mercoledì, aprile 29, 2015

Le buone idee danno buoni frutti. Anche dopo un secolo

Bernardino Verro e Salvo Piparo, l'attore che l'ha interpretato
di DINO PATERNOSTRO
A 100 anni dall’assassinio di Bernardino Verro, lo scorso 24 aprile a Corleone si è tenuta l’anteprima nazionale del film “Per quel soffio di libertà”, per la regia di Alberto Castiglione, dedicato al leader del movimento dei fasci dei lavoratori di fine Ottocento e primo sindaco socialista della città. Il film, che il 14 maggio sarà presentato anche all'Expo di Milano, si avvale della consulenza storica di chi scrive e può contare sul sostegno di Sicilia Film Commission, della Cgil, della Flai, dello Spi, dell’Alpaa e della Legacoop. Nonostante sia rimasto sulla scena politico-sindacale di Corleone e della Sicilia per oltre 20 anni (o forse proprio per questo), ancora oggi il personaggio Verro suscita forti e – per certi versi – inconfessate resistenze. Tra il 1891 e il 1892, fu lui, insieme a Rosario Garibaldi Bosco, Nicola Barbato, Giuseppe De Felice Giuffrida e pochi altri, a organizzare per la prima volta i contadini e a dare loro una coscienza di classe.



Fu lui che il 31 luglio 1893 elaborò i Patti di Corleone, che rappresentano il primo esempio di contratto sindacale scritto nell’Italia capitalistica. E fu sempre lui, tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, a costituire una cooperativa di consumo tramite cui garantire a prezzi “calmierati” i generi di prima necessità a oltre 1.000 famiglie corleonesi, e in seguito la cooperativa Unione agricola, inventando le “affittanze collettive”, mediante le quali i contadini prendevano in locazione gli ex feudi dei “signori”, bypassando l’intermediazione parassitaria (e criminale) dei gabelloti mafiosi.

Con questo metodo, Verro e i contadini corleonesi e siciliani avrebbero potuto espellere la mafia dai feudi – fino a decretarne la scomparsa – senza bisogno della repressione statale. Purtroppo, la repressione ci fu, ma quella degli agrari, della criminalità organizzata e dei poteri pubblici, e si strinse a tenaglia sul movimento contadino, fino a stritolarlo. In questo modo, la mafia divenne sempre più forte e lo Stato, che già allora praticava la “trattativa” con i poteri criminali, divenne sempre più debole, provocando enormi ritardi nello sviluppo economico e sociale della Sicilia.


Il film parla di tutto questo. Ma è anche un pretesto per parlare del lavoro e dello sviluppo nella legalità, che oggi sono necessari e possibili. Non a caso, in occasione della proiezione all’Expo di Milano saranno presenti, insieme al regista e ai dirigenti di Cgil e Legacoop, anche i produttori agricoli organizzati nell’associazione “Fior di Corleone”, che ha l’obiettivo di commercializzare in Italia e in Europa i “buoni cibi” di quel territorio, quelli che – come dicono da queste parti – possono vantare di possedere la vitamina “L” della legalità.

L’associazione, nata in seguito all’esperienza della coop sociale “Lavoro e non solo”, che gestisce i beni confiscati alla mafia, ha sottoscritto un protocollo d’intesa con la Flai Cgil, impegnandosi in tutte le fasi della produzione e della distribuzione a rispettare i contratti di lavoro e le leggi sociali. Un importantissimo risultato, per il raggiungimento del quale Verro già si batteva con la cooperativa di consumo e con la cooperativa agricola. Evidentemente, le “buone idee” continuano a dare “buoni frutti”, anche a distanza di un secolo.

Il leader dei contadini corleonesi fu assassinato nel pomeriggio del 3 novembre 1915, mentre ritornava a casa dopo una giornata di lavoro. Appena un anno e mezzo prima era stato eletto sindaco di Corleone, il primo sindaco socialista della città. Un “affronto” che i “fratuzzi” (così si chiamavano allora i mafiosi di Corleone) non poterono tollerare. Da qui la decisione di eliminarlo con 11 colpi di pistola, 4 dei quali sparatigli al capo da distanza ravvicinata.

A piangere la morte di Verro, la sua compagna Maria Rosa Angelastri, rimasta sola con la figlioletta di pochi mesi, Giuseppina Pace Umana. Ma anche un movimento contadino disorientato e scolvolto da tanta violenza. Al processo-lampo, durato appena 18 giorni, tutti gli imputati furono assolti: non con la classica formula dell’insufficienza di prove, ma addirittura per non aver commesso il fatto. Seguì il buio del fascismo, fino alla ripresa delle lotte contadine nel secondo dopoguerra, a Placido Rizzotto e alla riforma agraria.

(Dino Paternostro, Lettera da Corleone, pubblicata su Rassegna.it, la rivista della Cgil nazionale)

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