venerdì, dicembre 05, 2014

Pittura e poesia in Gaetano Porcasi e Totò Mirabile


di PIPPO ODDO
Devo confessare che quando Totò e Gaetano mi chiesero di scrivere una nota di prefazione alla loro opera fui fortemente tentato di declinare l'invito, e non certo perché considerassi la loro iniziativa editoriale poco interessante o priva di autentiche valenze culturali, ma per la semplice ragione che non ho le competenze proprie del critico d'arte e non sono né mi sento un vero intenditore di poesia dialettale. La mia esitazione durò tuttavia una frazione di secondo e realizzai che l'uno e l'altro artista, Gaetano e Totò (miei amici in Facebook e nella vita reale), non mi stavano chiedendo di pronunciarmi nel merito delle loro produzioni artistiche ma di aggiungere la voce pacata dello studioso di cultura del territorio a quelle del pittore e del poeta per rendere in qualche maniera ancora più visibili e incisivi i loro messaggi d'indignazione e di rabbia,speranza di cambiamento e pulizia morale, orgoglio d'appartenenza alla Sicilia, che è sempre stata e rimane, nel bene e nel male, un vero e proprio continente in miniatura, crocevia del mondo e laboratorio di idee innovative.

In buona sostanza, il pittore e il poeta mi hanno chiesto di esplicitare con franchezza il mio modesto pensiero non già sulla qualità lirica dei loro prodotti artistici (nel merito della quale personalmente non potrei aggiungere quasi nulla rispetto ai pregevoli apporti critici di cui entrambi gli autori sono stati in altre sedi più volte beneficiari da parte di chi è addentro ai linguaggi peculiari delle arti figurative e della poesia), ma sulla sostanza della comunicazione veicolata in modo speculare e tutt'altro che criptico dalle opere raccolte in questo lavoro. Non potevo perciò tirarmi indietro, anche perché i temi sottoposti alla mia riflessione sono parte importante della ricerca in cui sono immerso ormai da diversi decenni.
A pensarci bene, il rapporto tra la pittura e la poesia è più antico della stessa storia e non è mai mancata la comunicazione in nessuna opera pittorica o letteraria. Per portare un solo esempio, le incisioni rupestri che ornano le pareti della grotta dell'Addaura, o più precisamente di quel complesso di tre cavità naturali poste sul fianco nord-orientale del monte Pellegrino, a Palermo) raccontano la vita quotidiana e le strategie di sopravvivenza dei siciliani della preistoria, vissuti a contatto con una moltitudine di cavalli selvatici, cervi e non meglio identificati bovidi. Certo, nessun poeta finora ha mai chiarito il significato delle singole scene. Ma la poesia doveva esserci, a giudicare dall'atteggiamento ieratico delle figure umane che dominano una di queste singolari composizioni pittoriche. Non si dimentichi, però, che, prima dell'invenzione della scrittura, la poesia era un prodotto necessariamente orale e si tramandava soltanto a voce attraverso le generazioni: «gli antichi aedi, a partire dal mitico Omero – nota Gianfranca Cosenza –, declamavano a memoria e in pubblico i loro componimenti poetici accompagnandosi con strumenti musicali». E l'oralità poetica, sovente non disgiunta dalla musica popolare ha continuato ad esprimersi nella Sicilia arcaica, connotata almeno fino alla vigilia del secondo conflitto mondiale dall'analfabetismo di massa.
Con l'avvento della scrittura la poesia comincia ad essere immortalata e fruita su più vasta scala da chi ha imparato a maneggiare la penna e a decodificare i messaggi trasmessi tramite i segni dell'alfabeto; il rapporto fra il componimento poetico e l'opera pittorica si palesa meglio. Già il poeta greco Simonide (556-468 a. C) affermava convinto: «La pittura è poesia silenziosa, la poesia è pittura che parla». Facendo focus sulla comunicazione dei due linguaggi artistici, lo scrittore e poeta latino Quinto Orazio Flacco (68 a. C – 8 a. C) non esitava a teorizzare: «Ut pictura poesis», la poesia è come la pittura. A distanza di quindici secoli Leonardo Da Vinci gli faceva eco: «La pittura è poesia che si vede e non si sente, la poesia è una pittura che si sente e non si vede». E, quasi a voler abbattere ogni barriera tra i due linguaggi artistici, aggiungeva: «La pittura è una poesia muta, la poesia è una pittura cieca».
Vale allora la pena di concludere con Rosalba Gallà che il nesso che lega la poesia alle arti visive e, in modo particolare alla pittura, «è molto antico e i dibattiti sull'argomento sono stati sempre ampi e articolati. Nel corso dei secoli sono state percorse almeno due vie: quella della 'contaminazione' fra le due forme espressive e quella dell'accostamento fra le due manifestazioni artistiche». Ora, Gaetano Porcasi e Totò Mirabile (ai quali pure non mancavano le qualità e la fantasia creativa per esprimersi singolarmente) hanno scelto di comune accordo la seconda via che a mio avviso merita però di essere considerata non tanto di mero accostamento fra le due forme del comunicare, quanto di voluta sinergia per fare passare meglio l'insieme dei messaggi di denuncia e d'impegno sociale e civile che traboccano dalla loro opera.
La cosa non deve destare meraviglia ove si consideri che né l'uno né l'altro autore si sono mai chiusi nella torre dorata delle loro specifiche capacità espressive. Artista versatile e poliedrico, Totò Mirabile è un poeta fecondo, amante della musica e della pittura, del canto e della fotografia, della raccolta e catalogazione dei segni del lavoro umano e della vita quotidiana nella Sicilia preindustriale. Realizzatore del Museo delle “Tradizioni ed arti contadine” di Marsala, Mirabile ha fatto della sua amata creatura (nella quale, per dirla con Luciano Messina, c'è «un “mondo” d'immagini da osservare e da ammirare, che fremono per continuare a segnare alla comunità il percorso da battere»), un laboratorio di promozione culturale aperto a poeti e letterati, intellettuali di varie provenienze e formazioni.
Per parte sua, Gaetano Porcasi ama dire: «La mia pittura è una continua ricerca storica: attraverso l'immagine cerco di far capire la storia». E nessuno può accusarlo di millantato credito. Anzi, lo storico Giuseppe Carlo Marino si sente confortato dalla «vocazione di Gaetano Porcasi a proporre la sua produzione come un singolare, fascinoso e affabulatorio servizio alla storia, alla storia in grande, al di là del percorso esistenziale segnato dalla sua personale biografia». È vero, lo stesso Marino tiene a precisare: «So bene che egli, così aprendosi ad un'inconsueta attenzione di quanti la storia l'interpretano e la scrivono per mestiere, lo fa pur sempre da artista, offrendo, appunto alla memoria storica,un suo peculiare “servizio d'anima” (di sentimenti e di emozioni). E so bene che per lui la storia è materia ben diversa da quella di cui sono soliti occuparsi gli storici: è un mondo indivisibile di natura, umanità e cultura in cui è l'immaginario poetico (insieme, talvolta, all'utopia) ad accertare il valore e il senso delle cose e degli eventi e dar fondamento alle interpretazioni, e non viceversa». Ma ciò che più conta – per lo storico e per la società in cui opera – è che dalla pittura di Porcasi scaturisce «una singolare poetica della liberazione e dell'impegno civile […], il cui contenuto sia ideale che emotivo è l'invocazione di una catarsi individuale e sociale, di una liberazione collettiva dalla violenza del dominio forzando i limiti della costretta passività e della rassegnazione».
Giudizi analoghi provengono dal mondo dell'informazione. Lou Del Bello, ad esempio, sostiene che «Porcasi vuol far conoscere la storia e le ferite della sua terra reinterpretando i saperi che gli derivano da una documentazione e ricerca approfondite: all'origine di ogni suo quadro ci sono conversazioni con storici, intellettuali e giornalisti». Ma la migliore chiave di lettura della produzione pittorica di Gaetano Porcasi la fornisce lui stesso affermando: «La mia pittura è atipica: non vuole soddisfare il gusto borghese diventando l’opera un pezzo di arredamento, ma ha carattere divulgativo, un impatto emotivo forte. Le mie tele sudano di sangue, per dare voce alle persone che hanno perso la vita per la nostra sana democrazia. Quasi tutte le mie opere sono contestualizzate a fatti realmente accaduti; sono frutto di una continua ricerca storico-pittorica». Da qui il suo bisogno d'incontrarsi e confrontarsi con altri esponenti del mondo della cultura, convinto com'è che «l’intellettuale ha un compito importante, quello di divulgare la consapevolezza del vivere civile democratico per svegliare le coscienze della collettività andando al di fuori degli schemi politici della politica partitica». Per lui, l'intellettuale «è il filosofo (artista, scienziato, ecc.) che spende parte del privilegio di cui gode grazie alla sua visibilità, affinché la politica sia sotto controllo e sia davvero vicina al cittadino, secondo i principi di giustizia e libertà, eguaglianza e dignità». Se poi si tiene conto del suo grande amore per la Sicilia e il suo patrimonio naturale, artistico e culturale si comprendono benissimo le ragioni per cui la sua tavolozza (che alcuni critici considerano ispirata da Goya e altri da Guttuso) evoca quella dei pittori di carretti siciliani della sua Partinico, della vicina Terrasini e di Bagheria.
Altrettanto innamorato della Sicilia (e nello stesso tempo amareggiato e indignato per i mali atavici che l'affliggono) è Totò Mirabile. Non a caso, nel momento stesso in cui ebbe modo di accostarsi (per il tramite di chi scrive) ai componimenti pittorici che Porcasi pubblicava sul proprio diario in Facebook, sentì il bisogno di commentarli accorpandovi le sue poesie, talora estemporanee. Subito dopo gli chiese l'amicizia, che di lì a poco divenne anche reale. Il passo successivo fu il progetto editoriale che si sta concretizzando con “Sicilia amara e Sicilia duci”.
Metafora di questa ambiguità tutta siciliana è il ficodindia che Porcasi ha offerto alla fruizione degli amanti del bello con un apposito componimento pittorico del 2006 (olio su tela – 50 x 150) e Mirabile ha commentato da par suo già nella prima quartina della sua poesia:

Spini n'havi 'na carramata
ma dintra è zuccazu e marmellata
è un fruttu chi fici nostru Signuri
c'arrialò a la Sicilia cu tantu amuri.

E non senza proporne una versione in lingua italiana: «Spine ne ha tantissime carrettate/ ma dentro è di zucchero e marmellata/ è il frutto che fece nostro Signore/ che regalò alla Sicilia con tanto amore».
Non meno efficace è il componimento poetico che Mirabile ha fatto a commento dell'Autoritratto (olio su tela – 2012) dipinto dal pittore di Partinico in un momento in cui la sua notorietà aveva valicato abbondantemente gli angusti limiti territoriali della regione in cui è nato e cresciuto. A tale proposito l'armonia cromatica del panorama circostante e lo sguardo leale e determinato dell'artista auto-immortalato raccontano già di per sé un percorso artistico e umano di tutto rispetto. E Totò Mirabile non manca di coglierne gli aspetti più importanti, a giudicare da questi versi:

...E fu accussì chi Gaitanu cumincià a ricircari
e attruvà a so' vucazioni miscilannu i culuri
ca so' fantasia, l'impegnu civili e suciali
pi cuntari pittannu a so' terra cu beni e mali.
E pitta a so' terra fatta di viulenza carugnusa
terra amara comu u feli pi curpa di pulitica fitusa
'na terra duci comu meli pa natura affascinanti
bedda antica e mistiriusa la terra di tutti li genti.
E trasfurma a so' pittura comu un gridu dispiratu
di tutti sti vari morti chi a mafia à ammazzatu
ma 'un c'è sulu mafia, diliguenza e supraffazioni
ma è terra d'amuri, di zagara d'aranci e di limuni.

(...E fu così che Gaetano iniziò a ricercare/ e trovò la sua vocazione miscelando i colori/ con la sua fantasia, l'impegno civile e sociale/ per raccontar dipingendo la sua terra in bene e male./ E dipinge la sua terra fatta di violenza tremenda/ terra amara come il fiele per colpa di politica sporca/ una terra dolce come il miele per natura affascinante/ bella antica e misteriosa, la terra di tutte le genti./ E trasforma la sua pittura come un grido disperato/ di tutti questi tanti morti che la mafia ha ammazzato/ ma non c'è solo mafia, delinquenza e sopraffazione/ ma è terra d'amore, di zagare d'arance e di limoni.)
Ora, al di là di ogni enfatizzazione e licenza poetica (di cui la punteggiatura è solo un esempio),non c'è dubbio che nella Sicilia di Porcasi e Mirabile non riecheggia solo il grido disperato delle vedove e degli orfani di mafia: le minacciose nubi del malaffare, della stramaledetta barbarie mafiosa e della mala signoria non hanno ancora del tutto cancellato l'incanto della natura e della cultura siciliane, che vuol riscattarsi al cospetto del mondo intero. A chi volesse saperne di più, mi permetto di consigliare di procurarsi il libro e di visitare il laboratorio-pinacoteca di Porcasi a Partinico e il Museo Mirabile nella contrada Fossarunza, a Marsala.

Pippo Oddo
Palermo 05/12/2014

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