domenica, marzo 15, 2015

A La7 un Landini irrefrenabile ha scosso la sinistra.

di Gim Cassano
Ho iniziato a metter giù queste note mentre ieri sera, su LA7, seguivo la lunga intervista di un Mentana incuriosito e quasi divertito per la novità e la rudezza di un Landini straripante, in tutto dissimile da qualsiasi altro leader della sinistra, e che difatti si è palesemente irritato per il breve inserto video che ha proposto una sorta di “gallery” dei leaders della sinistra negli ultimi anni (e dei relativi insuccessi). Si tratta di prime impressioni; e mi chiedo anche quali prime impressioni ne abbiano ricavato gli italiani, essendo su queste che si predispone la pubblica opinione, restando come un substrato che orienta i successivi ragionamenti ed orientamenti.
L’intervista mi è parsa il confronto tra due mondi e modi diversissimi di intendere la politica.



Da un lato, sullo stile dei “talk shows” che ormai hanno sostituito il dibattito pubblico, si ponevano domande sostanzialmente in politichese: quelle che possono interessare quel mondo variamente composto da professionisti dell’informazione e della politica, che al tempo d’oggi calca la scena dell’informazione politica (farete un partito? presenterete una lista? quali sono i rapporti con la CGIL e la sinistra politica?).
Dall’altra, un Landini irrefrenabile, che sforava allegramente i tempi, incurante delle punzecchiature e delle domande, parlava utilizzando imperterrito tutt’altro genere di linguaggio, muovendo dalle persone, dalle cose, dalle necessità, dalle proposte, sviluppando un ragionamento che in seconda battuta veniva a toccare il ruolo del sindacato e delle forze sociali, e solo come ultima conseguenza arrivava alla necessità di una politica diversa, lasciandone peraltro abilmente aperta ogni possibile conclusione.
Vi era presente un ragionare concreto, privo di connotazioni ideologiche ed attento alle condizioni reali, riguardante una società ed un mondo della produzione che si sono profondamente trasformati, un mondo del lavoro, oggi sconfitto nel suo insieme, non più fatto di soli operai e di solo lavoro dipendente, e (aggiungo io) le cui connotazioni ed orientamenti politici e culturali attuali sarebbero stati inimmaginabili solo 15 anni fa.
Il che porta, e questa consapevolezza non può esser vista che con favore, anche alla necessità di rivedere il ruolo del sindacato, sburocratizzandolo ed aprendolo maggiormente alle rappresentanze reali dei lavoratori (del braccio e della mente, si sarebbe detto un tempo); il che dovrebbe preludere ad un utile dibattito interno al mondo sindacale, ed in particolare alla CGIL, del quale credo vi sia gran bisogno.
Come si fa a non vedere in ciò un modello di corpo sociale intermedio, partecipativo e rappresentativo, del tutto avverso al modello del partito liquido di cui il PD è espressione, dove vota, a prescindere dalle proprie convinzioni ed appartenenze politiche, chi passa davanti ai gazebo delle primarie (magari tre o quattro volte), dove l’iscritto non conta nulla (e difatti se ne va), ed il militante conta solo se ed in quanto sia riuscito ad arraffare qualche posizione di potere locale?
L’intervista ha evidenziato una visione complessiva, nella quale i temi della democrazia si sono affiancati a quelli del lavoro, delle scelte economiche, delle prospettive del Paese, con un’evidente e comprensibile attenzione al mondo della produzione, che porta non tanto alla critica dell’impresa in quanto tale e delle sue necessità, quanto a quella dell’interpretazione ideologica che ne dà Confindustria e, per essa, il governo.
Nelle parole di Landini, mi è parsa evidente la constatazione che il rifiuto da parte del governo di ogni confronto con le parti sociali, ed anche con il Parlamento e con la politica, nasca dal fatto che l’unico confronto ritenuto utile, quello con gli interessi dell’establishment industriale e finanziario, avvenga già all’interno dello stesso governo, ove questi sono ben presenti, preceduto dalla subordinazione a scelte scritte parecchio a Nord delle Alpi; certo, non dagli italiani.
Da qui, il considerare inutile e dannosa ogni forma di pubblico dibattito, sostituito dai tweets e dalle dichiarazioni a senso unico, con la conseguenza del silenzioso abbandono di ogni politica industriale (o di piano, come si diceva un tempo), e l’altrettanto silenziosa adozione di scelte che rappresentano ulteriori elementi di rafforzamento di quell’establishment, quali la vendita di importanti assets pubblici, sblocca-Italia, ed uno Jobs Act inefficiente ai fini della ripresa, ma necessario a simboleggiare e dare forma e sostanza giuridica a relazioni industriali che ci riportano agli anni ’50.
Ne emerge in termini semplici, forse anche grezzi, ma facilmente percepibili, il tentativo di rappresentare l’idea di una democrazia industriale che non si fonda sull’astrattezza ed il determinismo dell’ideologia, ma su realtà sociali ed economiche.
Interessanti le valutazioni su Podemos e Syriza: visti come gli effetti di realtà politiche e sociali molto diverse da quella italiana, tra l’altro tra loro diverse e, giustamente a mio parere, non meccanicamente imitabili in Italia.
Ciò, mi sembra, nella convinzione che ogni processo politico che tenda a riproporre fenomeni precedenti o importati da altre realtà, sia condannato a poco più che esserne una copia sfocata.
Sull’Europa, mi è parsa importante la consapevolezza di quanto sia necessario operare per omogeneizzare le politiche fiscali, del lavoro, economiche, per evitare gli evidenti effetti di dumping interno.
E’ impossibile ripercorrere in dettaglio tutta l’intervista, e commentare una ad una le affermazioni fatte.
D’altra parte, mi sembra che, più che i singoli passaggi, sia da coglierne il senso complessivo, che mi pare quello di una sinistra che inizia a parlare un linguaggio diverso e comprensibile, più attento alle condizioni reali del Paese e delle persone, che alle percezioni psicologiche o alle interpretazioni e predizioni ideologiche.
Ed è molto probabile che di questo, in un’epoca in cui la concretezza tende a diventare appannaggio esclusivo della destra, vi sia a sinistra un grande bisogno. Ed è altrettanto probabile che la carica umana che Landini porta con sé possa essere un utile corroborante ad una sinistra sfiduciata e rinunciataria, e ad un’elettorato che rischia di cadere nella rassegnazione del “Renzi, se non altro prova a cambiar le cose”.
Difficile oggi capire quali siano le conseguenze politiche del percorso indicato da Landini.
Una cosa però è certa: il percorso di cui egli ha parlato ieri sera, e che l’incontro odierno, in vista della manifestazione del 28 marzo, dovrebbe aver ribadito, rappresenta un salutare scossone all’albero di una Sinistra che ancora non riesce ad individuare le tattiche e le strategie per poter condurre la propria battaglia su un terreno che l’Europa tedescocentrica, e per essa Renzi, ha stabilito quale debba essere.
Possiamo solo auspicare che queste iniziative servano a smuovere la sinistra “politica” dall’attuale incertezza di fondo sul da farsi, e che ci si renda pienamente conto che la situazione richiede un processo comune a tutti i soggetti politici e sociali che siano realmente interessati all’ammodernamento del Paese; dove, per ammodernamento, non si intende la passiva accettazione delle conseguenze delle trasformazioni recenti delle società industriali che oggi ci viene proposta, ma la capacità critica di individuare e perseguire scelte politiche, sociali, economiche e fiscali, per le quali, nella realtà di oggi, la democrazia possa essere effettiva.
Mi pare evidente che le condizioni si siano degradate ad un punto tale che non si tratta più di operare per la difesa, quanto per la “riconquista” di diritti, libertà, democrazia. E che ogni ripresa economica, quando questa avrà luogo, non si tradurrà in un beneficio per i più, se non accompagnata da passi in direzione di questa riconquista.
Certo, a far ciò occorreranno adeguati percorsi e strumenti politici, riguardo ai quali dobbiamo augurarci che
prevalga da parte di tutti i soggetti interessati una visione non asfittica e condizionata dalle velleità delle singole botteghe, aperta, non egemonica.
E, altrettanto certamente, occorreranno approfondimenti e lo sviluppo di un pensiero adeguato, riferito all’Italia ed all’Europa e, più in generale, alle condizioni di una fase particolare dell’evoluzione delle società industriali che vede la progressiva sdemocratizzazione delle decisioni e la loro sottrazione al controllo pubblico, l’unico su cui si possano, almeno in via di principio, instaurare i principii della democrazia.
Ma, intanto, quanto Landini ha iniziato a mettere in moto è certamente utile ad avviare maggiori consapevolezze e, soprattutto la convinzione che non si possa perdere altro tempo. Ed è utile che su questo si discuta, ci si confronti, e che ognuno esprima la propria opinione.
Gim Cassano 14-03-2015 (gim.cassano@tiscali.it)


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