giovedì, maggio 09, 2019

La lunga marcia nel nome di Impastato


UMBERTO SANTINO
Domani ricorre il quarantesimo anniversario della manifestazione nazionale contro la mafia, svoltasi a Cinisi un anno dopo l’assassinio di Peppino Impastato. A spingerci a promuoverla era il risalto dovuto alla sua memoria, infangata da chi lo voleva attentatore inesperto o suicida, ma anche un’analisi che contestava l’idea dominante che la mafia fosse soltanto un fenomeno siciliano, per di più in via di sparizione. Invece parlavamo di una mafia imprenditoriale, con un sistema relazionale transclassista. Ma con la prevalenza di strati alti e intermedi classificabili come borghesia mafiosa, radicata nel contesto politico e istituzionale, che si sviluppava intrecciando continuità e innovazione. Coniugava signoria territoriale e accumulazione illegale, alimentata dai traffici internazionali, soprattutto quello di droga, già allora in forte espansione.
Quando Peppino definiva Gaetano Badalamenti «esperto di lupara e di traffico di eroina» , coglieva una realtà composita e indicava un percorso che partiva dalle raffinerie di eroina installate nelle vicinanze dell’aeroporto di Punta Raisi e aveva come destinazione finale il mercato
americano. Le indagini di Boris Giuliano porteranno, nel giugno del 1979, alla scoperta delle valigie colme di dollari — e quelle indagini ne determineranno la condanna a morte — e nel giugno del 1987 Badalamenti sarà condannato a 45 anni di carcere nel processo alla "Pizza Connection" svoltosi negli Stati Uniti.
Ma tutto era cominciato molti anni prima, nell’ottobre del 1957, quando all’Hotel delle Palme i boss americani si incontrarono con i capimafia siciliani e definirono la strategia del traffico intercontinentale di droga e uno degli snodi fondamentali doveva essere la Sicilia. Al summit siculo-americano parteciparono, tra gli altri, Lucky Luciano, Joe Bonanno, Gaspare Magaddino, Giuseppe Genco Russo: erano mondi diversi, ma farà da collante tra le metropoli e la provincia rurale l’esponenziale lievitazione dei proventi. In quegli anni uno dei pionieri del traffico di droga era Cesare Manzella, zio di Peppino, e la Sicilia, prima zona di transito, diverrà ben presto area di produzione, con i laboratori che saranno scoperti solo nei primi anni Ottanta. Ma della loro esistenza si sapeva già prima e non era solo Peppino Impastato a saperlo, ma era l’unico, o tra i pochissimi, che ne parlava. La consapevolezza di questa realtà maturerà con grave ritardo, ma questo non vale solo per il traffico di droga ma per il fenomeno mafioso nella sua evoluzione e complessità. Lo stesso ritardo che si è avuto con la "scoperta" della mafia al Centro-Nord.
Le analisi che portarono alla manifestazione nazionale del 1979 hanno anticipato riflessioni che si svilupperanno successivamente, fino a diventare luogo comune. E se la partecipazione, in quasi duemila, era rapportata alle capacità di mobilitazione di chi l’aveva proposta e organizzata — Radio Aut, che sopravvivrà fino al 1980, il Comitato di controinformazione formatosi presso il Centro siciliano di documentazione, operante già dal 1977, Democrazia proletaria — l’attenzione fu molto limitata. Per la stampa nazionale e la televisione non faceva notizia. E silenzio e isolamento hanno accompagnato per anni i pochi che si battevano per mantenere viva la memoria di Peppino, che rimane un caso unico nella storia delle lotte contro la mafia per la sua rottura con il padre e la parentela mafiosa. Eppure la richiesta di giustizia ha ottenuto i risultati che si proponeva, anche se con ritardo: le condanne di Badalamenti e del suo vice, come mandanti dell’omicidio, e la relazione della Commissione parlamentare antimafia sul depistaggio operato da rappresentanti della magistratura e delle forze dell’ordine. Tra essi l’allora maggiore Antonio Subranni, che abbiamo ritrovato nel processo sulla trattativa Stato- mafia, conclusosi in primo grado con pesanti condanne e ora al vaglio dell’appello.
Anche la relazione è, fino a oggi, un caso unico nella storia del Parlamento repubblicano. La proposta, fatta da chi scrive a ridosso della relazione, approvata nel dicembre del 2000, di fare quello che si era fatto per Peppino Impastato per delitti e stragi che non hanno avuto giustizia, o l’hanno avuta solo parzialmente, non fu accolta. È di questi giorni la decisione del procuratore nazionale antimafia di istituire un superpool che indagherà sulle « entità esterne » alla mafia per le stragi Falcone e Borsellino e alcuni grandi delitti. È una buona notizia, ma non potrà non pesare il fatto che si è perduto troppo tempo, dando credito a depistaggi e messinscene.
La Repubblica Palermo, 8 maggio 2019

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