sabato, gennaio 31, 2015

Campione: "Io, Sergio e il governo con gli ex del Pci"



Il neo presidente Marratella con Renzi, Grasso e Alfano
Il racconto dell'amico di corrente: "Al congresso del 1983 chiese a tutte le correnti posizioni chiare. E don Vito rimase fuori. Tre meriti: chiarezza contro la mafia, capacità di guidare cambiamenti e politica come servizio"
di ANTONIO FRASCHILLA
GRAZIE a Sergio Mattarella in Sicilia si sono avuti tre passaggi storici che hanno aperto il campo a una politica nuova, contro qualsiasi connivenza mafiosa e vicina ai cittadini: il congresso regionale della Democrazia cristiana del 1983 che mise all'angolo Vito Ciancimino grazie a una sua precisa intuizione, il lancio di Leoluca Orlando a sindaco di Palermo nel 1985 e il mio governo a Palazzo d'Orleans nel 1992 insieme agli ex comunisti: una giunta che in pochi mesi votò la legge sull'elezione diretta dei sindaci che ha dato il là a tante primavere, da Catania a Palermo". Giuseppe Campione, seduto in salotto nella sua casa di Messina, sta incollato al televisore per non perdersi nulla delle votazioni in Parlamento che potrebbero portare al Quirinale il suo amico di sempre. E si dice "insoddisfatto" dei ritratti fatti fin qui del suo "compagno di mille battaglie": "Molti citano il "Mattarellum" ma sono tanti i suoi meriti in svolte epocali nella storia politica siciliana e non solo".

ONOREVOLE Campione, quando inizia il suo sodalizio con Mattarella?
"Inizia con il congresso della svolta in una Democrazia cristiana paludata e che si strusciava con la mafia. Il congresso regionale della Dc ad Agrigento nel 1983, poco tempo dopo gli omicidi di Piersanti Mattarella e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tutti pensavano che quel congresso avrebbe replicato i soliti riti stantii della Dc, per lo meno ne erano certe le correnti avversarie alla nostra, a partire da quella di Salvo Lima".

E invece cosa accadde?
"Che per prima cosa, in un colloquio con la Gazzetta del Sud, Mattarella lanciò il mio nome come possibile candidato. Io rimasi colpito, allora ero molto giovane. Anche in questo caso, i limiani cercarono di trovare accordi prima del voto in assemblea. Ma Sergio disse: "No, è venuto il momento di contarci, ogni anima della Dc si confronti con una sua lista perché non si può perseguire l'unità a tutti i costi ma occorre prendere posizione chiare". Il riferimento era chiaramente alla mafia, ma non solo. Come primo risultato, Vito Ciancimino venne messo all'angolo. Nessuno lo ospitò in una lista, nemmeno Lima, e lui con i suoi seguaci rimase fuori da quel congresso".

Lei poi venne eletto e nella sua area, oltre a Mattarella, c'erano anche Mannino, Gullotti e Nicolosi. Ma la sua segreteria non durò molto: perché?
"Anzitutto da quel congresso uscimmo con grandi speranze di cambiamento ma subito capimmo che si erano create delle fratture all'interno del partito. Lima, ad esempio, venne accusato dai suoi di non avere difeso Ciancimino. In ogni caso quel congresso sul quale Mattarella riponeva grandi aspettative di cambiamento del partito finì pochi mesi dopo, quando in una direzione rimasi solo con il sostegno di Sergio. Avevo proposto un ordine del giorno molto duro in occasione della commemorazione del giudice Chinnici. Gli esponenti dell'area Mannino cominciarono a dire che non dovevamo alzare i toni, l'allora presidente della Regione Calogero Lo Giudice rimase in silenzio. Capii che lo spirito del congresso di Agrigento era già stato dimenticato".

Nella vostra area, che faceva capo a Ciriaco De Mita, c'era anche Leoluca Orlando. Che ruolo ebbe Mattarella nella sua prima elezione a sindaco, nel 1985?
"Ebbe un ruolo fondamentale, anzi era "il suo sindaco". Dopo le mie dimissioni dalla segreteria regionale ci furono le elezioni europee e nella corrente De Mita cercammo un candidato autorevole. Mattarella non volle puntare su Orlando perché intendeva lanciarlo a sindaco di Palermo. Nel frattempo De Mita, che perse quelle elezioni europee, cercò un accordo con Lima: i due si videro all'aeroporto di Boccadifalco, dove De Mita era arrivato con l'aereo che gli prestava Calisto Tanzi, il patron della Parmalat. I due rimasero più di un'ora sotto la scaletta dell'aereo e lì siglarono l'intesa. Lima non voleva me come segretario e puntò su Mannino, che gli era maggiormente gradito. Mattarella approfittò comunque di questa pace, da noi evidentemente subita, per favorire l'elezione di Orlando".

Quando e perché si separarono le strade di Orlando e Mattarella?
"Le strade si separarono al congresso della sinistra dc, a Chianciano, nel luglio 1990. C'era una grande fibrillazione in quell'incontro, tutti speravamo che Orlando diventasse il segretario della nuova Dc, quella dell'antimafia, del rinnovamento che doveva chiudere i ponti con un certo passato. Specie in Sicilia. Orlando si sedette accanto a me, Mattarella puntava su di lui. Ma Leoluca non prese mai la parola. Era in cuor suo già convinto di lasciare il partito. Per Sergio fu una grande delusione".

Ma da lì a qualche mese nacque il suo governo a Palazzo d'Orleans, il primo con l'appoggio degli ex comunisti del Pds.
"Nel 1992 venne ucciso Lima e da Roma inviarono come commissario Mattarella. Fu l'inizio di una nuova svolta. Vennero rinnovate le cariche nel partito e Sergio riuscì a convincere Occhetto e gli ex comunisti a fare un "governo nuovo", lanciando me come presidente. Ripetendo, insomma, lo stesso schema del 1983. Mattarella era entusiasta e insieme scrivemmo la legge sull'elezione diretta dei sindaci, anticipando tutti a livello nazionale. Ricordo che andammo da Napolitano a fargliela leggere e lui rimase molto colpito dalle novità inserite in quella norma che aprì la stagione dei sindaci vicini ai cittadini. Da Palazzo d'Orleans con Mattarella lanciammo poi "l'appello ai siciliani" per eliminare la mafia da ogni settore della vita pubblica".

Anche qui grandi speranze, ma il suo governo cadde dopo pochi mesi.
"Occhetto pensò alla sua "gioiosa macchina da guerra" e decise di staccare la spina. Scelta che si rivelerà un fallimento perché consegneremo la Sicilia al centrodestra per quasi vent'anni. Ma Mattarella ha avuto sempre la capacità di guardare oltre: dopo lo scioglimento della Democrazia cristiana fu tra i fondatori del Partito popolare, lanciando l'appello "ai

cattolici consapevoli". Non si fece tentare dalle sirene di Casini e andò nella Margherita prima e nell'Ulivo poi, che è il cuore dell'attuale Partito democratico. Se dovessi dire tre meriti fondamentali di Mattarella, indicherei la chiarezza contro la mafia nella Dc paludata di Lima e Ciancimino, la capacità di guidare svolte come quelle di Agrigento e del mio governo del 1992, la coerenza nel pensare la politica come servizio nei confronti dei cittadini".
La Repubblica-Palermo, 31.1.2015

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