giovedì, giugno 20, 2019

Temi per la maturità: istigazione alla schizofrenia?


 AUGUSTO CAVADI
A poche ore di distanza leggo due notizie che provengono entrambe da Ministero della Pubblica Istruzione (la prima da un organo periferico, l’altra dalla sede centrale).
Dalla Direzione scolastica regionale della Sicilia si apprende un passaggio della relazione, firmata dall’ispettrice Viviana Assenza, che ha costituito un elemento fondante del provvedimento disciplinare – ormai noto in tutta Italia - comminato dal (facente funzione) direttore Marco Anello nei confronti della professoressa Rosa Maria Dell’Aria: “La Shoah appare quasi come lo spunto per argomentare giudizi negativi sui provvedimenti governativi in tema di immigrazione e il prodotto nell’insieme acquista una connotazione fortemente politica. […] Inoltre la docente, al momento della visione del video, avrebbe potuto fermare la proiezione stessa o intervenire pubblicamente per mediare l’impatto del filmato, con spiegazioni e commenti per ammorbidire o correggere l’evidente messaggio di carattere politico”.

Dal Ministero sono, intanto, arrivate le tracce della prima prova di italiano per la maturità e, a proposito di un brano di Leonardo Sciascia, si chiede al candidato, oltre all'analisi del testo, un commento, orientandolo così: "Nel brano si contrappongono due culture: da un lato quella della giustizia, della ragione e dell'onestà, rappresentata dal capitano dei Carabinieri Bellodi e dall'altro quello dell'omertà e dell'illegalità; è un tema al centro di tante narrazioni letterarie, dall'ottocento fino ai nostri giorni, e anche cinematografiche, che parlano in modo esplicito di organizzazioni criminali, o più in generale dei rapporti di potere, soprusi e ingiustizie all'interno della società. Esponi le tue considerazioni su questo tema, utilizzando le tue letture, conoscenze ed esperienze".
Il combinato disposto delle due notizie mi suscita un interrogativo radicale: come devono comportarsi gli alunni nel redigere il proprio testo e i docenti nel valutarli? Se esprimo le mie “considerazioni” personali sui “rapporti di potere, soprusi e ingiustizie all’interno della società”, sto parlando di politica o no? Ma il fatto di esprimere valutazioni politiche non è stato indicato, da una funzionaria del medesimo Ministero, come un errore degli alunni il cui mancato sanzionamento avrebbe costituito una colpa della docente?
 Insomma, se vogliamo essere obiettivi, dobbiamo riconoscere che siamo davanti a un’istigazione alla schizofrenia: devi esprimerti su questioni politiche evitando di dare alle tue opinioni una connotazione…politica. 
 Se non fossimo in piena follia pedagogico-didattica, tutta la questione sarebbe impostata in maniera molto differente. Almeno su due passaggi essenziali.
  Il primo: la parola “politica” non può essere additata come una parolaccia. Essa indica, se non il fine ultimo dell’esistenza umana (Aristotele), certamente uno dei fini costitutivi. Pretendere che a scuola non si faccia politica significa pretendere che essa rinunzi a coltivare la fioritura della vita individuale e sociale. D’altronde è perfino impossibile attuare un simile divieto: anche gli insegnanti che non parlano mai dell’attualità mandano un preciso messaggio di indifferentismo e di rassegnata acquiescenza a come vanno le cose nel mondo. L’ispettrice Assenza ne è talmente convinta che  – ci scommetto ! – non avrebbe vergato una sola riga di critica qualora i ragazzi dell’Istituto palermitano avessero proiettato un video entusiasta della politica governativa e  della difesa dei sacri confini della Patria dalle orde di barbari che tentano d’invaderla.
  Il secondo passaggio riguarda non un’opinione sbagliata, quanto un’opinione assente. La scuola non può censurare le idee degli studenti, ma può – anzi deve – pretendere che esse vengano esposte con documenti attendibili e argomenti logici. Non posso giudicare un testo o un video a seconda che esalti Nerone o Madre Teresa di Calcutta: devo giudicarlo se supporta, con adeguate “ragioni”,  la sua esaltazione (o le sue critiche). Nel caso specifico del video contestato c’erano sufficienti ragioni per parlare di genocidio (come, con toni e argomenti e credibilità differenti, sostengono l’Onu, l’Unione Europea e papa Francesco) oppure accostare lo sterminio degli ebrei al respingimento in mare degli immigrati costituisce una forzatura in nessun modo argomentabile?
    In ogni ipotesi, il giudizio sarà di ordine intellettuale e andrà dibattuto in sede di storiografia, sociologia e (chiedendo scusa per la volgarità) politologia: del tutto al di fuori della competenza dei burocrati e dei magistrati.   
Augusto Cavadi



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