giovedì, giugno 04, 2020

Poi ci sono i santi di ogni giorno...


Emigranti...
NONUCCIO ANSELMO
La stazione ferroviaria di Corleone adesso rimodernata. Fu teatro della prima grande ondata migratoria di inizio Novecento
Con tutto questo ben di Dio, c'era bisogno di andare a caccia di altri santi, come aveva fatto il canonico Castagnano con papa Leone Secondo? Senza contare che di santi senza altare nel feudo se ne potevano contare a migliaia. Tutti quelli vissuti di stenti per restare onesti, costretti a zappare dall'alba al tramonto per un pugno di fave o per un paniere di fichidindia con cui sfamare la famiglia, schiavi del barone di turno, del padrone di turno, del gabellotto di turno, del mafioso di turno. O tutti quelli costretti ad emigrare per affrancarsi.

C'era stata prima, a cavallo tra l'Ottocento e i primi decenni del Novecento, la fuga negli States. Trent'anni dopo era venuto il momento dell'Europa centrale, con la Germania, la Svizzera, il Belgio, e del triangolo industriale italiano, il nord che pompava braccia. Infine ci fu l'indecorosa espulsione organizzata dallo Stato italiano, incapace di dare una immediata risposta seria ai terremotati del Belice nel 1968.
       
 Il primo esodo sul finire dell'Ottocento aveva pesato non poco. La destinazione invocata era il nuovo mondo, oltre il mare, anche per dimenticare il passato. Ma soprattutto perché l'eccezionale sviluppo dell'industria americana, era pronto ad accogliere tutti, o quasi. Soltanto dalla provincia di Palermo, nel 1892 partirono in seimila, quasi dieci volte di più di cinque anni prima. Le navi della Navigazione Generale Italiana dei Florio erano pronte a trasportare questa massa di contadini a Napoli, da cui partiva la rotta per l'America. A Corleone, poi, dal 1886 c'era un modo più rapido di raggiungere la città: il trenino a scartamento ridotto che in sole quattro ore depositava i viaggiatori a Sant'Erasmo. Era stato costruito per facilitare il trasporto nel capoluogo delle derrate alimentari, invece aveva facilitato il viaggio di chi partiva per sempre.
        L'avvocato Streva ha lasciato la testimonianza scritta di una giornata alla stazione del paese, nella vallata di Santa Lucia: "Un popolo di contadine assiepava la palizzata, venute a salutare delle persone care che partivano per l'America in cerca dell'ignoto, l'unica speranza ancora non dissipata dall'inganno. La macchina fischiava sbuffando e le donne facevano ressa sul piazzale resistendo ai custodi, che volevano allontanarle; sospese ai vagoni si avviticchiavano al collo del fratello, del congiunto, dell'amico, baciandoli singhiozzando, e quando il treno partì lunghe grida di dolore echeggiarono per la vallata."
       
        Il filone americano era rimasto aperto per parecchio tempo e s'era rinvigorito dopo la Grande Guerra. A migliaia arrivavano a Ellis Island, un'isola al centro dell'Hudson nella baia di New York, divenuta la porta degli States, che accoglievano quasi tutti, esclusi“i  vecchi, i deformi, i ciechi, i sordomuti e tutti coloro che soffrono di malattie contagiose, aberrazioni mentali e qualsiasi altra infermità." Nel 1921 Corleone aveva 19.696 abitanti; dieci anni dopo ne mancavano all'appello seimila, erano rimasti in 13.794.
        La fine di un'altra guerra aveva segnato l'avvio di un altro grande flusso migratorio. Quello che i giornali avevano cominciato a chiamare boom economico, indicava il potente grado di ripresa nel triangolo industriale italiano, che faceva il paio con quello tedesco e svizzero. E ancora una volta i contadini e i disoccupati del sud avevano scelto la via dell'autodeportazione. Stavolta non servivano le navi. C'erano i treni. Quello che partiva da Palermo si chiamava provocatoriamente Treno del sole. L'immagine delle valigie di cartone tenute insieme dallo spago, fa ormai parte della storia, così come le scritte "Non si affitta a meridionali". Anche a questo secondo filone degli anni Cinquanta del Novecento, Corleone avrebbe dato un suo significativo contributo: tra il 1954 e il 1964 se n'erano andati in duemila (16.579 - 14.430).
        Poi c'era stata la ciliegina del 1968. Nella notte tra il 14 e il 15 gennaio, la Valle del Belice aveva tremato. Diversi comuni del Trapanese e dell'Agrigentino erano stati rasi al suolo, altri erano stati gravemente danneggiati. Il terremoto aveva solo lambito Corleone. Non c'erano state vittime ma danni sì e i problemi dei primi giorni erano stati identici a quelli dei centri più colpiti. Lo Stato italiano, per fronteggiare la grande massa di profughi e sfollati, non aveva saputo far altro che offrire un biglietto gratuito a chi volesse raggiungere i parenti lontani. Di sola andata però. Era bastato perché da Corleone, tra il '66 e il '69 sparissero altre mille persone.
        Insomma, in sessant'anni il paese aveva perso un terzo dei suoi abitanti, che non erano stati accolti altrove, ma che erano andati ad abbracciare una vita di privazioni, di fatiche e di umiliazioni prima del riscatto, pur di non perdere l'identità di persone oneste. Basta a giustificare l'aureola di una santità, anche se soltanto laica?

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