mercoledì, ottobre 03, 2018

Il caso Riace/1. Il sindaco e i confini della legge

Il sindaco di Riace Mimmo Lucano

ATTILIO BOLZONI
È troppo anche per quest’Italia incattivita affondare il "modello Riace" insieme all’arresto del suo sindaco. Ed è troppo banale e grossolano cancellare una straordinaria esperienza di accoglienza, inclusione, ospitalità che dura negli anni avvelenando l’opera generosa di Domenico Lucano, un simbolo che non è mai stato solo un simbolo vuoto ma ha preso forma in un uomo che ha sputato sangue per un paese in armonia con se stesso. È un’infamia costruire sulle vicende giudiziarie che coinvolgono il sindaco di Riace, così come si è fatto con le inchieste sulle Ong, un teorema contro l’integrazione e servirlo come vendetta fredda sul muso dei buonisti. Questa è becera propaganda.

Sulla vicenda di Riace invece bisogna ragionare, stare ai fatti, mantenere una rotta equilibrata, senza curve tortuose, senza stare sempre lì sull’orlo di un precipizio a urlare. E, allora, riflettiamo su quello che è accaduto.
Oggi è sotto accusa per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il sindaco Lucano. Qualche settimana fa è stato indagato il ministro dell’Interno Matteo Salvini per sequestro di persona aggravato dei naufraghi della nave Diciotti. Due vicende che sono lo specchio una dell’altra, di due Italie. Ma non si può un giorno osannare la magistratura quando ha nel mirino Salvini e il giorno dopo demonizzarla quando il bersaglio è un personaggio come Lucano: la democrazia non funziona così.
Se poi entriamo nel dettaglio delle accuse che sono state rivolte al sindaco di Riace, allora possiamo ragionare ancora più a fondo. Intanto le contestazioni — naturalmente tutte da provare — ci raccontano di documenti falsi, di matrimoni combinati, forse di una truffa quasi portata a compimento in Etiopia e di manovre fraudolente tentate nel paese calabrese. Una "disobbedienza civile" che ha infranto numerosi articoli del codice penale e che fa dire al giudice delle indagini preliminari che il fine non può giustificare i mezzi. Approssimazione, procedure forzate, disordine amministrativo ma anche fattispecie di reato molto precise, comportamenti ("a fin di bene") sicuramente fuori dai confini. Nessun imbroglio per intascare denaro e nessun fondo pubblico da spremere per interesse personale — è fondamentale sottolinearlo — perché Mimmo Lucano non appartiene a quella razza, però regole violate. Questo è un punto fermo, un punto intorno al quale non ci sono spazi per discutere, né piccoli né grandi. Si può al contrario discutere e criticare nel dettaglio l’inchiesta della procura di Locri. E lo fa anche il gip che rileva «inesattezze nelle indagini» dei suoi colleghi pm, precisa che «nessuno ha mai intascato un centesimo», accoglie sì la richiesta d’arresto della procura ma rigetta le ipotizzate accuse di associazione a delinquere, il concorso in corruzione, la malversazione.
Si può pure discutere della sproporzionata azione della procura che ha messo in campo una task force senza precedenti per "incastrare" Lucano mentre alle cronache sono ignote da anni aggressioni giudiziarie significative sul notabilato più vampiresco che c’è nella Locride (la ’ndrangheta è competenza della distrettuale di Reggio) e operazioni poliziesche che abbiano lasciato qualche segno in una striscia famigerata di Calabria. L’inchiesta più "clamorosa" dell’era moderna a Locri è questa contro Mimmo Lucano. Molto rumore, altre tossine messe in circolo nel corpo Italia.
La Repubblica, 3 ottobre 2018

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