martedì, maggio 02, 2017

Alfredo Canzoneri, foto comuniste per i fascisti

Alfredo Canzoneri
NONUCCIO ANSELMO
Canzoneri Francesco Alfredo Girolamo aveva scelto: Alfredo nell'ufficialità, Girolamo, anzi Mummino, ogni giorno. Su tre nomi, scartato e cancellato il primo, quello che certamente, secondo le intenzioni di don Carmelo e donna Maria Ansalone - padre e madre - doveva essere quello vero. Chi l'ha conosciuto e l'ha descritto, del resto, non si è mostrato per nulla sorpreso di questa scelta: un uomo intelligente ed eccentrico. Era il rampollo di una grande famiglia.  I Canzoneri erano in tanti, padre, madre e undici figli, ma uno era morto bambino, tanto che il suo nome, Adriano, era stato utilizzato due volte. Però era un nome che portava tragedia. Perché anche il secondo Adriano era morto prematuramente e tragicamente. Ucciso in guerra. A lui in paese era stata dedicata una strada. In quale via poteva andarsi a cercare una casa Alfredo detto Mummino? La trovò proprio lì, in quella casa attaccata alla chiesa del Carmine.

            La sua vita è divisa in tre parti: c'è la prima nella famiglia paterna, la seconda nella via Canzoneri con una convivente e un figlio adottivo, la terza nella solitudine. Ma per parlare dell'uomo bisogna ricordare la sua testardaggine, l'eccentricità e la tenerezza, aggiungendo poi l'amore per la sperimentazione.
            Sapeva suonare il mandolino e la fisarmonica e gli piaceva cantare a squarciagola - spesso con i nipoti - le canzoni più in voga dell'epoca. Se ne andava a Chiosi a piedi, anche quando già era avanti negli anni, ma non "sprecava" il viaggio in una semplice passeggiata. Tornava a casa sempre con un fascio di fiori. Erano fiori semplici, di campo, soprattutto margherite gialle, che portava ai bambini del vicolo Tardi (dove poi si era trasferito, avanti negli anni). Li aiutava a staccare i gambi, a infilare le corolle nel filo di cotone per realizzare le collane floreali che venivano utilizzate per adornare gli altarini del mese di maggio, fatti con i santini appiccati al muro tramite colla di farina.
            L'ultimo tratto della sua vita, però, si concluse in solitudine. Era andato a morire a Napoli, in una casa di riposo. I contatti della famiglia con Napoli erano frequenti perché una zia, Lucia, anche lei morta ultranovantenne, si era trasferita da tempo in quella città. Mummino era morto a novant'anni, nel 1971.                       
            Ma come diventa fotografo Mummino Canzoneri? Non sono rimaste notizie certe, ma il poco che è rimasto di lui, ci dice della sua profonda conoscenza tecnica, sia in fase di ripresa che in fase di sviluppo. E questo porta ad una ipotesi non suffragata da alcuna prova. Potrebbe avere imparato negli Stati Uniti, dove la tecnologia era certamente più avanti della nostra, a padroneggiare il mezzo e l'arte fotografica. Negli Usa Mummino visse sicuramente per un lungo periodo prima e durante la Grande guerra. Non si sa neanche quando sia rientrato, ma certamente prima del 1926, data del matrimonio. Probabilmente intorno al 1924,  in tempo per aprire bottega e documentare i piccoli fasti del Fascismo locale.
            Il matrimonio con Lucietta Di Miceli era andato presto a catafascio e  appena cinque anni dopo la sposina era partita per l'America.  Ma questo era stato solo l'ultimo atto, perché da tempo erano state messe in giro strane voci. Dicevano che lui "non era uomo”. Mummino restò a vivere con la sua grande famiglia d'origine a Corleone. Di questo periodo ci sono rimaste alcune fotografie che vanno sotto la rubrica “familiari”, ma che mostrano un impeccabile gusto per la composizione e l'inquadratura.
            Cinque anni dopo si aprì l'altro capitolo della sua vita in cui bruciò tutte le tappe dell'eccentricità: la convivenza con Vassilia Iancovic. Già la convivenza senza benedizione sacramentale, in quegli anni era un fattaccio, ma c’era ancora da aggiungerci che Vassilia era nata in Jugoslavia, che aveva avuto due figli da precedenti relazioni e che nei suoi confronti  era una giovanotta: trentasette anni. Ma c'era ancora l’ultima botta: era una comunista sfegatata, che non era il massimo nell'epoca della più convinta adesione popolare alla dittatura fascista, specie per  uno che a contatto con i locali gerarchi ci viveva quotidianamente per motivi professionali. Specialmente perché, col tempo, anche lui aveva abbracciato la fede comunista.
             Vassilia Iancovic morì il 5 settembre 1945, quando in Sicilia la guerra era passata da due anni e anche il 25 aprile era ormai vecchio di quattro mesi. Finì così la seconda vita di Mummino.  Per lui si aprirono le porte della vecchiaia. Qualche ora con i nipoti, qualche passeggiata a Chiosi a raccogliere margherite, infine la via di Napoli  e della casa di riposo, della morte nel 1971, a novant'anni tondi tondi, come si conviene a una persona ordinata.
            Quando si smantellò lo studio di don Mummino al Carmine, fu commesso uno dei più grandi crimini contro la storia e la società corleonese. Per lo sbarazzo fu chiamato uno dei Caruso - che avevano l'appalto dei carretti per la nettezza urbana e delle carrozze per i funerali - con uno dei suoi mezzi. Il cassone fu riempito. Poi cavallo e carretto presero lentamente la via della discarica dove furono gettate centinaia di negativi - di vetro i più antichi, di celluloide i più moderni - insieme con parecchi anni di storia di Corleone. Finirono al macero migliaia di facce, di luoghi, di storie, che avrebbero aiutato a raccontare la Corleone tra le due guerre.
            Tutto quello che è rimasto sono alcune foto familiari, alcune sperimentazioni di laboratorio e una decina di foto che ritraggono avvenimenti e parate fascisti, di cui non si ha neanche certezza dell'autore mancando i negativi, ma che comunque hanno una testimonianza d'attribuzione solidissima, quella di Gina Tubolino, figlia di Fofò, per lunghi anni ai vertici del partito a Corleone, che ricordava perfettamente quelle immagini che coincidevano con la sua giovinezza.

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