mercoledì, ottobre 21, 2015

Riforma dell’acqua: difendiamo la Sicilia e il bene comune

Giovanni Panepinto
di GIOVANNI PANEPINTO 
Si decide sull’acqua l’ultimo sprezzo della dignità costituzionale del nostro Statuto, approvato dai padri costituenti contemporaneamente alla Carta Costituzionale. Sulla riforma del servizio idrico si gioca un grande affare, in Italia e in Sicilia: tra novelle Cassandre e multinazionali dei salotti della finanza si consuma l’ennesimo scontro sul grande affare dell’acqua, con il governo nazionale che promuove l’impugnativa per la sostanziale abrogazione della legge regionale 19 dell’agosto scorso, la cosiddetta “riforma dell’acqua pubblica”. Ma i redattori dell’impugnativa promossa nel Consiglio dei Ministri del 10 ottobre 2015 sono sfacciatamente in malafede. Il richiamo, infatti, alla tutela della concorrenza è lo stesso trucco messo in campo dalla legge “Fitto-Berlusconi” (legge poi bocciata dalla Corte Costituzionale) per svuotare il risultato referendario del 2011.

 La Regione Siciliana ha potestà legislativa esclusiva in materia di acqua pubblica e affermare il contrario significa tutelare gli interessi privati piuttosto che quelli di carattere generale. Andiamo al merito dei rilievi. La frammentazione dell’ambito ottimale? Va detto senza giri di parole che l’assessorato all’Energia (che ha vessato e commissariato i comuni che hanno difeso il risultato referendario) non è stato in grado, nel corso dell’approvazione della legge, di presentare uno studio di bacini idrografici  omogeneo. I bacini idrografici omogenei e i Comuni che ne fanno parte devono costituire il governo del sistema idrico integrato. Il primo comma dell’articolo 3 affida proprio all’assessore il compito di individuare, entro 60 giorni dall’approvazione della legge, ambiti territoriali ottimali coincidenti con le zone omogenee dei bacini idrografici. Questo è il principio fondante della Legge Galli.
 L’idea dell’ambito unico rischia di incarnare la stessa filosofia del sovrambito, che nel 2014 portò il governo della Regione a “regalare” ad una multinazionale francese tutto il sistema idrico dell’isola stabilendo contrattualmente il costo dell’acqua all’ingrosso ad € 0,59 circa a metro cubo. Il prezzo più caro del mondo. A tal proposito l’assessorato non ha mai dato attuazione alle disposizioni dell’articolo 49 della legge finanziaria del 2010. Non sappiano se l’assessore abbia provveduto a verificare la conformità delle norme del contratto stipulato con Siciliacque con l’ordinamento giuridico nazionale e comunitario ai sensi dell’articolo 6 della legge. Nella Regione Friuli Venezia  Giulia è previsto che le tariffe siano stabilite dagli ambiti territoriali ottimali. L’autorità nazionale dell’Energia e del Gas rivendica una potestà esclusiva che non le è riconosciuta da nessuna norma costituzionale o dal sistema giuridico comunitario. La sentenza della Corte Costituzionale n. 255 del 2014 a firma del Presidente Mattarella, cancellando la figura del Commissario dello Stato riconosce il peso costituzionale dell’Autonomia Speciale della Sicilia e ribadisce il rango costituzionale dello Statuto.
La Sicilia ricorra dunque alla Corte Costituzionale per difendere la propria riforma e nessuno pensi di riportare in aula un testo rimaneggiato per accontentare la lobby dell’acqua.
Quanto, poi, alle esternazioni del mio amico Davide Faraone, gli suggerisco di analizzare cosa è accaduto in Sicilia: gli investimenti nel settore idrico sono al palo perché, così come nei rifiuti, interi apparati della Regione non hanno mai controllato nulla. Sono falliti i gestori di Palermo e Siracusa lasciando debiti e disoccupati. In Sicilia, la regione più povera d’Italia, l’acqua è la più cara d’Italia. L’articolo 9 della legge, se applicato, farebbe partire i lavori per rifare le reti idriche e adeguare i depuratori. Ogni ritardo nell’attuazione del predetto articolo comporta danni alla Sicilia e la responsabilità è in carico al vertice politico e al vertice amministrativo dell’assessorato all’Energia. La questione “acqua” divide i due modi di intendere la politica. L’assessore Contrafatto ha dichiarato in un’intervista che l’importante è garantire l’acqua ai cittadini. Sono d’accordo, ma a quale prezzo? Io e lei guadagniamo molto di più di un pensionato con 500 euro al mese, per cui dobbiamo garantire che il concetto di acqua pubblica coincida con l’accessibilità a questo bene primario per tutti, a tariffe basse. Bisogna abbattere i costi all’ingrosso dell’acqua e della distribuzione. Ciò può avvenire solo con la gestione pubblica da parte dei comuni. Non c’è residualità ideologica ma è l’etica della politica e il principio fondamentale del Partito Democratico. Sono certo che nelle sedi politiche del PD regionale e nazionale ci si potrà confrontare su questo tema. La legge è in vigore e deve essere rispettata e fatta rispettare dall’assessore, dal dirigente generale e dai funzionari. Il presidente Crocetta, in nome e per conto della maggioranza dei siciliani, resista davanti la Corte Costituzionale per difendere l’Autonomia e lo Statuto della Regione. L’acqua è un diritto per tutti, non un affare per pochi.


 * di Giovanni Panepinto, deputato regionale PD e promotore della "legge sull'acqua" in Sicilia
Mercoledì, 21 Ottobre 2015

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