martedì, aprile 17, 2018

Sonia Grechi, nipote di Cangelosi: "Chiedo che anche mio nonno sia riconosciuto vittima innocente di mafia!"

Sonia Grechi, nipote di Calogero Cangelosi durante il suo intervento

SONIA GRECHI
nipote di Calogero Cangelosi
(Pubblichiamo il discorso di Sonia Grechi, nipote di Calogero Cangelosi, segretario della Camera del lavoro di Camporeale, assassinato dalla mafia nel 1948, ha pronunciato lo scorso 6 aprile in occasione del 70° del suo sacrificio)
Apro il mio intervento con una serie di doverosi ringraziamenti verso chi ha dato vita a queste celebrazioni; in primis la Camera del Lavoro di Palermo e Camporeale, al sindaco che ci ha ospitati nella sala più significativa e al dirigente scolastico dell’Istituto Comprensivo che ha inteso coinvolgere i suoi studenti. Non riesco a trovare le parole più giuste per una ricorrenza come quella di oggi e descrivere le sensazioni che sto provando. Il calore della gente di Sicilia mi riscalda più del sole che bacia la Trinàcria. Ne sono avvolta.  Mi sento accolta come una di voi.  Ed è vero! Mi sento una di voi! La Maremma è la mia terra che amo più di me stessa, dove sono nata. Ma anche la Sicilia mi trasmette qualcosa di unico. Un legame profondo, atavico, antico, interiore. Settanta anni fa questa terra è stata bagnata dal sangue di mio nonno. Una persona unica che antepose le sue idee e le sue convinzioni alla sua stessa vita.


Oggi lo commemoriamo, ne descriviamo le caratteristiche, lo ricordiamo perché quella morte non sia stata vana e soprattutto rappresenti una testimonianza viva per le generazioni attuali e per quelle future.

Quando due anni fa, partecipai alla sua commemorazione, fui consapevole di quanto ancora oggi sia amato e ricordato; l’eccellente lavoro fatto con le scuole che ha germinato, portando gli stessi alunni ad approfondirne la conoscenza, ad interiorizzarne il messaggio, ad apprezzarne la storia.

Ma anche l’affetto intatto che trapela dalle parole di chi l’ha conosciuto, preziosi custodi viventi ed esecutori testamentari del lascito di chi ci ha preceduti.

Oggi insieme a me non c’è solo la Sicilia e il sindacato per il quale nonno Calogero si è battuto, c’è anche la Maremma, Grosseto con la sua camera del Lavoro e la Toscana.

Nonno Calogero rappresenta per questa provincia e per questa Regione, così geograficamente distante e storicamente diversa, un formidabile legame, un testimonial di giustizia e di abnegazione, un esempio per chi quella mafia l’ha letta solo sui libri o vista in tv o al cinema.

La storia vissuta dalla famiglia Cangelosi non ha visto come protagonista solo mio nonno, ma anche sua moglie Francesca Serafino e i suoi quattro figli, Franca, Giuseppe, Michela e Vita. Donna fortissima, che ha cresciuto con la fermezza di un uomo e con la tenerezza di una madre i suoi figli. E se nonno Calogero ha perduto il bene più prezioso, quello della vita, è giusto riflettere su cosa ha subìto mia nonna, persona alla quale è stato sottratto l’amore di un marito e l’unico sostentamento e si è dovuta inventare capofamiglia nella Sicilia del dopoguerra, oppure i suoi figli che hanno perduto in tenera età l’affetto di un padre e il punto di riferimento da esso rappresentato, vivendo momenti difficili e in taluni casi non riuscendo neppure adesso a superare il trauma o le conseguenze.

Grosseto nel 1960 fu l’unica possibilità per vincere la povertà in cui la famiglia di Cangelosi, priva del suo sostentamento principale, abbandonata dalla giustizia e con tutte le difficoltà di un territorio che si stava pian piano impoverendo, si era ritrovata suo malgrado.

La nonna aveva cercato di dare un futuro ai suoi figli sull’isola, senza riuscirci e dunque l’unica soluzione era quella di emigrare in continente e di raggiungere i fratelli che vivevano in Toscana, a Grosseto e dare lì una nuova vita a lei e ai suoi figli.

Probabilmente è qui che è mancato lo Stato; impedire  alla giustizia di fare il suo corso, non riconoscere nonno Calogero vittima di mafia, ha fatto sì che mai fosse concesso un benché minimo sostegno a chi ha dovuto subire una perdita incolmabile come quella di un marito e di un padre.

Chiedo a gran voce, come è accaduto per Placido Rizzotto, che anche per Calogero Cangelosi vi sia questo riconoscimento.

E’ solo una mera questione di giustizia e nulla più, tale da riparare a distanza di settanta anni un torto e sanare un colpevole errore della magistratura, che non ha mai condannato né il mandante, né gli esecutori materiali di quell’omicidio pagato con quattro tumuli di frumento.

Oggi mi rivolgo alla più alta carica dello Stato, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche lui pesantemente colpito negli affetti da una prematura scomparsa per mano della mafia, perché possa riaprire questo caso e restituisca giustizia a chi ha perduto la vita e alle famiglie che non l’hanno mai dimenticato, quella naturale e quella sindacale che oggi ne perpetua il ricordo e ne commemora le gesta.

E’ solo una semplice questione legata al riconoscere quell’atto per ciò che è stato realmente; una uccisione mafiosa che contempla come soluzione unica l’eliminazione materiale del “nemico”, di colui che rappresenta un potenziale pericolo per la stabilità e agli interessi economici di pochi.

Restituiamo giustizia perché solo così si può continuare a dare voce a questi eroi ormai muti. Una voce da cui si possa trarre quegli insegnamenti che devono essere oggi pietra angolare della nostra società civile, innervata nella sua struttura dai principi che hanno guidato le menti di questi straordinari personaggi,  esempio e guida per le generazioni più giovani e per quelle che verranno. Tocca a noi il compito di non far dimenticare, di implementarne il ricordo. Perché il ricordo è il tessuto dell’identità. Quella stessa per la quale nonno Calogero, settanta anni fa, ha sacrificato i propri amori, la sua famiglia, la sua stessa vita.
SONIA GRECHI
nipote di Calogero Cangelosi

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