venerdì, aprile 29, 2016

La lingua italiana non è un vuoto a perdere. Il triste ridicolo degli inglesismi maccheronici

L’effetto inevitabile dell’immissione selvaggia nella nostra lingua di americanismi o inglesismi, fenomeno sviluppatissimo, è di snaturarla e di sgretolarla attraverso un trapianto contro natura che non solo ne distorce l’eufonia (il famigerato “suona bene”) ma indebolisce la coerenza e la chiarezza del “discorso”.
Tale auto-inondazione lungi dall’essere prova di apertura di spirito - come tanti sostengono - e di adattabilità, di elasticità, di disponibilità verso cio’ che di buono ci viene dal mitico “Estero” e in particolare dagli USA, è invece la triste cartina di tornasole dello straordinario sviluppo che ha conosciuto nella penisola il vizio antico dell’esterofilia. Lo scimmiottamento della parlata dello straniero, infatti, non è altro che servilismo linguistico, noncuranza del proprio passato, disprezzo verso il grande bene comune che è la lingua nazionale.

Difendere l’italiano dagli amplessi contro natura dell’inglese non è andare contro la storia, la modernità, il progresso, il celebrato “multiculturalismo”, ma è semplice rifiuto di farsi subordinare, trasformare, denaturare, emarginare.
Invece d’innestare nel corpo della lingua italiana spezzoni di frasi e termini stranieri in un ridicolo e nocivo processo di trapianto linguistico contro natura, gli italiani, sempre cosi’ pronti al “copia e incolla”, potrebbero cercare di imitare lo spirito anglosassone, portato più del nostro al rispetto delle regole, alla chiarezza della comunicazione e del linguaggio, e al rispetto del cittadino cui è diretta la comunicazione. In Italia, persino il linguaggio dei vari contratti di utenza e delle stesse bollette è poco comprensibile per il comune dei mortali. Occorrerebbe semplificarlo espungendo i termini spesso assurdi di cui è costellato. Ma la funzione del burocratese è proprio quella di tenere a distanza il cittadino, il quale, poverino, è oggi vittima anche di un burocratese a stelle e strisce che di certo non migliora il suo “welfare”.
Possiamo dire che la nostra lingua, afflitta da un “borderline personality disorder”, rischia sul serio di andare “in tilt” per usare quest’altra balorda espressione presunta “inglese”.
L’indebolimento e l’erosione dell’identità nazionale, o quanto meno dei canoni nobili dell’identità italiana, sono a uno stadio avanzato. Lo prova anche il farfugliante pseudo-inglese degli italiani con il loro “italianese”. E, tuttavia, non è appellandosi ai valori che sostanziano l’identità e l’unità dell’Italia che si riuscirà a dare un colpo di frusta alle coscienze in un paese in cui gli aspetti caricaturali, basati sull’opportunismo e su una teatralità di basso rango, hanno ormai preso il sopravvento sugli aspetti migliori del carattere dei suoi abitanti. È inutile cercar di far leva sul ridicolo che dovrebbero provare i parlanti di questa lingua a pelle di leopardo. Il carattere grottesco di questo pulcinellesco processo di “copia e incolla” sfugge, infatti, a coloro che possiedono in misura microscopica – quando lo possiedono – il sentimento della dignità nazionale: la maggioranza degli italiani.
Lo scimmiottamento degli americani risponde in pieno alla voglia che ha l’italiano medio di “distinguersi” facendo come tutti gli altri, ossia inchinandosi di fronte al feticcio del marchio di prestigio, alias “brand”, che in questo caso è la lingua “estera”. Io non propongo che si espungano dal dizionario italiano i termini inglesi e tanti altri di origine straniera radicativisi da tempo, né intendo indire una crociata in favore di una purezza linguistica che non è mai esistita. Vorrei solo che ci si interrogasse sulle conseguenze che l’auto-inondazione di termini stranieri finirà con l’avere sulla lingua italiana, strumento non puramente utilitario e “neutro”, ma simbolo e cardine della nostra identità, e voce forte della nostra cultura.
È da considerare poi che, nella maggioranza dei casi, la paroletta modaiola inglese, che è sempre estranea al sistema eufonico della lingua italiana, e che viene pronunciata per soprammercato in maniera “maccheronica” dai nostri italiani, i quali pur si dichiarano ossessionati dal “suona bene”, espropria un termine nostrano perfettamente valido che finisce in naftalina: vedi “flop” al posto di “fiasco”, “pressing” invece di “pressione”, “badge” in luogo di “cartellino” o “tessera”, “killer” invece di “assassino” o “uccisore”…
Concludo con queste citazioni provanti l’alta considerazione che la lingua nazionale, la lingua “madre”, dovrebbe godere presso i suoi figli:
Johann Gottfried Herder:
“La ragione stessa è e si chiama linguaggio.”
Wilhelm von Humboldt: “La lingua è la manifestazione fenomenica dello spirito dei popoli: la loro lingua è il loro spirito e il loro spirito è la loro lingua.
E ancora: “L’uomo vede le cose sostanzialmente, anzi direi esclusivamente, nel modo in cui la lingua gliene propone.”
Alexis de Tocqueville: “Il legame del linguaggio è forse il più forte e duraturo che possa unire gli uomini.”
Francesco Alberoni: “Quando una nazione perde il contatto col suo passato, con le sue radici, quando perde l’orgoglio della sua storia, della sua cultura e della sua lingua, decade rapidamente, smette di pensare, di creare e svanisce.”
Ed infine Dante: “...molti per questa viltà dispregiano lo proprio volgare, e l’altrui pregiano...”
Claudio Antonelli
Claudio Antonelli (in origine Antonaz) è originario di Pisino (Istria). Dopo aver trascorso gli anni giovanili a Napoli, vive da tempo a Montréal (Québec, Canada).
Tra le sue pubblicazioni:

L’ITALIANO, LINGUA “IN TILT”
Parole, voci, gesti, immagini... 

EDARC Edizioni (2014)

Da: Altritaliani.net

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