mercoledì, febbraio 07, 2018

CI SCRIVONO. "E se dedicassimo un monumento a tutti i corleonesi vittime innocenti di mafia?"

Fabrizia Triolo accarezza la targa dedicata al padre
di PIER GIUSEPPE SCIORTINO
Tanti spazi urbani, giardini ed edifici pubblici sono intitolati a uomini, date e fatti che hanno l’obiettivo di rendere viva la memoria collettiva dando alla storia il valore positivo. Ma   la   storia   purtroppo   spesso   è   scritta   dai   vincitori,   quelli   che   in   quel   presente   hanno rappresentato la forza, il potere, non sempre esercitato in maniera umana, civile e democratica. Una volta mi diedero l’opportunità di scrivere in un blog locale; in quell’occasione volevo provocare un dibattito chiedendo la sostituzione di alcuni toponimi di vie e piazze che erano intitolate a personaggi e fatti del risorgimento, proponevo (un esempio per tutti) di cambiare la via “Bixio” con “Vittime di Bronte dell’agosto del 1860” (perdenti dimenticati dalla storia). Era un gioco, ripeto, una provocazione per parlarne e stimolare un dibattito. Ho letto l’articolo del giornalista Anselmo sulla questione della intitolazione dell’auditorium all’avvocato Ugo Triolo, e se da un lato mi sento di condividere la sensibilità alla conservazione storica di quel contesto urbano, dall’altro mi pongo una domanda: “ma davvero l’intitolazione di un auditorium, che diventa tale prima di questa recente decisione dei commissari, ovvero ha smesso di essere chiesa prima (forse più di 150 anni fa) possa sollecitare tutto questo “pandemonio” sui social e nei blog?”.
Certamente non c’entra niente S. Andrea sulla rivisitazione storica e sulla necessità culturale di cambiare intitolazione ad un edificio, ma se quel nuovo nome è un atto di celebrazione di verità, un atto di memoria che diventa storia e la storia (in questo caso) è occasione di riscatto di una collettività, allora si! Penso proprio che quella scelta è atto di grande valore culturale! Inoltre, non credo che apporre quella targa commemorativa all’entrata dell’auditorium sia stata un’azione dissacratoria, quella forse l’hanno fatta   coloro che di quel luogo ne fecero magazzino/deposito, coloro che non hanno fatto nulla per restituire valore storico-culturale ad un manufatto architettonico da riconnettere ad un ambiente urbano di antica definizione.
Perché tanta indignazione?(quella dei social). Perché oggi? Perché in questo particolare contesto? (la memoria di un concittadino ucciso dalla mafia) Ho assistito a due degli appuntamenti organizzati per ricordare Ugo Triolo e Mario Francese, quella del 22 gennaio al Liceo di Corleone, e quella del 26 alla presenza di importanti rappresentanti delle istituzioni e uomini di cultura. Sia nella prima che nella seconda ho sentito Dario Triolo, mio amico da sempre, un ragazzo che è dovuto diventare uomo chiedendosi: “perché hanno ucciso mio padre?” Un padre ucciso due volte, prima dai proiettili della mafia e dopo dall’indifferenza. Dario esordisce il 22 dicendo che ne sta parlando solo ora dopo 40 anni e ci parla di un uomo semplice, rispettoso delle regole, tutto d’un pezzo. E’ vero! Siamo vecchi amici e ricordo bene quel galantuomo.
Rifletto: “Quanto tempo, quanto dolore, quanta sofferenza, incertezza .... E noi con questo ipocrita dibattito, vogliamo uccidergli per la terza volta il padre?” No! Non è umanamente onesto, non è intellettualmente consentito! Che sia chiaro: non ritengo responsabile di faziosità l’articolo del giornalista e scrittore Anselmo (a cui riconosco un ruolo culturale importante per Corleone e non solo); anzi quanto scrive è un importante   occasione   di   riflessione sul valore storico-urbanistico di questa città, purtroppo quell’articolo ha   prestato il fianco, di sicuro involontariamente, all’ipocrisia culturale di chi preferisce ancora nascondere la testa nella sabbia.
Faccio ancora un’altra riflessione, rifletto sulle parole del giornalista scrittore Dino Paternostro: “l’antimafia è antica quanto la mafia”. Penso che abbia voluto sollecitare anche la memoria collettiva di altre vittime lasciate nel dimenticatoio. Dino Paternostro se ne è occupato con attenta scientificità storica nei suoi numerosi studi. Ho riletto i suoi articoli sulla morte di Giovanni Zangara nel 1919, di Calogero Comaianni del 1945, anche costoro facevano semplicemente il loro dovere per essere condannati a morte; e mi viene in mente il piccolo Giuseppe Letizia testimone oculare dell’omicidio di Placido Rizzotto.
A questo punto penso veramente che questo dibattito sulla toponomastica accesosi sui social diventa sempre più offensivo alla memoria di uomini onesti e vittime innocenti per mano mafiosa, per alcuni è solo un modo di provare banalmente (e aggiungo malvagiamente) la scalata ad un “professionismo dell’antimafia” attraverso i social. Sciascia coniò quel dire in un contesto certamente diverso e culturalmente più alto, lui grande meridionalista e fine scrittore sapeva raccontare la Sicilianità con le sue contraddizioni e ci offre spunti di più colta riflessione.
Concludo facendo una proposta sia ad Anselmo quanto a Paternostro essendo uomini di cultura: “propongo di promuovere una giornata di studi sulla memoria e chiedo loro di essere promotori per l’istallazione di un monumento che unisce virtualmente in un unico spazio urbano di rilevanza tutte le vittime della mafia di questa città”. Senza scomodare santi, laici, credenti, re, principi e baroni. Come si dice: “L’unione fa la Forza!”

Pier Giuseppe Sciortino

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