero di individui corrispondente alla domanda del mercato, in modo che le rimunerazioni medie risultino poi press’a poco eguali per tutte le categorie professionali, qualunque possano essere le divergenze fra le rimunerazioni nell’interno di ciascuna categoria, a seconda delle diverse capacità individuali.
d) La potenzialità quasi senza limiti della produzione in massa dei generi di prima necessità, con la tecnica moderna, permette ormai di assicurare a tutti, con un costo sociale relativamente piccolo, il vitto, l’alloggio e il vestiario, col minimo di conforto necessario per conservare il senso della dignità umana. La solidarietà umana verso coloro che riescono soccombenti nella lotta economica, non dovrà, per ciò, manifestarsi con le forme caritative sempre avvilenti e produttrici degli stessi mali alle cui conseguenze cercano di riparare, ma con una serie di provvidenze che garantiscano incondizionatamente a tutti, possano o non possano lavorare, un tenore di vita decente, senza ridurre lo stimolo al lavoro e al risparmio. Così nessuno sarà più costretto dalla miseria ad accettare contratti di lavoro iugulatori.
e) La liberazione delle classi lavoratrici può aver luogo solo realizzando le condizioni accennate nei punti precedenti: non lasciandole ricadere in balìa della politica economica dei sindacati monopolistici, che trasportano semplicemente nel campo operaio i metodi sopraffattori caratteristici anzitutto del grande capitale. I lavoratori debbono tornare ad essere liberi di scegliere i fiduciari per trattare collettivamente le condizioni cui intendono prestare la loro opera, e lo stato dovrà dare i mezzi giuridici per garantire l’osservanza dei patti conclusivi; ma tutte le tendenze monopolistiche potranno essere efficacemente combattute, una volta che sieno realizzate quelle trasformazioni sociali.
Questi sono i cambiamenti necessari per creare intorno al nuovo ordine un larghissimo strato di cittadini interessati al suo mantenimento, e per dare alla vita politica una consolidata impronta di libertà, impregnata di un forte senso di solidarietà sociale. Su queste basi, le libertà politiche potranno veramente avere un contenuto concreto, e non solo formale, per tutti, in quanto la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un continuo ed efficace controllo sulla classe governante.
Sugli istituti costituzionali sarebbe superfluo soffermarsi, poiché, non potendosi prevedere le condizioni in cui dovranno sorgere ed operare, non faremmo che ripetere quel che tutti già sanno sulla necessità di organi rappresentativi, sulla formazione delle leggi, sull’indipendenza della magistratura che prenderà il posto dell’attuale per l’applicazione imparziale delle leggi emanate, sulla libertà di stampa e di associazione per illuminare l’opinione pubblica e dare a tutti i cittadini la possibilità di partecipare effettivamente alla vita dello stato. Su due sole questioni è necessario precisare meglio le idee, per la loro particolare importanza in questo momento nel nostro paese: sui rapporti dello stato con la chiesa e sul carattere della rappresentanza politica:
a) Il concordato con cui in Italia il Vaticano ha concluso l’alleanza col fascismo andrà senz’altro abolito per affermare il carattere puramente laico dello stato, e per fissare in modo inequivocabile la supremazia dello stato sulla vita civile. Tutte le credenze religiose dovranno essere egualmente rispettate, ma lo stato non dovrà più avere un bilancio dei culti.
b) La baracca di cartapesta che il fascismo ha costituito con l’ordinamento corporativo cadrà in frantumi insieme alle altre parti dello stato totalitario. C’è chi ritiene che da questi rottami si potrà domani trarre il materiale per il nuovo ordine costituzionale. Noi non lo crediamo. Negli stati totalitari, le camere corporative sono la beffa che corona il controllo poliziesco sui lavoratori. Se anche però le camere corporative fossero la sincera espressione delle diverse categorie dei produttori, gli organi di rappresentanza delle diverse categorie professionali non potrebbero mai essere qualificati per trattare questioni di politica generale, e nelle questioni più propriamente economiche diverrebbero organi di sopraffazione delle categorie sindacalmente più potenti. Ai sindacati spetteranno ampie funzioni di collaborazione con gli organi statali incaricati di risolvere i problemi che più direttamente li riguardano, ma è senz’altro da escludere che ad essi vada affidata alcuna funzione legislativa, poiché risulterebbe un’anarchia feudale nella vita economica, concludentesi in un rinnovato dispotismo politico. Molti che si sono lasciati prendere ingenuamente dal mito del corporativismo, potranno e dovranno essere attratti all’opera di rinnovamento; ma occorrerà che si rendano conto di quanto assurda sia la soluzione da loro confusamente sognata. Il corporativismo non può avere vita concreta che nella forma assunta dagli stati totalitari, per irreggimentare i lavoratori sotto funzionari che ne controllino ogni mossa nell’interesse della classe governante.
Il partito rivoluzionario non può essere dilettantescamente improvvisato nel momento decisivo, ma deve sin da ora cominciare a formarsi almeno nel suo atteggiamento politico centrale, nei suoi quadri generali e nelle prime direttive d’azione. Esso non deve rappresentare una massa eterogenea di tendenze, riunite solo negativamente e transitoriamente, cioè per il loro passato antifascista e nella semplice attesa della caduta del regime totalitario, pronte a disperdersi ciascuna per la sua strada, una volta raggiunta quella meta. Il partito rivoluzionario sa invece che solo allora comincerà veramente la sua opera; e deve perciò essere costituito da uomini che si trovino d’accordo sui principali problemi del futuro.
Deve penetrare con la sua propaganda metodica ovunque vi sieno degli oppressi dell’attuale regime, e, prendendo come punto di partenza il problema volta a volta sentito come più doloroso dalle singole persone e classi, mostrare come esso si connette con altri problemi, e quale possa esserne la vera soluzione. Ma dalla sfera via via crescente dei suoi simpatizzanti deve attingere e reclutare nell’organizzazione del movimento solo coloro che hanno fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita; che disciplinatamente realizzino giorno per giorno il necessario lavoro, provvedano oculatamente alla sicurezza continua ed efficace di esso, anche nelle situazioni di più dura illegalità, e costituiscano così la solida rete che dà consistenza alla più labile sfera dei simpatizzanti.
Pur non trascurando nessuna occasione e nessun campo per seminare la sua parola, esso deve rivolgere la sua operosità in primissimo luogo a quegli ambienti che sono più importanti come centro di diffusione di idee e come centro di reclutamento di uomini combattivi; anzitutto verso i due gruppi sociali più sensibili nella situazione odierna, e decisivi in quella di domani; vale a dire la classe operaia e i ceti intellettuali. La prima è quella che meno si è sottomessa alla ferula totalitaria, e che sarà la più pronta a riorganizzare le proprie file. Gli intellettuali, particolarmente i più giovani, sono quelli che si sentono spiritualmente più soffocare e disgustare dal regnante dispotismo. Man mano altri ceti saranno inevitabilmente attratti nel movimento generale.
Qualsiasi movimento che fallisca nel compito di alleanza di queste forze, è condannato alla sterilità; poiché, se movimento di soli intellettuali, sarà privo della forza di massa necessaria per travolgere le resistenze reazionarie, sarà diffidente e diffidato rispetto alla classe operaia; ed anche se animato da sentimenti democratici, proclive a scivolare, di fronte alle difficoltà, sul terreno della mobilitazione di tutte le altre classi contro gli operai, cioè verso una restaurazione fascista. Se poggerà solo sul proletariato, sarà privo di quella chiarezza di pensiero che non può venire che dagli intellettuali, e che è necessaria per ben distinguere i nuovi compiti e le nuove vie: rimarrà prigioniero del vecchio classismo, vedrà nemici da per tutto, e sdrucciolerà sulla dottrinaria soluzione comunista.
Durante la crisi rivoluzionaria, spetta a questo movimento organizzare e dirigere le forze progressiste, utilizzando tutti quegli organi popolari che si formano spontaneamente come crogioli ardenti in cui vanno a mischiarsi le masse rivoluzionarie, non per emettere plebisciti, ma in attesa di essere guidate. Esso attinge la visione e la sicurezza di quel che va fatto non da una preventiva consacrazione da parte dell’ancora inesistente volontà popolare, ma dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Dà in tal modo le prime direttive del nuovo ordine, la prima disciplina sociale alle informi masse. Attraverso questa dittatura del partito rivoluzionario si forma il nuovo stato, e intorno ad esso la nuova vera democrazia.
Non è da temere che un tale regime rivoluzionario debba necessariamente sboccare in un rinnovato dispotismo. Vi sbocca se è venuto modellando un tipo di società servile. Ma se il partito rivoluzionario andrà creando con polso fermo, fin dai primissimi passi, le condizioni per una vita libera, in cui tutti i cittadini possano partecipare veramente alla vita dello stato, la sua evoluzione sarà, anche se attraverso eventuali secondarie crisi politiche, nel senso di una progressiva comprensione ed accettazione da parte di tutti del nuovo ordine, e perciò nel senso di una crescente possibilità di funzionamento, di istituzioni politiche libere.
Oggi è il momento in cui bisogna saper gettare via vecchi fardelli divenuti ingombranti, tenersi pronti al nuovo che sopraggiunge, così diverso da tutto quello che si era immaginato, scartare gli inetti fra i vecchi e suscitare nuove energie fra i giovani. Oggi si cercano e si incontrano, cominciando a tessere la trama del futuro, coloro che hanno scorto i motivi dell’attuale crisi della civiltà europea, e che perciò raccolgono l’eredità di tutti i movimenti di elevazione dell’umanità, naufragati per incomprensione del fine da raggiungere o dei mezzi come raggiungerlo.
La via da percorrere non è facile, né sicura. Ma deve essere percorsa, e lo sarà!

Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea

Al fine di proseguire e rilanciare l’opera di unificazione democratica dell’Europa, di cui le Comunità europee, il Sistema monetario europeo, la cooperazione politica sono le prime realizzazioni, e convinte della sempre più grande importanza per l’Europa di affermare la sua identità;
Compiacendosi dei risultati positivi raggiunti allo stadio attuale ma consapevoli della presente necessità di ridefinire gli obiettivi della costruzione europea e di dare a istituzioni più efficaci e più democratiche i mezzi per raggiungerli;
Fondandosi sulla propria adesione ai principi della democrazia pluralistica, del rispetto dei diritti dell’uomo e della preminenza del diritto;
Riaffermando il loto desiderio di contribuire alla costruzione di una società internazionale che si basi sulla cooperazione dei popoli e degli Stati, la soluzione pacifica delle controversie, la sicurezza ed il rafforzamento delle organizzazioni internazionali;
Risolute a rafforzare, mediante un’unione più stretta, le difese della pace e della libertà, e facendo appello agli altri popoli d’Europa animati dallo stesso ideale perché si associno al loro sforzo;
Decise ad accrescere la solidarietà dei popoli europei nel rispetto della loro personalità storica, della loro dignità e della loro libertà nell’ambito di istituzioni comuni liberamente accettate;
Convinte della necessità di permettere la partecipazione degli enti locali e regionali alla costruzione europea secondo forme adeguate;
Desiderose di realizzare i loro obiettivi comuni in modo progressivo, rispettando le tappe di transizione necessarie e sottoponendo ogni progresso ulteriore al consenso dei popoli e degli Stati;
Intendendo affidare ad istituzioni comuni, conformemente al principio di sussidiarietà, soltanto le competenze necessarie per assolvere i compiti che esse potranno realizzare in modo più soddisfacente che non gli Stati isolatamente;
Le Alte Parti Contraenti, Stati membri delle Comunità europee, hanno deciso di creare l’UNIONE EUROPEA.
1 Il progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea è stato redatto dalla Commissione per gli affari istituzionali del Parlamento europeo, coadiuvata da un gruppo di giuristi composto dai professori Francesco Capotorti, Meinhardt Hilf, Francis Jacobs e Jean-Paul Jacqué. L’assemblea ne ha infine approvato il testo definitivo, qui riprodotto, con una risoluzione del 14 febbraio 1984, adottata con 237 voti a favore, 31 contrari e 43 astensioni.
PARTE PRIMA
L’UNIONE
Articolo 1
Creazione dell’Unione
Con il presente Trattato, le Alte Parti Contraenti istituiscono tra loro l’Unione europea.
Articolo 2
Adesione di nuovi membri
Ogni Stato europeo democratico può chiedere di diventare membro dell’Unione. Le modalità di adesione nonché gli adattamenti che essa comporta formano oggetto di un trattato tra l’Unione e lo Stato candidato. Questo trattato viene stipulato conformemente alla procedura di cui all’articolo 65 del presente Trattato.
Un trattato di adesione che comporti una revisione del presente Trattato può essere stipulato solo dopo aver espletato la procedura di revisione di cui all’articolo 84 del presente Trattato.
Articolo 3
Cittadinanza dell’Unione.
I cittadini degli Stati membri sono per ciò stesso cittadini dell’Unione. La cittadinanza dell’Unione è legata alla qualità di cittadino di uno Stato membro; essa non può essere acquistata o perduta separatamente. I cittadini dell’Unione partecipano alla sua vita politica nelle forme previste dal presente Trattato, godono dei diritti che sono loro riconosciuti dall’ordinamento giuridico dell’Unione e si conformano alle norme di quest’ultimo.
Articolo 4
Diritti fondamentali
1. L’Unione tutela la dignità dell’individuo e riconosce a ogni persona che rientri nella sua sfera di competenza i diritti e le libertà fondamentali quali risultano in particolare dai principi comuni delle Costituzioni degli Stati membri nonché dalla Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.
2. L’Unione s’impegna a mantenere e sviluppare, entro i limiti delle sue competenze, i diritti economici, sociali e culturali che risultano dalle Costituzioni degli Stati membri nonché dalla Carta sociale europea.
3. Entro un termine di cinque anni, l’Unione decide circa la sua adesione agli strumenti internazionali sopra menzionati nonché ai Patti delle Nazioni Unite relativi ai diritti civili e politici e ai diritti economici, sociali e culturali. Entro lo stesso termine l’Unione adotta la propria dichiarazione dei diritti fondamentali secondo la procedura di revisione di cui all’articolo 84 del presente Trattato.
4. In caso di violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro dei principi democratici o dei diritti fondamentali, potranno essere adottate delle sanzioni, secondo le disposizioni di cui all’articolo 44 del presente Trattato.
Articolo 5
Territorio dell’Unione
Il territorio dell’Unione comprende l’insieme dei territori degli Stati membri come sono precisati dal trattato che istituisce la Comunità economica europea e dai Trattati di adesione, tenuto conto degli obblighi derivanti dal diritto internazionale.
Articolo 6
Personalità giuridica dell’Unione
L’Unione ha personalità giuridica. In ciascuno degli Stati membri l’Unione ha la più ampia capacità giuridica riconosciuta alle persone giuridiche dalle legislazioni
nazionali, essa può, in particolare, acquistare o alienare beni mobili e immobili e stare in giudizio. Nei rapporti internazionali l’Unione gode della capacità giuridica necessaria per esercitare le sue funzioni e raggiungere i suoi fini.
Articolo 7
Patrimonio delle realizzazioni comunitarie
1. L’Unione fa proprio ciò che è acquisito sul piano comunitario.
2. Le disposizioni dei trattati che istituiscono le Comunità europee nonché delle convenzioni e dei protocolli relativi a dette Comunità, che concernono i loro scopi e il loro campo di applicazione e che non sono modificate in modo espresso o implicito dal presente Trattato, fanno parte del diritto dell’Unione.
Esse possono essere modificate solo con la procedura di revisione di cui all’articolo 84 del presente Trattato.
3. Le altre disposizioni dei suddetti trattati, convenzioni e protocolli fanno ugualmente parte del diritto dell’Unione, purché non siano incompatibili col presente Trattato. Esse possono essere modificate solo con la procedura della legge organica di cui all’articolo 38 del presente Trattato.
4. Gli atti delle Comunità europee, nonché le misure prese nel quadro del Sistema monetario europeo e della cooperazione politica, continuano a produrre i loro effetti, purché non siano incompatibili con il presente Trattato, finché non saranno stati sostituiti da atti o misure adottati dalle istituzioni dell’Unione in conformità alle loro rispettive competenze.
5. L’Unione rispetta tutti gli impegni delle Comunità europee, in particolare gli accordi o le convenzioni stipulati con uno o più Stati terzi o con una organizzazione internazionale.
Articolo 8
Istituzioni dell’Unione
L’attuazione dei compiti affidati all’Unione è assicurata dalle sue istituzioni e dai suoi organi. Le istituzioni dell’Unione sono:
PARTE SECONDA
SCOPI, METODI D’AZIONE E COMPETENZE DELL’UNIONE
Articolo 9
Scopi
L’Unione ha i seguenti scopi:
- realizzare uno sviluppo umano ed armonico della società basato segnatamente sulla ricerca della piena occupazione, l’eliminazione progressiva degli squilibri esistenti fra le sue regioni, la protezione dell’ambiente ed il miglioramento della qualità di quest’ultimo, il progresso scientifico e culturale dei suoi popoli,
- assicurare il progresso economico dei suoi popoli nel quadro di un mercato interno libero e nel contesto di una stabilità valutaria, dell’equilibrio economico esterno e di una costante crescita economica, senza diversità di trattamento dei cittadini e delle imprese dei vari Stati membri, rafforzando la capacità degli Stati, dei loro cittadini e delle loro imprese ad adeguare in modo solidale le loro strutture e attività alle trasformazioni economiche, – promuovere nelle relazioni internazionali la sicurezza, la pace, la cooperazione, la distensione, il disarmo e la libera circolazione delle persone e delle idee, nonché il miglioramento delle relazioni commerciali e monetarie internazionali,
- contribuire allo sviluppo armonioso e giusto di tutti i popoli del mondo per permettere loro di uscire dal sottosviluppo e dalla fame e di esercitare pienamente i propri diritti politici, economici e sociali.
Articolo 10
Metodi d’azione
1. Per raggiungere tali scopi, l’Unione agisce secondo il metodo dell’azione comune o quello della cooperazione tra gli Stati membri; i campi riservati a ciascuno di questi metodi sono fissati dal presente Trattato.
2. Per azione comune s’intende l’insieme degli atti – interni o internazionali – normativi, amministrativi, finanziarie giudiziari, nonché i programmi e le raccomandazioni dell’Unione, che emanano dalle sue istituzioni e s’indirizzano o a queste ultime od agli Stati od agli individui.
3. Per cooperazione s’intendono gli impegni che gli Stati membri prendono nel quadro del Consiglio europeo.
I risultati della cooperazione sono posti in atto dagli Stati membri o dalle istituzioni dell’Unione secondo le modalità definite dal Consiglio europeo.
Articolo 11
Passaggio dal metodo della cooperazione a quello dell’azione comune
1. Nei casi previsti dagli articoli 54, paragrafo 1, e 68, paragrafo 2, del presente Trattato, talune materie che rientrano nell’ambito della cooperazione tra Stati possono diventare oggetto di azioni comuni. Su proposta della Commissione o del Consiglio dell’Unione o del Parlamento o di uno o più Stati membri, il Consiglio europeo decide previa consultazione della Commissione e con l’accordo del Parlamento, di sottoporre queste materie alla competenza esclusiva o concorrente dell’Unione.
2. Nei campi che rientrano nell’ambito dell’azione comune, quest’ultima non può essere sostituita dalla cooperazione.
Articolo 12
Competenze
1. Quando il presente Trattato attribuisce una competenza esclusiva all’Unione, soltanto le istituzioni dell’Unione sono competenti per agire; le autorità nazionali non possono intervenire se non per quanto previsto dalla legge dell’Unione. Finché l’Unione non ha legiferato, le norme nazionali restano in vigore.
2. Quando il presente Trattato attribuisce una competenza concorrente all’Unione, l’azione degli Stati membri si esercita nei casi in cui l’Unione non è intervenuta. L’Unione agisce esclusivamente per svolgere i compiti che in comune possono essere svolti più efficacemente che non dai singoli Stati membri separatamente, in particolare quelli la cui realizzazione richiede l’azione dell’Unione giacché le loro dimensioni o i loro effetti oltrepassano i confini nazionali. La legge che mette in moto l’azione comune in un settore non ancora affrontato dall’Unione o dalle Comunità dev’essere adottata secondo la procedura della legge organica.
Articolo 13
Attuazione del diritto dell’Unione
L’Unione e gli Stati membri cooperano in uno spirito di reciproca fiducia per l’applicazione del diritto dell’Unione. Gli Stati membri adottano tutte le misure di carattere generale o particolare atte ad assicurare l’esecuzione degli obblighi derivanti dal presente Trattato ovvero determinati dagli atti delle istituzioni dell’Unione. Essi agevolano quest’ultima nell’adempimento dei suoi compiti. Essi si astengono da qualsiasi misura che rischi di compromettere la realizzazione degli scopi dell’Unione.
PARTE TERZA
DISPOSIZIONI ISTITUZIONALI

TITOLO I
LE ISTITUZIONI DELL’UNIONE
Articolo 14
Parlamento europeo
Il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale diretto, col voto libero e segreto dei cittadini dell’Unione. La durata della legislatura è di cinque anni.
Una legge organica stabilirà una procedura elettorale uniforme; fino all’entrata in vigore di questa legge, la procedura applicabile è quella vigente per la elezione del Parlamento delle Comunità europee.
Articolo 15
Membri del Parlamento
I membri del Parlamento agiscono e votano individualmente e personalmente. Essi non possono essere vincolati da istruzioni né ricevere un mandato imperativo.
Articolo 16
Funzioni del Parlamento
Il Parlamento
- partecipa, conformemente al presente Trattato, alla procedura legislativa e a quella di bilancio nonché alla stipulazione degli accordi internazionali;
- dà l’investitura alla Commissione, approvando il suo programma politico;
- esercita il controllo politico sulla Commissione;
- ha il potere di approvare a maggioranza qualificata una mozione di censura che obbliga i membri della Commissione a dimettersi collettivamente dalle loro funzioni;
- dispone di un potere d’inchiesta e riceve le petizioni che vengono ad esso indirizzate dai cittadini dell’Unione;
- esercita le altre competenze ad esso attribuite dal presente Trattato.
Articolo 17
Maggioranze in seno al Parlamento
1. II Parlamento vota a maggioranza semplice, cioè a maggioranza dei suffragi espressi senza considerare le astensioni.
2. Nei casi espressamente previsti dal presente Trattato, il Parlamento vota:
a) a maggioranza assoluta, cioè a maggioranza dei suoi membri;
b) o a maggioranza qualificata, cioè a maggioranza dei membri e dei 2; 3 dei suffragi espressi, senza considerare le astensioni. In occasione della votazione del bilancio in seconda lettura, si definisce qualificata la maggioranza dei membri del Parlamento e dei 3/5 dei suffragi espressi, senza considerare le astensioni.
Articolo 18
Potere d’inchiesta e petizioni
Le modalità secondo cui si esercitano il potere d’inchiesta del Parlamento e il diritto dei cittadini di indirizzare delle petizioni al Parlamento sono stabilite da leggi organiche.
Articolo 19
Regolamento interno del Parlamento
Il Parlamento adotta il suo regolamento interno a maggioranza assoluta.
Articolo 20
Consiglio dell’Unione
Il Consiglio dell’Unione è composto di rappresentanze degli Stati membri nominate dai loro rispettivi governi; ogni rappresentanza è diretta ad un ministro incaricato in modo specifico e permanente degli affari dell’Unione.
Articolo 21
Funzioni del Consiglio dell’Unione
Il Consiglio:
- partecipa, conformemente al presente Trattato, alla procedura legislativa e a quella di bilancio nonché alla stipulazione degli accordi internazionali;
- esercita le competenze ad esso assegnate nel settore delle relazioni internazionali e risponde alle interrogazioni scritte e orali presentate dai membri del Parlamento in questo campo;
- esercita le altre competenze ad esso attribuite dal presente Trattato.
Articolo 22
Ponderazione dei voti in seno al Consiglio dell’Unione
Al voto di ogni rappresentanza è attribuita la ponderazione prevista all’articolo 148, paragrafo 2, del trattato che istituisce la Comunità economica europea.
In caso di adesione di nuovi Stati membri, la ponderazione dei voti loro attribuiti è determinata dal trattato di adesione.
Articolo 23
Maggioranze in seno al Consiglio dell’Unione
1. Il Consiglio vota a maggioranza semplice, cioè a maggioranza dei voti ponderati espressi senza considerare le astensioni.
2. Nei casi espressamente previsti dal presente Trattato, il Consiglio vota
a) a maggioranza assoluta, cioè a maggioranza dei voti ponderati, senza considerare le astensioni, comprendente almeno la metà delle rappresentanze,
b) o a maggioranza qualificata, cioè a maggioranza dei 2/3 dei voti ponderati, senza considerare le astensioni, comprendente la maggioranza delle rappresentanze.
In occasione della votazione del bilancio in seconda lettura, si definisce qualificata la maggioranza dei 3/5 dei voti ponderati, senza considerare le astensioni, comprendente la
maggioranza delle rappresentanze,
c) o all’unanimità delle rappresentanze, senza considerare le astensioni.
3. Durante un periodo transitorio di dieci anni, quando una rappresentanza invoca un interesse nazionale vitale messo in causa dalla decisione da adottare e riconosciuto come tale dalla Commissione, la votazione è rinviata affinché la questione sia riesaminata. I motivi della richiesta di rinvio devono essere resi pubblici.
Articolo 24
Regolamento interno del Consiglio dell’Unione
Il Consiglio adotta il suo regolamento interno a maggioranza assoluta. II regolamento prevede la pubblicità delle riunioni nel corso delle quali il
Consiglio agisce come autorità legislativa o di bilancio.
Articolo 25
Commissione
La Commissione entra in funzione entro sei mesi dall’elezione del Parlamento.
All’inizio di ogni legislatura, il Consiglio europeo nomina il Presidente della Commissione. Quest’ultimo forma la Commissione dopo aver consultato il Consiglio europeo.
La Commissione sottopone il suo programma al Parlamento. Essa entra in funzione dopo aver ricevuto da quest’ultimo l’investitura. Essa resta in funzione fino all’investitura della nuova Commissione.
Articolo 26
Composizione della Commissione
La struttura ed il funzionamento della Commissione nonché lo statuto dei suoi membri sono stabiliti da una legge organica. Fino all’entrata in vigore di detta legge, le norme concernenti la struttura ed il funzionamento della Commissione delle Comunità europee, nonché lo statuto dei suoi membri si applicano alla Commissione dell’Unione.
Articolo 27
Regolamento interno della Commissione
La Commissione adotta il suo regolamento interno.
Articolo 28
Funzioni della Commissione
La Commissione:
- definisce nel programma che sottopone all’approvazione del Parlamento gli orientamenti dell’azione dell’Unione,
- prende le iniziative appropriate per la loro attuazione,
- dispone dell’iniziativa delle leggi e partecipa alla procedura legislativa,
- adotta i regolamenti di applicazione delle leggi e prende le necessarie decisioni di esecuzione,
- presenta il progetto di bilancio,
- esegue il bilancio,
- rappresenta l’Unione nelle relazioni esterne nei casi previsti dal presente Trattato,
- vigila sull’applicazione del presente Trattato e delle leggi dell’Unione,
- esercita le altre competenze ad essa attribuite dal presente Trattato.
Articolo 29
Responsabilità della Commissione davanti al Parlamento
1. La Commissione è responsabile davanti al Parlamento.
2. Essa risponde alle interrogazioni scritte ed orali presentate dai membri di quest’ultimo.
3. I membri della Commissione devono abbandonare collettivamente le loro funzioni in seguito alla votazione da parte del Parlamento di una mozione di censura a maggioranza qualificata. La votazione della mozione di censura può aver luogo soltanto a scrutinio pubblico e non prima che siano trascorsi tre giorni del suo deposito.
4. Dopo la censura, una nuova Commissione è formata secondo la procedura di cui all’articolo 25 del presente Trattato. Fino all’investitura della nuova Commissione, la Commissione censurata gestisce gli affari correnti.
Articolo 30
Corte di giustizia
1. La Corte di giustizia assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del presente Trattato e di ogni atto adottato in virtù di esso.
2. I membri della Corte sono nominati per metà dal Parlamento e per metà dal Consiglio dell’Unione. Qualora il numero dei membri fosse dispari, il Parlamento ne nominerà uno in più del Consiglio.
3. L’organizzazione della Corte, il numero e lo statuto dei suoi membri e la durata del loro mandato sono disciplinati da una legge organica che stabilisce anche la procedura e le maggioranze richieste per la loro nomina. Fino all’entrata in vigore di tale legge, si applicano alla Corte di giustizia dell’Unione le disposizioni pertinenti dei Trattati comunitari e le misure adottate per la loro attuazione.
4. La Corte adotta il suo regolamento di procedura.
Articolo 31
Consiglio europeo
Il Consiglio europeo comprende i Capi di Stato e di governo degli Stati membri dell’Unione e il Presidente della Commissione, il quale partecipa ai lavori del Consiglio europeo, eccezion fatta per il dibattito relativo alla nomina del suo successore e all’elaborazione di messaggi e raccomandazioni indirizzati alla Commissione.
Articolo 32
Funzioni del Consiglio europeo
1. II Consiglio europeo
- formula raccomandazioni e prende impegni nel campo della cooperazione,
- decide nei casi previsti dal presente Trattato e secondo la procedura di cui all’articolo 11 circa l’ampliamento delle competenze dell’Unione,
- nomina il Presidente della Commissione,
- indirizza messaggi alle altre istituzioni dell’Unione,
- informa periodicamente i1 Parlamento sull’attività dell’Unione nei settori di sua competenza,
- risponde alle interrogazioni scritte e orali presentate dai membri del Parlamento;
- esercita le altre competenze ad esso attribuite dal presente Trattato.
2. Il Consiglio europeo determina le proprie procedure di decisione.
Articolo 33
Organi dell’Unione
1. L’Unione ha i seguenti organi:
- la Corte dei Conti,
- il Comitato economico e sociale,
- la Banca europea per gli investimenti,
- il Fondo monetario europeo.
Leggi organiche stabiliscono le norme concernenti le attribuzioni ed i poteri di tali organi nonché la loro organizzazione e composizione.
2. I membri della Corte dei Conti sono nominati per metà dal Parlamento e per metà dal Consiglio dell’Unione.
3. II Comitato economico e sociale è organo di consulenza della Commissione, del Parlamento, del Consiglio dell’Unione e del Consiglio europeo e può indirizzare loro pareri di propria iniziativa. Il Comitato viene consultato su ogni proposta avente un’influenza determinante sull’elaborazione e l’attuazione della politica economica e della politica della società. Il Comitato adotta il suo regolamento interno. La composizione del Comitato deve assicurate una rappresentanza adeguata delle varie categorie della vita economica e sociale.
4. Il Fondo monetario europeo dispone della necessaria autonomia per garantire la stabilità monetaria.
5. Ciascuno dei sopra menzionati organi è disciplinato dalle disposizioni applicabili ai corrispondenti organi comunitari al momento dell’entrata in vigore del presente Trattato.
L’Unione può creare, mediante una legge organica, altri organi necessari al suo funzionamento.


TITOLO II
GLI ATTI DELL’UNIONE
Articolo 34
Definizione della legge
1. La legge determina le norme che si applicano all’azione comune. Nella misura del possibile essa si limita a determinare i principi fondamentali dell’azione comune e lascia alle autorità incaricate della sua esecuzione, siano esse dell’Unione o degli Stati membri, la cura di precisare le modalità di applicazione.
2. L’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni nonché altre materie espressamente previste dal presente Trattato sono disciplinate da leggi organiche adottate secondo le modalità particolari di cui all’articolo 38 del presente Trattato.
3. La legge di bilancio è approvata conformemente alle disposizioni dell’articolo 76 del presente
Trattato.
Articolo 35
Applicazione differenziata della legge
La legge può subordinare a taluni termini o accompagnare con talune misure transitorie differenziate a seconda del destinatario l’attuazione delle sue disposizioni, qualora l’uniformità di applicazione di queste incontri difficoltà particolari dovute alla situazione specifica di taluni suoi destinatari. Questi termini e queste misure devono nondimeno tendere a facilitare l’ulteriore applicazione dell’insieme delle disposizioni della legge a tutti i suoi destinatari.
Articolo 36
Autorità legislativa
Il Parlamento e il Consiglio dell’Unione esercitano congiuntamente il potere legislativo, con la partecipazione attiva della Commissione.
Articolo 37
Iniziativa delle leggi e degli emendamenti
I. La Commissione ha l’iniziativa delle leggi. Essa può ritirare in ogni momento i progetti di legge da essa presentati finché il Parlamento o il Consiglio dell’Unione non li abbiano espressamente adottati in prima lettura.
2. Su richiesta motivata del Parlamento o del Consiglio, la Commissione presenta un progetto di legge conforme a tale richiesta. In caso di rifiuto della Commissione, il Parlamento od il Consiglio, secondo la procedura prevista nei rispettivi regolamenti, possono presentare un progetto di legge conforme alla propria richiesta iniziale. La Commissione deve esprimere il suo parere sul progetto.
3. Alle condizioni di cui all’articolo 38 del presente Trattato
- la Commissione può presentare emendamenti a qualsiasi progetto di legge; questi emendamenti devono essere votati con priorità;
- i membri del Parlamento e le rappresentanze nazionali in seno al Consiglio possono anche presentare emendamenti in occasione dei dibattiti in seno alle loro rispettive istituzioni.
Articolo 38
Votazione della legge
I. Tutti i progetti di legge sono presentati al Parlamento. Entro un termine di sei mesi quest’ultimo approva il progetto, con o senza emendamenti.
Quando si tratta di un progetto di legge organica, il Parlamento può emendarlo a maggioranza assoluta; per la sua approvazione è richiesta la maggioranza qualificata.
Qualora le maggioranze richieste per l’approvazione del progetto non siano state raggiunte, la Commissione ha il diritto di modificarlo e di ripresentarlo al Parlamento.
2. Il progetto approvato, con o senza emendamenti, dal Parlamento è trasmesso al Consiglio dell’Unione. La Commissione può esprimere, entro un termine di un mese dall’approvazione del Parlamento, un parere che viene parimenti trasmesso al Consiglio.
3. Il Consiglio delibera entro un termine di sei mesi. Qualora esso approvi il progetto a maggioranza assoluta senza emendarlo o lo respinga all’unanimità, la procedura legislativa è terminata. Qualora la Commissione abbia dato espressamente un parere sfavorevole al progetto o si tratti di un progetto di legge organica, il Consiglio, a maggioranza qualificata, approva il progetto senza emendarlo o lo respinge; in tali casi la procedura legislativa è terminata.
- Qualora il progetto sia stato posto in votazione senza ottenere i risultati qui sopra menzionati o qualora il progetto sia emendato a maggioranza semplice o a maggioranza assoluta per le leggi organiche, viene aperta la procedura di concertazione di cui al paragrafo 4 del presente articolo.
4. Nei casi previsti all’ultimo comma del paragrafo 3 del presente articolo, viene convocato il Comitato di concertazione. Tale Comitato si compone di una delegazione del Consiglio dell’Unione e di una delegazione del Parlamento. La Commissione partecipa ai lavori del Comitato.
Qualora, entro un termine di tre mesi, il Comitato pervenga a un accordo su un testo comune, tale testo viene sottoposto per approvazione al Parlamento e al Consiglio che deliberano a maggioranza assoluta o, per le leggi organiche, a maggioranza qualificata entro un termine di tre mesi. Non è ricevibile alcun emendamento.
Qualora, entro il termine sopra menzionato, il Comitato non pervenga ad un accordo, il testo scaturito dal Consiglio viene sottoposto per approvazione al Parlamento che delibera entro un termine di tre mesi a maggioranza assoluta o, per le leggi organiche, a maggioranza qualificata. Sono ricevibili unicamente gli emendamenti presentati dalla Commissione. Il Consiglio può, entro un termine di tre mesi, respingere a maggioranza qualificata il testo adottato dal Parlamento. In tal caso non è ricevibile
alcun emendamento.
5. Fatto salvo l’articolo 23, paragrafo 3, del presente Trattato, qualora il Parlamento o il Consiglio non pongano in votazione il progetto entro i termini fissati, il testo è considerato adottato dall’istituzione che non si è pronunciata. Tuttavia una legge non può essere considerata adottata se essa non sia stata esplicitamente approvata dal Parlamento ovvero dal Consiglio.
6. Qualora una determinata situazione lo richieda, il Parlamento e il Consiglio possono, di comune accordo prorogare i termini previsti dal presente articolo.
Articolo 39
Pubblicazione della legge
Fatto salvo l’articolo 76, paragrafo 4, del presente Trattato, il Presidente del ramo dell’autorità legislativa che ha deciso esplicitamente per ultimo constata la conclusione della procedura legislativa e fa pubblicare senza indugio la legge nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione.
Articolo 40
Potere regolamentare
La Commissione adotta i regolamenti e le decisioni necessarie all’applicazione della legge conformandosi alle modalità previste da quest’ultima. I regolamenti formano oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione e le decisioni vengono notificate ai destinatati. Il Parlamento e il Consiglio dell’Unione ne vengono immediatamente informati.
Articolo 41
Audizione delle persone interessate
Prima di adottare una misura, le istituzioni dell’Unione procedono, per quanto possibile e utile, all’audizione delle persone interessate. La legge dell’Unione organizza le modalità di tale audizione.
Articolo 42
Diritto dell’Unione
Il diritto dell’Unione è direttamente applicabile negli Stati membri. Esso prevale sui diritti nazionali. Fatte salve le competenze attribuite alla Commissione, l’applicazione dì tale diritto è assicurata dalle autorità degli Stati membri. Una legge organica determina le modalità secondo cui la Commissione vigila su tale applicazione. Le istanze giudiziarie nazionali sono tenute ad applicare il diritto dell’Unione.
Articolo 43
Controllo giudiziario
Le disposizioni comunitarie relative al controllo giudiziario sono applicabili all’Unione. Esse saranno completate da una legge organica sulla base dei seguenti principi:
- estensione del diritto di ricorso dei singoli contro gli atti dell’Unione lesivi nei loro confronti.
- uguale diritto di ricorso e parità di trattamento di tutte le istituzioni dinanzi alla Corte di
giustizia,
- competenza della Corte per la protezione dei diritti fondamentali nei confronti dell’Unione,
- competenza della Corte per annullate un atto dell’Unione nel quadro di una procedura pregiudiziale di invalidità o di un’eccezione di illegittimità,
- introduzione di un ricorso in cassazione dinanzi alla Corte contro le decisioni giudiziarie nazionali rese in ultima istanza che rifiutino di rivolgere ad essa una domanda pregiudiziale o non rispettino una sentenza pregiudiziale pronunciata dalla Corte,
- competenza della Corte per sanzionare l’inosservanza da parte degli Stati membri degli obblighi che scaturiscono dal diritto dell’Unione,
- competenza obbligatoria della Corte per pronunciarsi sulle controversie tra gli Stati membri in connessione con gli scopi dell’Unione.
Articolo 44
Sanzioni
Nel caso previsto dall’articolo 4, paragrafo 4, del presente Trattato e in ogni altro caso di violazione grave e persistente da parte di uno Stato membro delle disposizioni del presente Trattato, previa constatazione della Corte di giustizia su richiesta del Parlamento o della Commissione, il Consiglio europeo, dopo aver ascoltato lo Stato in questione, previo parere conforme del Parlamento, può adottare misure:
- che mirano a sospendere i diritti risultanti dall’applicazione di una parte o della totalità delle disposizioni del presente Trattato, allo Stato in questione ed ai suoi cittadini fatti salvi i diritti acquisiti da questi ultimi,
- che possono arrivare fino a sospendere la partecipazione dello Stato in questione al Consiglio europeo ed al Consiglio dell’Unione, nonché a qualsiasi altro organo in cui lo Stato sia rappresentato come tale.
Lo Stato in questione non partecipa alla votazione in merito alle sanzioni.
PARTE QUARTA
LE POLITICHE DELL’UNIONE
Articolo 45
Principi generali
1. Sulla base di ciò che è acquisito sul piano comunitario, l’Unione prosegue le azioni intraprese e ne intraprende di nuove conformemente al presente Trattato e in particolare al suo articolo 9.
2. Le politiche strutturali e congiunturali dell’Unione sono elaborate ed attuate in modo da permettere, parallelamente ad un’espansione equilibrata di tutta l’Unione, la progressiva eliminazione degli squilibri esistenti fra le sue diverse aree e regioni.
Articolo 46
Spazio giuridico omogeneo
Al di fuori dei campi che rientrano nell’ambito dell’azione comune, il coordinamento delle legislazioni nazionali, allo scopo di formare uno spazio giuridico omogeneo, viene realizzato con il metodo della cooperazione; tutto ciò in particolare:
- per prendere misure atte a rafforzare il senso di appartenenza all’Unione da parte dei cittadini;
- per lottare contro le forme internazionali di criminalità, ivi compreso il terrorismo.
La Commissione e il Parlamento possono rivolgere raccomandazioni in tal senso al Consiglio europeo.
TITOLO 1
POLITICA ECONOMICA
Articolo 47
Mercato interno e libera circolazione
1. L’Unione ha competenza esclusiva per portare a compimento, garantire e sviluppare la libera circolazione delle persone, dei servizi, dei beni e dei capitali sul suo territorio; essa ha parimenti competenza esclusiva in materia di commercio fra gli Stati membri.
2. Tale liberalizzazione viene effettuata sulla base di programmi e calendari precisi e vincolanti fissati dall’autorità legislativa, secondo le modalità della procedura legislativa. La Commissione stabilisce le modalità di esecuzione di tali programmi.
3. Attraverso tali programmi l’Unione deve realizzare:
- entro un termine di due anni dall’entrata in vigore del presente Trattato, la libera circolazione delle persone e dei beni, che comporta segnatamente l’eliminazione dei controlli sulle persone alle frontiere interne,
- entro un termine di cinque anni dall’entrata in vigore del presente Trattato, la libera circolazione dei servizi, ivi compresi i servizi bancari e le assicurazioni di qualsiasi natura,
- entro un termine di dieci anni dall’entrata in vigore del presente Trattato, la libera circolazione dei capitali.
Articolo 48
Concorrenza
L’Unione ha competenza esclusiva per portare a compimento e sviluppare la politica di concorrenza a livello dell’Unione, tenuto conto:
- della necessità di instaurare un regime di autorizzazione per le concentrazioni di imprese ispirato ai criteri fissati dall’articolo 66 del Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio,
- delle necessità di ristrutturazione e rafforzamento industriali dell’Unione di fronte alle profonde perturbazioni che possono essere provocate dalla concorrenza internazionale,
- della necessità di vietare qualsiasi discriminazione tra le imprese private e pubbliche.
Articolo 49
Ravvicinamento delle legislazioni relative alle imprese e delle legislazioni fiscali
L’Unione adotta delle misure intese al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative alle imprese, e in particolare alle società, qualora tali disposizioni abbiano un’incidenza diretta su una azione comune dell’Unione. La legge stabilisce uno statuto di impresa europea.
Nella misura necessaria alla realizzazione dell’integrazione economica dell’Unione, la legge opera il ravvicinamento delle legislazioni fiscali.
Articolo 50
Politica della congiuntura
1. L’Unione esercita una competenza concorrente in materia di politica congiunturale, al fine di facilitare segnatamente il coordinamento delle politiche economiche nell’ambito dell’Unione.
2. La Commissione definisce gli orientamenti e gli obiettivi cui deve rispondere l’azione degli Stati membri sulla base dei principi ed entro i limiti fissati dalla legge.
3. La legge fissa le condizioni alle quali la Commissione vigila sulla conformità delle misure adottate dagli Stati membri agli obiettivi da essa definiti. La legge autorizza la Commissione a subordinare il contributo monetario, di bilancio o finanziario dell’Unione al rispetto delle misure adottate in applicazione del paragrafo 2 del presente articolo.
4. La legge fissa le condizioni alle quali la Commissione utilizza, in concertazione con gli Stati membri, i meccanismi di bilancio e finanziari dell’Unione a fini congiunturali.
Articolo 51
Politica del credito
L’unione esercita una competenza concorrente riguardo alla politica monetaria e alla politica del credito europea, in particolare allo scopo di coordinare il ricorso al mercato dei capitali, mediante la creazione di un comitato europeo per il mercato dei capitali nonché di un’autorità europea di sorveglianza sulle banche.
Articolo 52
Sistema monetario europeo
1. Tutti gli Stati membri partecipano al Sistema monetario europeo con riserva del principio di cui all’articolo 35 del presente Trattato.
2. L’Unione esercita una competenza concorrente in vista della progressiva realizzazione dell’Unione monetaria completa.
3. Con legge organica si stabiliscono le regole concernenti:
- lo statuto ed il funzionamento del Fondo monetario europeo conformemente all’articolo 33 del presente Trattato,
- le condizioni del trasferimento effettivo al Fondo monetario europeo di una parte delle riserve degli Stati membri,
- le condizioni di trasformazione progressiva dell’ECU in moneta di riserva e in mezzo di pagamento, e dell’estensione della sua utilizzazione,
- le modalità e le tappe di realizzazione dell’Unione monetaria,
- gli obblighi e i vincoli delle Banche centrali nella determinazione dei loro obiettivi in materia di creazione di moneta.
4. Nel corso dei cinque anni successivi alla data di entrata in vigore del presente Trattato, in deroga agli articoli 36, 38 e 39 dello stesso, il Consiglio europeo può sospendere l’entrata in vigore delle leggi organiche sopra menzionate entro il termine di un mese dalla loro adozione e rinviarle per un nuovo esame al Parlamento e al Consiglio dell’Unione.
Articolo 53
Politiche settoriali
Per rispondere alle necessità specifiche di organizzazione, promozione e coordinamento di taluni settori di attività economica, l’Unione dispone di competenze concorrenti con quelle degli Stati membri per condurre politiche Settoriali adeguate a livello dell’Unione. Nei campi appresso indicati queste politiche perseguono in particolare lo scopo di facilitare, mediante la creazione di condizioni-quadro stabili, le decisioni che le imprese devono prendere in un contesto concorrenziale in materia di investimenti e innovazioni. 1 campi interessati sono segnatamente:
- l’agricoltura e la pesca,
- i trasporti,
- le telecomunicazioni,
- la ricerca/sviluppo,
- l’industria,
- l’energia.
a) Nei campi dell’agricoltura e della pesca, l’Unione persegue una politica destinata a realizzare gli obiettivi definiti all’articolo 39 del Trattato che istituisce la Comunità economica europea.
b) Nel campo dei trasporti, l’Unione persegue una politica che mira a contribuire all’integrazione economica degli Stati membri.
Essa intraprende in particolare delle azioni comuni per porre fine a qualsiasi forma di discriminazione, per armonizzare le condizioni di base della concorrenza fra i vari modi di trasporto, per eliminare gli ostacoli al traffico transfrontaliero, per potenziare la capacità delle vie di comunicazione onde creare una rete di trasporti corrispondente alle esigenze europee.
c) Nel campo delle telecomunicazioni, l’Unione intraprende azioni comuni per create una rete di telecomunicazioni che abbia norme comuni e tariffe armonizzate; la sua competenza si esercita segnatamente nei settori di punta, nelle azioni di ricerca e sviluppo e nella politica delle commesse pubbliche.
d) Nel campo della ricerca/sviluppo, al fine di coordinare e orientare le azioni nazionali e di favorire la cooperazione fra gli Stati membri e fra gli istituti di ricerca, l’Unione può elaborare delle strategie comuni. Essa può fornire un sostegno finanziario alle ricerche comuni, può assumersi una parte dei loro rischi e può intraprendere ricerche nei propri stabilimenti.
e) Nel campo industriale, l’Unione può elaborare delle strategie di sviluppo al fine di orientare e coordinare le politiche degli Stati membri nei rami industriali particolarmente
importanti per la sicurezza economica e politica dell’Unione. Il compito di adottare le necessarie misure di applicazione è affidato alla Commissione, che presenterà al Parlamento e al Consiglio dell’Unione una relazione periodica sui problemi di politica industriale.
f) Nel campo dell’energia, l’intervento dell’Unione mira a garantire la sicurezza degli approvvigionamenti, la stabilità del mercato dell’Unione e, nella misura in cui vi sia una
regolamentazione dei prezzi, una politica armonizzata dei prezzi stessi, compatibile con una concorrenza leale. Essa mira parimenti a promuovere lo sviluppo delle energie alternative e rinnovabili, a introdurre norme tecniche comuni in materia di efficienza, di sicurezza e di protezione delle popolazioni e dell’ambiente, e a incoraggiare l’utilizzazione delle fonti europee di energia.
Articolo 54
Altre forme di cooperazione
1. Quando taluni Stati membri hanno preso l’iniziativa di creare strutture di cooperazione industriale al di fuori del campo di applicazione del presente Trattato, il Consiglio europeo può, qualora l’interesse comune lo giustifichi, decidere di trasformare tali forme di cooperazione in azione comune dell’Unione.
2. In taluni settori particolari sottoposti a un’azione comune la legge può creare delle agenzie europee specializzate e definire le norme di controllo loro applicabili.
TITOLO II
POLITICA DELLA SOCIETA
Articoli 55
Principi generali
L’Unione ha una competenza concorrente in materia di politica sociale e della sanità, di protezione dei consumatori, di politica regionale, dell’ambiente, di istruzione e ricerca, culturale e dell’informazione.
Articolo 56
Politica sociale e della sanità
L’Unione interviene nel campo della politica sociale e della sanità, in particolare per quanto concerne
- l’occupazione, e in particolare la determinazione di condizioni generali paragonabili per il mantenimento e la creazione di posti di lavoro,
- il diritto del lavoro e le condizioni di lavoro,
- la parità tra uomini e donne,
- la formazione e il perfezionamento professionale,
- la sicurezza e l’assistenza sociale,
- la protezione contro gli infortuni e le malattie professionali,
- l’igiene del lavoro,
- il diritto sindacale e i negoziati collettivi tra datori di lavoro e lavoratori, segnatamente in vista della stipulazione di convenzioni collettive a livello dell’Unione,
- le forme di partecipazione dei lavoratori alle decisioni relative alla vita professionale nonché all’organizzazione delle imprese,
- la determinazione della misura in cui i cittadini di Stati terzi beneficiano della parità di trattamento,
- il ravvicinamento delle normative in materia di ricerca, fabbricazione, proprietà attive e vendita dei prodotti farmaceutici,
- la prevenzione della tossicomania,
- il coordinamento dell’assistenza reciproca in caso di epidemie e calamità.
Articolo 57
Politica nei confronti dei consumatori
L’Unione può stabilire norme destinate a proteggere la salute e la sicurezza dei consumatori nonché i loro interessi economici, particolarmente in caso di danni. L’Unione può incoraggiare delle azioni che mirino a promuovere l’educazione, l’informazione e la consultazione dei consumatori.
Articolo 58
Politica regionale
La politica regionale dell’Unione tende a ridurre le disparità regionali e segnatamente il ritardo delle regioni meno favorite, rilanciando le attività in tali regioni ai fini del loro ulteriore sviluppo e contribuendo a crearvi le condizioni atte a far cessare l’eccessiva concentrazione dei flussi migratori verso determinati centri di produzione. La politica regionale dell’Unione incoraggia altresì la collaborazione regionale transfrontaliera.
La politica regionale dell’Unione, pur completando la politica regionale degli Stati membri, persegue scopi specifici dell’Unione.
La politica regionale dell’Unione comporta:
- l’elaborazione di un quadro europeo per le politiche di assetto del territorio condotte dalle autorità competenti in ciascuno Stato membro,
- la promozione di investimenti e di progetti di infrastrutture che inseriscono i programmi nazionali nel quadro di una concezione globale,
- la realizzazione di programmi integrati dell’Unione a favore di talune regioni, preparati in collaborazione con i rappresentanti delle popolazioni interessate e, se possibile, l’assegnazione degli stanziamenti necessari direttamente alle regioni interessate.
Articolo 59
Politica dell’ambiente
Nel campo dell’ambiente, l’Unione mira a garantire la prevenzione e, tenendo conto nella misura del possibile del principio del chi inquina paga, la riparazione dei danni che eccedono l’ambito di uno Stato membro o richiedono una soluzione collettiva. Essa incoraggia una politica di impiego razionale delle risorse naturali, di utilizzazione delle materie prime rinnovabili e di riciclaggio dei rifiuti che tenga conto delle necessità della protezione dell’ambiente,
L’Unione adotta delle misure miranti alla protezione degli animali.
Articolo 60
Politica di istruzione e di ricerca
A1 fine di creare un quadro che aiuti i cittadini a prendere coscienza dell’identità propria dell’Unione e di garantire un livello minimo d’istruzione che consenta di scegliere liberamente l’attività professionale, il posto di lavoro o un centro di formazione in qualsiasi luogo dell’Unione, quest’ultima adotta delle misure concernenti:
- la definizione di obiettivi di formazione comuni o paragonabili,
- la validità e l’equivalenza a livello dell’Unione dei diplomi e dei periodi di scolarità, di studio e di formazione,
- la promozione della ricerca scientifica.
Articolo 61
Politica culturale
1. L’Unione può adottare misure aventi lo scopo di:
- promuovere la comprensione culturale e linguistica tra i cittadini dell’Unione,
- far conoscere la vita culturale dell’Unione sia all’interno che all’esterno,
- stabilire programmi di scambi di giovani.
2. L’Istituto universitario europeo e la Fondazione europea divengono organismi dell’Unione.
3. La legge stabilisce le norme relative al ravvicinamento delle legislazioni in materia di diritti
d’autore e alla libera circolazione delle opere culturali.
Articolo 62
Politica dell’informazione
L’Unione promuove lo scambio di informazioni e l’accesso dei cittadini all’informazione. A tal fine, essa elimina gli ostacoli che si frappongono alla libera circolazione delle informazioni, assicurando nel contempo la più ampia concorrenza possibile in questo campo e la pluralità delle forme di organizzazione. Essa incoraggia la cooperazione tra società radiofoniche e televisive, al fine dell’elaborazione di programmi concepiti a livello dell’Unione.
TITOLO III
LE RELAZIONI INTERNAZIONALI DELL’UNIONE
Articolo 63
Principi e metodi d’azione
1. L’Unione dirige i suoi sforzi, in materia di relazioni internazionali, verso il raggiungimento della pace mediante la soluzione pacifica dei conflitti nonché verso la sicurezza, la dissuasione dall’aggressione, la distensione, la riduzione reciproca equilibrata e controllabile delle forze militari e degli armamenti, il rispetto dei diritti dell’uomo, l’aumento del tenore di vita nel Terzo Mondo, lo sviluppo e il miglioramento delle relazioni economiche e monetarie internazionali in generale e degli scambi commerciali in particolare, nonché il raffor zamento dell’organizzazione internazionale.
2. L’azione internazionale dell’Unione mira a realizzare gli obiettivi definiti all’articolo 9 del
presente Trattato. Essa è esercitata con il metodo dell’azione comune oppure con il metodo della cooperazione.
Articolo 64
Azione comune
1. Nelle relazioni internazionali, l’Unione utilizza il metodo dell’azione comune nei campi di competenza esclusiva o concorrente menzionati nel presente Trattato.
2. Nel campo della politica commerciale, l’Unione dispone di una competenza esclusiva.
3. L’Unione persegue una politica di aiuto allo sviluppo. Nel corso di un periodo transitorio di dieci anni, il complesso di questa politica forma progressivamente oggetto di un’azione comune dell’Unione. Nella misura in cui gli Stati membri continuano a svolgere dei programmi indipendenti, l’Unione definisce il quadro nel quale essa assicura il coordinamento di detti programmi con la propria politica, nel rispetto degli impegni internazionali in vigore.
4. Quando talune politiche esterne rientrano nel quadro delle competenze esclusive delle Comunità europee sulla base dei trattati che le istituiscono, ma tali competenze non sono state appieno esercitate, una legge precisa le modalità necessarie perché siano esercitate appieno entro un termine che non potrà superare i cinque anni.
Articolo 65
Svolgimento dell’azione comune
1. Nell’esercizio delle sue competenze, l’Unione è rappresentata dalla Commissione nelle sue relazioni con i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali. In particolare, la Commissione negozia gli accordi internazionali a nome dell’Unione. Essa assicura le relazioni con tutte le organizzazioni internazíonali, e collabora con il Consiglio d’Europa, segnatamente nel settore culturale.
2. II Consiglio dell’Unione può impartire alla Commissione delle direttive per condurre talune azioni internazionali; esso deve impartirle dopo averle approvate a maggioranza assoluta, quando la Commissione partecipa alla elaborazione di atti e al negoziato di accordi destinati a creare obblighi internazionali per l’Unione.
3. II Parlamento è informato, in tempo utile e secondo modalità appropriate, di ogni azione delle istituzioni competenti in materia di politica internazionale.
4. Il Parlamento e il Consiglio dell’Unione, deliberando ambedue alla maggioranza assoluta,
approvano gli accordi internazionali e incaricano il Presidente della Commissione di depositate gli strumenti di ratifica.
Articolo 66
Cooperazione
L’Unione conduce le sue relazioni internazionali con il metodo della cooperazione quando l’articolo 64 del presente Trattato non sia applicabile e quando si tratti di:
- questioni concernenti direttamente gli interessi di vari Stati membri dell’Unione,
- campi in cui gli Stati membri operanti isolatamente non possono agire con efficacia pari a quella dell’Unione,
- campi in cui una politica dell’Unione appare necessaria per completare le politiche estere condotte nel quadro delle competenze degli Stati membri,
- questioni relative agli aspetti politici ed economici della sicurezza.
Articolo 67
Svolgimento della cooperazione
Nei campi di cui all’articolo 66 del presente Trattato:
I. Il Consiglio europeo ha la responsabilità della cooperazione; il Consiglio dell’Unione assicura lo svolgimento della cooperazione; la Commissione può proporre politiche ed azioni che sono attuate, su richiesta del Consiglio europeo o del Consiglio dell’Unione, dalla Commissione o dagli Stati membri.
2. L’Unione vigila sulla coerenza degli orientamenti di politica internazionale degli Stati membri.
3. L’Unione coordina le posizioni degli Stati membri in sede di negoziato di accordi internazionali e nel quadro di organizzazioni internazionali.
4. Qualora l’urgenza esiga un’azione immediata, uno Stato membro particolarmente interessato può agire isolatamente dopo averne informato il Consiglio europeo e la Commissione.
5. Il Consiglio europeo può chiedere al suo Presidente, al Presidente del Consiglio dell’Unione o alla Commissione di fungere da portavoce dell’Unione.
Articolo 68
Ampliamento del campo della cooperazione e trasferimento dalla cooperazione all’azione comune
1. Il Consiglio europeo può ampliare il campo della cooperazione, segnatamente in materia di armamenti, vendita di armi a paesi terzi, politica di difesa, disarmo.
2. Alle condizioni di cui all’articolo 11 del presente Trattato, il Consiglio europeo può decidere di trasferire all’azione comune di politica esterna un campo specifico di cooperazione. In tal caso, le disposizioni di cui all’articolo 23, paragrafo 3, del presente Trattato sono applicabili senza limitazioni di tempo. Ispirandosi al principio di cui all’articolo 35 del presente Trattato, il Consiglio dell’Unione può, a titolo eccezionale e con voto unanime, autorizzare uno o più Stati membri a derogare a talune misure adottate nel quadro dell’azione comune.
3. In deroga all’articolo 11, paragrafo 2, del presente Trattato, il Consiglio europeo può decidere di sottoporre nuovamente alla cooperazione o alla competenza degli Stati membri i campi trasferiti all’azione comune conformemente al paragrafo 2 del presente articolo.
4. Alle condizioni indicate al paragrafo 2 del presente articolo, il Consiglio europeo può decidere di trasferire all’azione comune un problema determinato per il tempo necessario alla sua soluzione. In tal caso, il paragrafo 3 del presente articolo non si applica.
Articolo 69
Diritto di legazione
1. La Commissione può, con l’accordo del Consiglio dell’Unione, aprire rappresentanze in paesi terzi e presso organizzazioni internazionali.
2. Esse sono incaricate di rappresentare l’Unione in tutti gli affari che concernono l’azione comune. Esse possono anche, in collaborazione con l’agente diplomatico dello Stato membro che assicura la presidenza del Consiglio europeo, coordinare l’attività diplomatica degli Stati membri nelle materie che rientrano nella cooperazione.
3. Negli Stati terzi e presso le organizzazioni internazionali in cui non vi sia una rappresentanza dell’Unione, quest’ultima è rappresentata dall’agente diplomatico dello Stato membro che tiene la presidenza del Consiglio europeo o, mancando questo, dall’agente diplomatico di qualsiasi altro Stato membro.
PARTE QUINTA
LE FINANZE DELL’UNIONE
Articolo 70
1. L’Unione dispone di finanze proprie, gestite dalle sue istituzioni, sulla base del bilancio adottato dall’autorità di bilancio. Quest’ultima è composta dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell’Unione.
2. Le entrate dell’Unione sono utilizzate per assicurare l’esecuzione delle azioni comuni intraprese dall’Unione. L’attuazione di ogni nuova azione da parte dell’Unione presuppone che l’attribuzione a quest’ultima delle risorse finanziarie necessarie sia sottoposta alla procedura dell’articolo 71, paragrafo 2, del presente Trattato.
Articolo 71
Entrate
1. Al momento dell’entrata in vigore del presente Trattato, l’Unione dispone di entrate della stessa natura di quelle di cui dispongono le Comunità europee. Tuttavia, l’Unione riceve una percentuale fissa della base imponibile dell’IVA, stabilita dal bilancio nel quadro della programmazione di cui all’articolo 74 del presente Trattato.
2. L’Unione può modificare mediante legge organica la natura o la base imponibile delle entrate esistenti o crearne di nuove, Essa autorizza mediante legge la Commissione a emettere prestiti, nel rispetto dell’articolo 75, paragrafo 2, del presente Trattato.
3. La riscossione delle entrate dell’Unione è assicurata in via di principio dalle autorità degli Stati membri. Tali entrate vengono versate, non appena riscosse, all’Unione. La legge precisa le modalità di applicazione del presente paragrafo e può istituire servizi di esazione dell’Unione stessa.
Articolo 72
Spese
1. Le spese dell’Unione sono determinate annualmente sulla base di una valutazione del costo di ciascuna azione comune nel quadro del programma finanziario di cui all’articolo 74 del presente Trattato.
2. Almeno una volta all’anno, la Commissione presenta all’autorità di bilancio una relazione sull’efficacia delle azioni intraprese, tenuto conto del loro costo.
3. Tutte le spese dell’Unione sono oggetto della medesima procedura di bilancio.
Articolo 73
Perequazione finanziaria
Un sistema di perequazione finanziaria è introdotto allo scopo di attenuare eccessivi squilibri economici tra le regioni .Una legge organica stabilisce le modalità di applicazione di questo sistema.
Articolo 74
Programmi finanziari
1. All’inizio di ciascuna legislatura, dopo aver ricevuto l’investitura, la Commissione sottopone al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione una relazione sulla ripartizione fra l’Unione e gli Stati membri delle responsabilità relative alla realizzazione delle azioni comuni e degli oneri finanziari che ne derivano.
2. Su proposta della Commissione, un programma finanziario pluriennale, adottato secondo la procedura legislativa, definisce l’evoluzione delle spese e delle entrate dell’Unione. Tali previsioni, rivedute annualmente, servono di base per la preparazione del bilancio.
Articolo 75
Bilancio
1. Il bilancio prevede ed autorizza tutte le spese e le entrate dell’Unione per ciascun anno civile. Il bilancio deve essere votato in pareggio. 1 bilanci rettificativi e suppletivi sono votati alle stesse condizioni del bilancio. Le entrate non ricevono una destinazione particolare.
2. Il bilancio stabilisce l’importo massimo delle operazioni di assunzione ed erogazione di prestiti per il relativo esercizio. Salvo eccezione espressamente prevista dal bilancio, con i fondi di origine creditizia è possibile finanziare unicamente degli investimenti.
3. Gli stanziamenti sono ripartiti per capitoli che riuniscono le spese secondo la loro natura o la loro destinazione e suddivisi conformemente alle disposizioni del regolamento finanziario. Le spese di tutte le istituzioni, ad eccezione della Commissione, formano oggetto di parti separate del bilancio che sono elaborate e gestite da queste istituzioni e possono contenere unicamente spese di funzionamento.
4. Il regolamento finanziario dell’Unione è adottato mediante una legge organica.
Articolo 76
Procedura di bilancio
1. La Commissione elabora il progetto di bilancio e lo trasmette all’autorità di bilancio.
2. Entro i termini fissati dal regolamento finanziario:
a) il Consiglio dell’Unione può approvare in prima lettura e a maggioranza semplice emendamenti. 11 progetto di bilancio. con o senza emendamenti, è trasmesso al Parlamento;
b) il Parlamento può modificare, in prima lettura e a maggioranza assoluta, gli emendamenti del Consiglio e approvare, a maggioranza semplice, nuovi emendamenti;
c) qualora la Commissione si opponga, entro un termine di quindici giorni, agli emendamenti approvati dal Consiglio o dal Parlamento in prima lettura, il ramo in questione dell’autorità di bilancio deve prendere, in seconda lettura, una nuova decisione a maggioranza qualificata;
d) qualora il bilancio non sia stato emendato o sia stato emendato negli stessi termini dal Parlamento e dal Consiglio e qualora la Commissione non abbia esercitato il suo diritto di opposizione agli emendamenti, il bilancio è considerato definitivamente adottato;
e) il Consiglio può modificare in seconda lettura, a maggioranza qualificata, gli emendamenti approvati dal Parlamento. Esso può rinviare, con un voto a maggioranza qualificata, l’intero progetto di bilancio emendato dal Parlamento alla Commissione e chiedere a quest’ultima di presentare un nuovo progetto; se non lo rinvia, il progetto di bilancio è in ogni caso trasmesso al Parlamento;
f) in seconda lettura, il Parlamento può respingere gli emendamenti approvati dal Consiglio soltanto a maggioranza qualificata; esso adotta il bilancio a maggioranza assoluta.
3. Qualora uno dei due rami dell’autorità di bilancio non decida entro i termini previsti dal regolamento finanziario, il progetto sottoposto al suo esame è considerato adottato.
4. Quando la procedura prevista al presente articolo è ultimata, il Presidente del Parlamento constata che il bilancio è definitivamente adottato e provvede a farlo pubblicare senza indugio nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione
Articolo 77
Dodicesimi provvisori
Qualora il bilancio non sia adottato all’inizio dell’esercizio, le spese Possono essere effettuate mensilmente, alle condizioni previste dal regolamento finanziario, entro il limite di un dodicesimo degli stanziamenti del bilancio dell’esercizio precedente, tenuto conto dei bilanci rettificativi e suppletivi.
Alla scadenza del sesto mese successivo all’inizio dell’esercizio finanziario, la Commissione può effettuare unicamente le spese che consentono all’Unione di rispettare gli obblighi esistenti.
Articolo 78
Esecuzione del bilancio
Il bilancio è eseguito dalla Commissione sotto la sua responsabilità alle condizioni previste dal regolamento finanziario.
Articolo 79
Controllo dei conti
L’esecuzione del bilancio è controllata dalla Corte dei Conti. Essa esplica la sua funzione in maniera indipendente e dispone a tal fine dei poteri di indagine nei riguardi delle istituzioni e degli organi dell’Unione e delle istanze nazionali interessate.
Articolo 80
Conto di gestione
Dopo la chiusura dell’esercizio, la Commissione sottopone all’autorità di bilancio nella forma prevista dal regolamento finanziario il conto di gestione che espone nel complesso le operazioni dell’esercizio ed è accompagnato dalla relazione della Corte dei Conti.
Articolo 81
Discarico
II Parlamento decide di accordare, di rinviare o di rifiutare il discarico; la decisione di discarico può essere accompagnata da osservazioni di cui la Commissione deve tenere conto.
PARTE SESTA
DISPOSIZIONI FINALI E GENERALI
Articolo 82
Entrata in vigore
Il presente Trattato è aperto alla ratifica di tutti gli Stati membri delle Comunità europee.
Allorché il presente Trattato sarà stato ratificato da una maggioranza degli Stati membri delle Comunità la cui popolazione costituisca 2/3 della popolazione complessiva delle Comunità, i governi degli Stati membri che avranno ratificato si riuniranno immediatamente per decidere di comune accordo le procedure e la data di entrata in vigore del presente Trattato nonché le relazioni con gli Stati membri che non hanno ancora ratificato.
Articolo 83
Deposito degli strumenti di ratifica
Gli strumenti di ratifica saranno depositati presso il Governo dello Stato che abbia adempiuto per primo alle formalità di ratifica.
Articolo 84
Revisione del Trattato
Una rappresentanza in seno al Consiglio dell’Unione, un terzo dei membri del Parlamento o la Commissione possono sottoporre all’autorità legislativa un progetto di legge motivato, recante emendamento ad una o più disposizioni del presente Trattato. Il progetto è sottoposto all’approvazione dei due rami dell’autorità legislativa che deliberano secondo la procedura della legge organica. Il progetto così approvato è sottoposto alla ratifica degli Stati membri ed ,entra in vigore quando l’hanno tutti ratificato.
Articolo 85
La sede
Il Consiglio europeo fissa la sede delle istituzioni. Qualora il Consiglio europeo non abbia deciso in merito alla sede nei due anni successivi all’entrata in vigore del presente Trattato, l’autorità legislativa delibera in via definitiva, secondo la procedura della legge organica.
Articolo 86
Riserve
Le disposizioni del presente Trattato non possono essere oggetto di alcuna riserva. Il presente articolo non pregiudica la possibilità per gli Stati membri di mantenere, per quanto concerne l’Unione, le dichiarazioni da essi fatte nei confronti dei trattati e convenzioni che fanno parte del patrimonio delle realizzazioni comunitarie.
Articolo 87
Il presente Trattato è concluso per una durata illimitata.


Nessun commento: