giovedì, agosto 09, 2018

L'Italia del pomodoro. La bottiglia vale più della passata


Ecco chi affama l’Italia del pomodoro. Le doppie aste della grande distribuzione e il crollo dei prezzi: solo l’8% di quanto paghiamo va al prodotto
CHIARA SPAGNOLO
BARI - La grande distribuzione tiene in ostaggio la filiera del pomodoro. Per capirlo basta guardare una bottiglia di passata e scoprire che il 53% di quello che paghiamo alla cassa finisce a chi gestisce la catena, il 10% è il costo della bottiglia stessa e solo l’8% è il valore del prodotto. Lo dice un’analisi della Coldiretti e lo raccontano produttori agricoli e imprenditori della trasformazione, nei giorni in cui ancora si piangono i 16 braccianti morti in due incidenti stradali in Puglia.
Mentre la politica si interroga sulla necessità di rivedere la legge 199 sul caporalato (con il braccio di ferro Lega-M5S che non trova un punto d’incontro) e i sindacati chiedono maggiori controlli sui campi, passa in second’ordine il modo in cui negli ultimi trenta anni la filiera agricola è stata drogata. E il fatto che lo spauracchio delle importazioni viene agitato a ogni pie’ sospinto, per far lievitare i costi dei prodotti dopo che raggiungono gli scaffali. La passata di pomodoro è l’esempio plastico di una situazione incancrenita: al supermercato costa tra 0,70 e 1,3 euro ma le industrie di conservazione la smerciano a 40-45 centesimi a bottiglia, come racconta Francesco Franzese della Fiammante di Buccino (in provincia di Salerno) che dalle campagne del Foggiano compra l’80% del prodotto. «Vendo le bottiglie di passata da 770 ml a 44 centesimi, a me costano 39, significa che il guadagno è di 5 centesimi. Una cifra che diventa utile solo se si fanno numeri altissimi, come i nostri 20 milioni di pezzi». Tradotto: nel passaggio dai tir ai supermercati il prezzo può anche triplicare. Anche grazie alle aste al doppio ribasso, che nel rapporto “Agromafie e caporalato” vengono definite il modo in cui la grande distribuzione «strozza l’agricoltura italiana». Il sistema è semplice: a maggio viene bandita l’asta, le ditte di conservazione offrono prodotti e prezzi, il più basso diventa il punto di partenza dell’asta successiva, che si svolge online, tramite un portale che concede due minuti per le nuove offerte. Tutto senza controllo, senza poter sapere chi c’è dietro le offerte e chi potrebbe drogare il mercato. In una corsa a chi offre di meno, che poche settimane fa ha portato Eurospin ad aggiudicarsi la passata di pomodoro a 31,5 centesimi. E se ci sono imprenditori della trasformazione che rinunciano, altri sono costretti a vendere a una miseria. E a cercare, a loro volta, di tirare sui prezzi dei pomodori. In teoria il prezzo è bloccato dall’Accordo quadro, che ogni anno viene firmato tra Anicav (Associazione nazionale industriali conserve vegetali) e Op (organizzazioni di produttori): per il 2018 è stato previsto che il pomodoro tondo venga acquistato a 87 euro per tonnellata e quello lungo a 97 nel Centro-Sud e 85 al Nord. «Lì il prodotto può costare di meno perché molti produttori sono anche conservatori — spiega Enzo Smacchia, dell’Op Mediterraneo di Foggia — al Sud la filiera è più lunga e in mezzo ci sono anche le cooperative, a cui noi produttori versiamo il 10% dei guadagni». I prezzi — stando ai calcoli — sono uguali a quelli di 30 anni fa, «come nel 1985, per l’esattezza — dice Coldiretti Puglia — nonostante il codice etico firmato l’anno scorso tra il ministero delle Politiche agricole e la grande distribuzione». Il mondo, però, nel frattempo è cambiato. Così come i contratti di lavoro agricolo. Quelli regolari prevedono che il dipendente di livello più basso (il bracciante) guadagni 7,31 euro all’ora per 6 ore e mezzo al giorno. Nei campi della Puglia, però, come raccontano molte inchieste giudiziarie, ci sono uomini e donne che lavorano senza contratto e per una paga di 3 euro all’ora. Le loro giornate iniziano all’alba e finiscono anche dieci ore dopo, ammesso che non muoiano di caldo — come è successo a Paola Clemente il 13 luglio 2015 ad Andria o Abdullah Mohamed sette giorni dopo a Nardò — o schiacciati tra le lamiere di un furgoncino, come i sedici deceduti tra il 4 e il 6 agosto in Capitanata. Chi la sera torna a casa o nei ghetti, in fondo, può dirsi fortunato. Perché il giorno dopo può ricominciare a lavorare sotto al sole per riempire 10-15 cassoni con almeno 3.000-4.500 kg di pomodori. Quelli che, nella bottiglia di passata, avranno un valore di 0,104 euro. Talmente poco che persino il contenitore costa di più.
La Repubblica, 9 agosto 2018

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