venerdì, settembre 15, 2017

Regionali Sicilia. Discontinuità con le ultime esperienze di governo!

di ROBERTO TAGLIAVIA
La necessità della discontinuità con le più recenti politiche regionali e l’urgenza di una proposta di riforma della Regione, fino alla revisione dello Statuto, sono riconducibili alla gravità del divario tra noi e le regioni del nord, che è economico, sociale e civile. Non si misura quanto la profondità di questa divisione stia logorando le ragioni dell’unità e della stessa democrazia italiana. La condizione di degrado economico e civile della Sicilia rende ancora più difficile il rapporto con il resto del Paese e rimette in discussione lo stesso valore dell’autonomia regionale e della specialità dello Statuto.
C’è chi accusa la Regione di essere intralcio per un efficace rapporto tra i siciliani e lo Stato, usata come scusa del disimpegno verso la Sicilia dai Governi nazionali, e propone di abolirla. C’è chi si limita a volere ridimensionare la specialità dello Statuto, riconducendo la Sicilia a statuto ordinario. C’è chi, per contro, teorizza un forte rilancio della specialità come strumento per una nuova e più efficace conflittualità con lo Stato. In sostanza, tutti chiedono che sia lo Stato a farsi carico della nostra situazione, ma si scontra con le politiche e gli egoismi di una parte del Paese che non è più minimamente intenzionato a farsi carico del Mezzogiorno e della Sicilia.

E’ del tutto evidente che la Regione, così com’è, comunque non risolve i problemi della Sicilia nè aiuta la ricomposizione di un clima di civile coabitazione nel Paese. Entrambe le posizioni, a favore o contro la specialità, in fondo ripropongono la vecchia visione risarcitoria che lo Stato dovrebbe avere nei confronti della Sicilia per i torti inflitti durante il processo unitario d’Italia. E’ evidente che se siamo in questa situazione è perché anche la proposta risarcitoria non è stata in grado di unificarci realmente al resto del Paese.
Per di più, la nostra specialità, pensata prima ancora della stessa Costituzione, non ha nel suo orizzonte l’Unione europea, nuova fonte di diritto, regolatrice dell’economia reale, oltre che erogatrice di fondi attraverso procedure e metodologie estranee alla tradizione burocratica del secolo scorso. In un contesto europeo, in una economia globalizzata, si è dimostrato ancora più insufficiente il modello di Autonomia sovranista che ritagliava sui confini regionali poteri quasi statuali, per difendere i privilegi locali dalle influenze del mondo che ci circonda.
La crisi ci impone allora di abbandonare vecchie e impraticabili soluzioni, innovando la nostra Regione e nello stesso tempo rinnovando il Paese e la sua concezione dello Stato, contribuendo a un rilancio dell’Europa delle regioni, o dei territori, attraverso una democratizzazione e semplificazione delle stesse istituzioni comunitarie.
Per adeguare la Regione ai nostri tempi servono certamente le semplici misure già suggerite dal prof. Renda e fatte proprie oggi da Orlando e Micari, quali l’abolizione del voto segreto all’ARS (salvo il limite del voto sulle persone) e l’immediata applicabilità delle leggi nazionali laddove la Regione non eserciti le sue potestà entro sei mesi con diverso testo. Ma è del tutto ovvio che, di fronte al contesto appena riassunto, non bastano!
 La nuova Assemblea regionale dovrà porsi come assemblea costituente e questa funzione dovremo saperla proiettare anche sulla prossima battaglia elettorale per il rinnovo del Parlamento nazionale. La riforma dello Statuto è occasione per riprendere, su altre basi, il cammino di rinnovamento dello Stato italiano e l’asse su cui costruire una nuova idea di regionalismo, che non è quella del sovranismo leghista, ma quella del funzionalismo democratico, di strumenti agili di governance del territorio che salvaguardino la partecipazione e la condivisione delle popolazioni. Quello che urge per ristabilire un rapporto con la popolazione, sempre più disincantata dall’inconcludenza dei sistemi di governo, è il rapido passaggio verso una democrazia di sostanza e solidale, verso una autonomia che ci riporti a una cittadinanza attiva e responsabile.
Di fronte a queste urgenze anche il tentativo estemporaneo della rivoluzione di Crocetta si è dimostrato insufficiente e non più riproponibile, anzi i limiti di quel tentativo confermano l’urgenza di una svolta tanto profonda da richiedere l’attivazione non del volontarismo singolare di qualche personalità ma un processo consapevole e organizzato delle competenze della società siciliana. Ancora di più questi limiti registrati. Crocetta è stato l’ultimo tentativo di vivificare la politica siciliana senza mettere mano a una profonda revisione della Regione e dei suoi rapporti con lo Stato e l’Europa. I limiti registrati ci mostrano la velleitarietà di ulteriori proposte fondate sul volontarismo di singole personalità o movimenti di opinione disorganizzati e portano a dire che sia i vecchi modelli della destra sia il movimentismo grillino di fronte alla sfida dei tempi soffrono degli stessi limiti.
La dichiarazione di Micari di volere partire da una forte discontinuità con le ultime esperienze di governo e di volere porre le competenze al centro di una nuova politica per i territori è una buona premessa, ma nella composizione delle liste deve essere presente la chiarezza della sfida e della necessità di dare vita a una Assemblea regionale costituente che apre una nuova fase della politica in Sicilia e nel Paese.
ROBERTO TAGLIAVIA
Palermo 14 settembre 2017                                 

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