venerdì, giugno 02, 2017

Corleone, Fra' Paolo: "Spero che a Corleone possa tornare quella primavera che manca da troppo tempo..."

Fra' Paolo nei locali della Camera del lavoro
di Corleone durante l'intervista...
DINO PATERNOSTRO
INTERVISTA ESCLUSIVA DI FRA' PAOLO, DEI FRATI MINORI RINNOVATI, A CITTA' NUOVE (GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO)
Non vedevo fra’ Paolo da quattro anni. L’ho incontrato in questi giorni che lui è ritornato a Corleone per il capitolo dei Frati Minori Rinnovati, il sottordine dei francescani a cui appartiene. Quattro anni sono (o possono sembrare) tanti, ma il rapporto che c’è tra noi ci permette di tornare a parlare come se ci fossimo lasciati il giorno avanti. Questo frate, che adesso ha 61 anni, l’ho conosciuto a Corleone il 4 ottobre 1993, festa di San Francesco, quando ha presentato in villa comunale il gruppo “Corleone, un passo avanti”, costituito da giovani cattolici e laici, convinti che i cittadini sono titolari di diritti e di doveri e non “sudditi” del boss di turno. Fu una rivoluzione culturale, che spezzò vecchie appartenenze in nome della collaborazione tra le persone di buona volontà, secondo il dettato del Concilio Vaticano II. Furono fra’ Paolo e questo gruppo ad inventare le schede elettorali “parlanti”, recapitate a tutti gli abitanti di Corleone, alla vigilia delle elezioni comunali del novembre ’93 (anche allora il comune veniva da un periodo di commissariamento), per raccomandare loro di votare candidati oneste che nulla avessero a che fare con la mafia e i mafiosi.
Non era mai accaduto nulla del genere a Corleone, dove tra chiesa e mafia – in forma più o meno intensa - certe “relazioni pericolose” c’erano sempre state. Fu sempre fra’ Paolo a musicare e cantare i dieci consigli scomodi ai cittadini che vogliono combattere la mafia, durante le varie tappe del presepe antimafia del Natale 1994. E fu ancora lui, insieme a tanti giovani, a promuovere una manifestazione non violenta come forma di reazione alla bestiale violenza mafiosa del gennaio-febbraio 1995, quando in rapida successione il boss Leoluca Bagarella e il suo gruppo di fuoco assassinarono prima Giuseppe Giammona e un mese dopo Giovanna e Francesco Saporito. Erano gli anni in cui, nonostante la mafia, Corleone davvero stava diventando “capitale” di una nuova speranza.
Poi fra’ Paolo tornò in Africa, in Tanzania, la sua seconda patria. E d’allora (era il 1997) a Corleone torna soltanto per i giorni del capitolo francescano ma ogni volta che torna è una festa, una gara ad invitarlo a cena, a proporgli di partecipare a riunioni ed incontri. Anche stavolta è stato così. Una sera ho avuto il piacere di averlo a cena a casa mia. Un pomeriggio ha partecipato alla presentazione del libro “Reperti. Parole sotto la cenere” del carissimo Pino Governali. Un altro pomeriggio ad un incontro per fare il punto sulle attività sviluppate in Tanzania anche a seguito della raccolta fondi fatta a Corleone negli scorsi anni. Prima del suo ritorno a Viadana, in provincia di Mantova, di cui è originario, e poi in Tanzania, l’ho incontrato un’ultima volta a Palermo lo scorso 23 maggio, nel giorno del ricordo della strage di Capaci. La domenica precedente, il 21 maggio, ci eravamo visti alla Camera del lavoro per la “consueta” intervista tri-quadriennale. Eccone la sintesi.   
Com’è andato il capitolo? Di cosa avete discusso?
“Abbiamo rinnovato gli incarichi interni: fra Pio (francese) è stato scelto come servo generale, fra Basilio (colombiano) come vicario generale e segretario generale, fra Giuseppe Maria (italiano, siciliano) consigliere generale.
Nella discussione siamo stati travagliati tra l’essere più decisamente nelle periferie del mondo, andare più decisamente nelle nuove terre di missione, e la nostra realtà numerica che non è aumentata in questi anni. Siamo sempre meno di sessanta. C’è questo desiderio (si sono fatti degli esperimenti in Ecuador, in Islanda, in Spagna, in Albania), però alla fine, guardandoci con molto realismo, abbiamo detto di continuare queste esperienze, di essere più attenti nelle comunità a questo lavoro di periferie esistenziali, di essere presenti nelle periferie esistenziali, evitando di fare da tappabuchi conservatori. In realtà, in alcune situazioni, non ultima Corleone, per esempio, abbiamo visto il rischio di essere troppo disponibili a fare da tappabuchi ad un apostolato di conservazione, mentre invece dovremmo sostituire magari la chiesa o essere presenti come chiesa lì dove la chiesa fatica ad essere presente nelle periferie esistenziali”.
In quali parti del mondo siete presenti attualmente?
“Attualmente abbiamo tre comunità in Italia: Corleone, Palermo, Napoli; abbiamo quattro comunità in Colombia ed una a Pomerini in Tanzania”.
Ultimamente la chiesa a Corleone è stata al centro di polemiche non proprio progressiste. Mi riferisco al figlio di Totò Riina, a cui è stato consentito di fare da padrino di battesimo in Matrice, e alla processione di San Giovanni Evangelista che si è fermata davanti la casa di Ninetta Bagarella.
“Ho sentito versioni e spiegazioni contrastanti. Indubbiamente bisogna stare molto attenti a questi segnali. Tra l’altro, quando è scoppiata la vicenda del battesimo del nipote di Riina eravamo insieme all’arcivescovo di Monreale lì in Tanzania, a Iringa. E alla fine della celebrazione si è detto preoccupato e amareggiato di questo gesto. Probabilmente c’è stata una leggerezza che ha dato un segno di non consapevolezza di quello che certi gesti possono generare. L’arcivescovo ha sottolineato la debolezza di scelta cristiana: se essere padrini ha un senso, avrebbe dovuto farlo un altro”.
Quando torni la gente ti saluta con calore, ti abbraccia, ti invita a casa…
“Si, è stato molto bello rivedere tanti amici. Tutti hanno piacere di ricordare gli anni passati insieme. Tutti però restano aggrappati ai ricordi. La diagnosi è stata unanime: Corleone è tornata indietro e non poco. Purtroppo nessuno ha dato terapie. Speriamo che il ricordo di quello che si è fatto e di come quell’impegno abbia dato i suoi frutti sia uno stimolo a trovare terapie necessarie perché a Corleone possa tornare quella primavera che manca da troppo tempo e che allora ha portato beneficio a tutti”.
Si dovrebbe ripartire dal mettere insieme tutte le persone di buona volontà…
Indubbiamente penso che questa sia la strada per la riuscita del cambiamento: valorizzare tutto quello che di buono ogni persona porta in se e dirigerlo verso il bene comune. Ci sono delle denuncie che bisogna fare, delle strade che bisogna chiudere, però l’accento va posto su quello che si può costruire assieme, partendo dalle persone che ci sono. Penso che valga ancora il discorso del “passo avanti”.
L’Africa invece come sta? La tua Africa, in particolare, quella parte dove tu operi, sta cambiando?
“Le statistiche sono tutte ottimistiche: la Tanzania ha una crescita del PIL che viaggia intorno al 7% annuo. Indubbiamente è un Paese in sviluppo. È un Paese che cambia. Se tutti i cambiamenti siano positivi questo è un grosso punto interrogativo. Indubbiamente, attraverso le nuove tecnologie, la Tanzania diventa sempre più parte del villaggio globale. Solo che mi pare che, da una realtà rurale, a volte questo cambiamento prenda la forma dello shunami e tutto quello che era la cultura locale rischia di essere spazzata. Sono ottimista perché gli africani, la gente che io conosco non si lascia intimorire, è molto impegnata e sono sicuro che saprà ricostruire. Però certo siamo in un momento molto delicato, dove si vede che la cultura locale viene scossa, sommersa, dai messaggi che vengono dalla cultura occidentale, europea, americana, con quello che di buono (come i diritti e la tecnologia) e di meno buono (come l’eccesso di individualismo), che rischia di fare affogare la cultura più solidaristica, che però ancora tiene nei villaggi”.
 Ma il governo della Tanzania che rapporto ha con questi cambiamenti? Difende il popolo o è troppo disponibile nei confronti delle multinazionali?
“Il governo si trova un po’ tra l’incudine e il martello. Dal punto di vista economico questo sviluppo così rapido è stato frutto di un’apertura a questi investitori (una volta si chiamavano colonizzatori, adesso si chiamano investitori), che a volte si fanno la fama di benefattori. Però siccome nel governo c’è una forte presenza musulmana, paradossalmente è questa presenza che riesce ad arginare un po’ questa cultura invadente che viene dall’occidente…”.
Quindi, possiamo dire che i musulmani rappresentano uno strumento della provvidenza divina…
“Si, potremmo dire così, per certi versi…”.
Com’è la vita nei villaggi che conosci, dove vivi tu? Quattro anni fa mi parlava dell’Aids dilagante, della sanità che arrancava, dei servizi sociali molto carenti…
“Sono stati fatti progressi nell’istruzione. Vent’anni fa, quando siamo arrivati noi, nella provincia c’erano tre scuole secondarie, adesso ce ne sono trenta. La qualità non è delle migliori, però chi finisce la scuola di base può accedervi. E questo indubbiamente ha ridotto l’esodo delle giovanissime che andavano a fare le donne di casa nelle grandi città. Purtroppo, constatiamo che la forbice tra il gruppo dei manager e la popolazione aumenta sempre più. Adesso c’è qualche scuola in più, c’è qualche strada in più, dall’ottobre scorso c’è la luce elettrica nel paese, ma la forbice si allarga. Le strutture sanitarie sono migliorate, sono più accessibili, però non a chi non ha soldi. Internet attivata dai privati ormai è quasi dappertutto, anche se con connessioni lente, se non lentissime. Anche la telefonia mobile copre ormai quasi tutto il Paese”.
Questo significa che puoi connetterti più facilmente e collaborare a distanza con Città Nuove. Potremmo aprire una finestra…
“Non voglio fare promesse da politico… Fra poco però vi offrirò una “porta” dove si parla anche degli anni di Corleone…”.
Una pubblicazione, un libro?
“Si, un libro, 100 pagine dove si parla di mafia, Africa e preghiere…”.
Complimenti, lo leggeremo con grande attenzione. Arrivederci a… fra quattro anni? O per la presentazione del libro?...
Dino Paternostro



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