domenica, settembre 08, 2019

L’intervista. Landini: "Meno tasse sul lavoro e un grande piano per gli investimenti"

Maurizio Landini, segretario generale della Cgil

di Gad Lerner
BEINASCO (TORINO) — Incontro Maurizio Landini alla festa provinciale della Fiom Cgil torinese, la cui storia gloriosa è intrecciata a un comparto industriale dell’automobile ridotto oggi a soli due stabilimenti FCA a ciclo completo: Mirafiori e Grugliasco. Mentre il sindacato calcola che negli ultimi dodici anni la produzione di vetture, in quella che fu una città-fabbrica, ha registrato un crollo dell’80%. Di fronte a Landini ci sono dunque i rappresentanti aziendali di una classe operaia costretta sulla difensiva, la prima ad avvertire i colpi della recessione economica. Ma dal segretario generale della Cgil, ex operaio come loro, vogliono sapere cosa ci si debba aspettare dalla politica, adesso che al governo ci sono andati insieme i due partiti più votati dagli iscritti: Cinquestelle e Pd.
Landini, è questo il governo che aveva in mente quando il 17 agosto scorso, in anticipo su tanti altri, diceva a Repubblica che bisognava evitare l’esercizio provvisorio e costruire nuove alleanze per fronteggiare la recessione?

«Intanto a me pareva importante che il Paese sapesse attraverso il dibattito parlamentare il perché della crisi e se c’era o non c’era un’altra maggioranza. Rifiutando l’idea che si dovesse andare alle elezioni solo perché l’aveva deciso qualcuno, a seguito della rottura di un accordo fra privati. Ci voleva finalmente un governo, dopo tanto tempo perso, quattordici mesi di campagna elettorale, intanto che i problemi si aggravavano. È quello che non solo io, ma tutto il movimento sindacale chiedeva: un governo di svolta rispetto alle politiche economiche e sociali sbagliate — badi bene — non solo dell’ultimo, ma anche degli altri governi precedenti. E poi costruire un rapporto diverso con l’Europa, invertire la spinta alle disuguaglianze partendo da una grande riforma fiscale, la totale revisione della Fornero. Staremo a vedere, ma intanto si è dimostrato che quella maggioranza, se c’era la volontà, poteva nascere».
Possiamo dire che nel Conte bis si realizza l’alleanza fra i due partiti più votati dagli iscritti della Cgil?
«Questo è un dato di fatto, confermato dai sondaggi e da numerose ricerche. Vivono al nostro interno sensibilità che speriamo si manifestino anche nella nuova maggioranza. Ma non voglio costruirci sopra delle alchimie politiche. Se è per quello, c’è anche una parte dei nostri tesserati che ha votato Lega. Io non sono un suggeritore di equilibri di governo, sono un custode geloso dell’autonomia del sindacato dai partiti, dal governo e dalle imprese. L’abbiamo dimostrata sul campo. Non ci lasciamo condizionare, per noi valgono quei contenuti che abbiamo definito con Cisl e Uil e sostenuti con la mobilitazione nel Paese».
Chi conosce meglio, fra i nuovi ministri?
«Beh, Teresa Bellanova è stata una dirigente della Cgil. Vorrei approfittarne per esprimere solidarietà alla ministra dell’Agricoltura, denigrata per il suo titolo di studio. Per vostra informazione, anch’io ho solo la licenza media. È una colpa provenire da famiglie che non potevano permettersi di far studiare i figli? Lo trovo offensivo e, se mi permette, parecchio classista. Al contrario, Teresa ha radici che non si scordano, nel lavoro sfruttato che ha duramente combattuto. Non avrà titoli ma ha studiato quando il lavoro glielo permetteva probabilmente più di molti suoi critici. Ci siamo trovati in dissenso sul Jobs Act ma sono sicuro che il suo impegno contro il caporalato e il lavoro nero sarà importante».
Nunzia Catalfo, ministra del Lavoro?
«La conosco meno. Ho avuto modo di rappresentarle le nostre posizioni sul salario orario minimo, che non può e non deve prescindere dalla validità erga omnes dei contratti nazionali di categoria, se vogliamo combattere la piaga dei falsi contratti-pirata. E qui c’è uno dei segnali di cambiamento che mi aspetto da questo governo: il recepimento degli accordi tra sindacati e sistema delle imprese per la misurazione della rappresentanza, la validazione degli accordi e la democrazia economica. Poi, oltre ai salari orari minimi, bisogna garantire anche gli altri diritti: malattia, infortuni, maternità, ferie. Sul reddito di cittadinanza, di cui la ministra è stata fra gli artefici, è noto che noi lo avremmo fatto diversamente, pur essendo favorevoli a uno strumento per combattere la povertà. Non dimentichiamo che si può essere poveri anche lavorando. Ci confronteremo nel merito e sapremo convincerla».
Stefano Patuanelli, ministro dello Sviluppo economico?
«Sinceramente non lo conosco. Mi dicono che ha dato un contributo importante al programma di governo. Gli ricorderò che il suo ministero non serve solo a gestire le crisi aziendali ma deve delineare scelte strategiche di politica industriale, oggi assenti e di cui il Paese ha un particolare bisogno».
Di sicuro conosce, invece, il premier Conte…
«Mi sono permesso di esprimere un giudizio positivo sul modo in cui ha respinto prima le avances e poi gli insulti della Lega nel mese di agosto. Ha dimostrato coraggio politico e rispetto delle istituzioni. Ora che guida un’altra maggioranza, mi dà l’impressione che, a differenza dei precedenti, abbia capito che i cambiamenti non si realizzano senza le parti sociali. Con Cisl e Uil abbiamo già chiesto che si attivi il confronto, che instauri un rapporto strutturale, vero e produttivo, con le organizzazioni sindacali e datoriali. Ho fiducia. È questo un altro dei segnali di discontinuità che il governo deve dare rispetto agli esecutivi che l’hanno preceduto. La democrazia è fatta di rappresentanza.
La prima richiesta che farete al nuovo governo?
«Una seria riforma fiscale. Che riduca la tassazione sul lavoro dipendente e sulle pensioni, in modo che la gente veda aumentare le proprie entrate. Accompagnata da una ripresa della lotta contro l’evasione fiscale e da un provvedimento che affronti in una logica di solidarietà e di lotta alle diseguaglianze, l’abnorme concentrazione di ricchezza finanziaria e patrimoniale che si è determinata. Questa è una delle priorità, se si vuole allestire un piano straordinario di investimenti, da contrattare anche in Europa».
Ci sono invece provvedimenti del primo governo Conte di cui chiedete la revisione?
«Oltre ai decreti sicurezza di Salvini e a un approccio più complesso e direi accogliente nei confronti dell’immigrazione riaprendo una discussione con l’Europa sulle regole, va profondamente rivisto il cosiddetto "sbloccacantieri" che aumenta la piaga dei subappalti e facilita la malavita a sfuggire ai controlli. In edilizia, al contrario si possono sperimentare anche forme di intervento pubblico, come utilmente avvenuto nella integrazione Salini-Impregilo-Cdp-Fondazioni bancarie».
E sulla questione dei bassi salari, dobbiamo aspettarci un autunno caldo? So che i metalmeccanici chiedono 153 euro di aumento.
«Se è per quello, gli alimentaristi, con ragione, ne chiedono 205. E poi ci sono i bancari… l’anno prossimo scadono i contratti di 9 milioni di dipendenti privati, a cui si aggiungono i pubblici. Cgil, Cisl e Uil chiedono unitariamente che i prossimi aumenti salariali vengano detassati, per favorire anche una ripresa dei consumi».
Landini, lei in passato ha rifiutato più volte di impegnarsi direttamente in politica. Da sindacalista, quale contributo può dare la Cgil a rigenerare una sinistra che ha reciso molti legami con le classi subalterne?
«Le rispondo che come sindacato unitario, cioè recuperando quella forza che si manifesta solo se c’è l’unità sindacale, noi possiamo dare un contributo ancora più importante. Rimettendo al centro il lavoro, la sua qualità e la sua sicurezza si può aspirare a una rigenerazione culturale del Paese, vincere questa brutta tendenza alla frantumazione e alla mercificazione delle persone. Una sinistra popolare e più in generale una nuova cultura politica non può rinascere fuori da questo orizzonte unitario, restituendo al lavoro la sua dignità che in troppi hanno sminuito e che in molti ancora calpestano».
La Repubblica, 7 settembre 2019

Nessun commento: