giovedì, luglio 17, 2014

Lumia: "La riforma del Senato è una straordinaria opportunità democratica"

Giuseppe Lumia
Oggi sono intervenuto al Senato sulla riforma costituzionale per il superamento del bicameralismo perfetto. Una straordinaria opportunità democratica per rendere più efficienti le nostre istituzioni. Di seguito il testo del mio intervento.
Giuseppe Lumia
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Colleghi,
è vero siamo vicini ad una svolta. La riforma costituzionale è finalmente reale. La riforma costituzionale è possibile.Trent'anni di ripetuti tentativi. Tutti falliti. Dalla Commissione Bozzi alla Commissione D' Alema. Poi, la riforma andata male del 2001 del Centro-Destra, poi quella sempre discutibile del 2006 del Centro-Sinistra. Il Paese non può più rimandare. La riforma costituzionale è una risorsa, una straordinaria opportunità democratica.
Evitiamo che diventi un problema, un problema che divide e separa brutalmente la politica al suo interno e crea l'ennesima delusione sempre più rovinosa tra i cittadini, le istituzioni e le stesse forze politiche. Certo, è risorsa, se cambia in modo virtuoso il nostro assetto istituzionale e se costruisce un assetto parlamentare in grado di dare dinamismo ed energia vitale ad un'Italia che ha bisogno di rimettersi in moto e conquistare la fiducia degli italiani attraverso un inedito e radicale percorso di riforme, in grado di coniugare, forse per la prima volta nella storia legalità e sviluppo. Insomma, per avere un Paese rimotivato al suo interno, autorevole sul piano europeo ed internazionale, perché capace di avere istituzioni forti in grado di affrontare t! emi storici come la lotta alle mafie e alla corruzione, l'innovazione della nostra società nei diritti civili e sociali, il rilancio dell'economia su basi nuove di sostenibilità e di crescita.

E' vero la nostra Costituzione del '48 è ancora moderna. Ha dei valori, regole e programma ancora tutti da realizzare. Mi riferisco in particolar modo alla prima parte. Mentre è innegabile che la seconda parte ha molti limiti, senz'altro giustificati perché ancorati alla sua dinamica storica. I nostri costituenti avvertirono il bisogno di dare alla democrazia dopo la seconda guerra mondiale, quindi dopo il fascismo, una caratterizzazione ben precisa: “Democrazia della rappresentanza”, “Democrazia della partecipazione”, “Democrazia dell'inclusione”.  Il "bicameralismo paritario" rispondeva a questa esigenza ed il sistema elettorale proporzionale ne era lo strumento più coerente per eleggere deputati e senatori. Era giusto così. Tutti dovevano sentirsi coinvolti e tutti i soggetti politici e sociali dovevano essere messi nella condizione d! i poter dare il proprio contributo. A tutti era garantito un "pezzo" di potere. Bisognava costruire una cultura democratica, si diceva allora "includere le masse", per molti versi estranee ad un'idea e ad una pratica della democrazia. Bisognava diffondere il benessere e contenere il conflitto che una società in crescita dirompente portava con sé, come poi in effetti è avvenuto negli anni '60 e negli anni '70.
Si è necessariamente trascurata un 'altra dimensione vitale che è quella della “decisione democratica”. Niente a che spartire con l'autoritarismo o lo stesso decisionismo. Si riteneva, inoltre, che fossero del tutto irrilevanti i tempi stessi della decisione. Così pure non si dava centralità ai territori: sia ai Comuni che alle Regioni. Oggi nell'Italia della crisi si è preso coscienza che la decisione democratica è una risorsa e non una pietra d'inciampo della democrazia e che i tempi della decisione sono importanti quanto il metodo decisionale.
Oggi per lo più condividiamo un punto fermo del dibattito costituzionale di questi giorni e della proposta che il Governo Renzi ha avuto il coraggio di avanzare: basta col bicameralismo perfetto, differenziamo strutturalmente le due funzioni di Camera e Senato: una sola Camera che da la fiducia al Governo, una sola Camera che interviene sulle leggi ordinarie e un'altra Camera che ha funzioni di garanzia e di raccordo con le politiche pubbliche ed europee e con le dinamiche del territorio. È un impianto democratico moderno, presente in altri Paesi avanzati e che si pone più in coerenza con la necessità di creare un'Italia che fa della decisione democratica e dei territori la sua forza nel cuore del potere legislativo. Diversamente, lasciare senza risposta la domanda di decisione democratica e di rappresentanza territoriale, che nei cittadini non è in contrasto con la domanda di partecipazione,&n! bsp;avrebbe portato un altro possibile sbocco: rafforzare gli esecutivi sino al presidenzialismo e di fatto esautorare oltre misura il potere legislativo. Delle due l’una. O si rafforza la capacità dei Parlamenti di stare al passo dei mutamenti della società, oppure bisogna dare più poteri agli esecutivi, come è avvenuto in diverse democrazie avanzate a cui non rimproveriamo un eccesso di capacità decisionale anzi spesso ne invidiamo tenuta sociale, stabilità dei governi, rilevanza dei soggetti politici e qualità della democrazia.

Rimane una questione aperta che ci divide: la scelta se il Senato deve essere un organo elettivo di primo grado o frutto di rappresentanza di secondo grado. Si è imboccata la strada  del Senato come espressione di rappresentanza dei territori, con una elezione indiretta dei propri componenti. Non è uno scandalo. E' un modello sempre democratico, in questa fase forse più coerente con le due principali domande democratiche presenti nel Paese: più decisione democratica con un ruolo forte della Camera dei Deputati e più peso alla rappresentanza democratica territoriale con un nuovo ruolo del Senato. La preoccupazione espressa legittimamente di una perdita di democraticità nella selezione dei rappresentanti del Senato non va imputata all'elezione di secondo grado, ma semmai alla legge elettorale che dovremo scegliere per eleggere i parlamentari che comporranno la Camera dei Deputati. Com! e la legge elettorale proporzionale della Prima Repubblica rispondeva meglio al bicameralismo perfetto, oggi è più coerente dotarci di una legge elettorale che superi le liste bloccate dei cosiddetti parlamentari “nominati” per la formazione della nuova Camera dei Deputati. Questo è il vero punto di contraddizione con l'impianto complessivo che il Governo ci propone.
Abbiamo bisogno di una legge elettorale che preveda un rapporto più diretto tra eletti e cittadini. I modelli possono essere diversi. Alcuni preferiscono i collegi uninominali, altri la preferenza. Personalmente preferisco la doppia preferenza di genere che sperimentata nei comuni in Sicilia sta dando dei risultati straordinari in termini di coinvolgimento e partecipazione delle donne. In questo modo il nuovo modello del “bicameralismo diversificato” può realizzarsi superando qualunque preoccupazione democratica, per consegnare al Paese un potere legislativo forte e capace di tenere il passo con le innovazioni e con il superamento strutturale della crisi ancora presente nella nostra economia e nella nostra società.
Rimane ancora aperta una questione che è emersa nel dibattito e che non mi convince. Il nuovo assetto del Titolo V. Diversi interventi, anche in Aula, hanno sostenuto che bisogna costituzionalmente superare la presenza delle Regioni a statuto speciale. È un approccio che non condivido. Certo non difendo l'uso disastroso della specialità che in molte Regioni si è fatto, ad iniziare dalla mia regione, la Sicilia. Quella specialità è stata "piegata" da un approccio micidiale che la nostra stessa stupenda fase Costituente del secondo dopoguerra non seppe risolvere. Un approccio preesistente allo spirito democratico dei nostri costituenti, allo stesso fascismo, e che caratterizzò l'avvio dei primi decenni dell'Unità d'Italia. Lo semplifico in questo modo: l'assetto che l'Italia si diede non fu di vera e sostanziale  unità, ma si realizzò una sorta di Costituzi! one materiale che prevedeva una “Italia duale” secondo cui il nord produce per l'intero Paese, il sud consuma i prodotti del nord. Alle regioni meridionali il compito di consumare fu implementato dall'utilizzo della spesa pubblica e dalla progressiva e continua espansione del lavoro, tutto concentrato nel pubblico impiego. Il “posto pubblico” è stato, infatti, l'aspirazione principale dei cittadini del mezzogiorno. Un’aspirazione alimentata da una politica che ha svolto sino ai nostri giorni una maledetta funzione di intermediazione burocratica e clientelare e spesso affaristico-mafiosa. Con il crollo della spesa pubblica, finalmente, va in crisi questo modello e oggi più che mai la specialità può riprendere il suo ruolo originario, soffocato ed impedito, per diventare un potente motore di legalità e sviluppo, soprattutto in quelle Regioni piegate e rovinate dalla logica che bisogna limitarsi a consumare la spesa! pubblica e non a valorizzazione le proprie vocazioni produttive Certo, la “specialità moderna” perderà le proprie ragioni storiche di rivalsa nei confronti del Centro decisionale nazionale, ma potrà acquistare una più avanzata e decisiva capacità di diventare “specialità progettuale”. Per questo ho sostenuto le ragioni di chi ritiene che le specialità vadano mantenute, seppur stimolate ad imboccare la strada del cambiamento dei propri Statuti.
L'Italia cambia il proprio assetto Istituzionale, ma non cancella né il Parlamento né le regioni. Anche le regioni a statuto speciale cambiano, ma non annullano le proprie prerogative pattizie nel rapporto con lo Stato e autonomiste nella competenza esclusiva di alcune materie.
Giuseppe Lumia


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