lunedì, aprile 02, 2018

Le tre sorelle sotto assedio a Mezzojuso, nelle terre dei boss: «Non andiamo via»

Le sorelle Napoli

di FELICE CAVALLARO
Sicilia, recinti distrutti da mucche e denunce. «Ci considerano un disonore della famiglia perché denunciamo tutto ai carabinieri»
MEZZOJUSO (Palermo) - Di certo c’è che qualcuno tagliava e abbatteva le recinzioni dei terreni coltivati da tre sorelle entrate nel mirino della mafia. Vittime di incursioni con una mandria di bovini «inselvatichiti» lanciati a distruggere grano e frumento. Come succede con le «vacche sacre» che la ’ndrangheta lascia pascolare in Calabria allo stato brado sconvolgendo campi e piantagioni di chi viene così invitato a sloggiare. Operazione tentata a Mezzojuso, nel cuore malato della Sicilia, al confine con Corleone e Godrano, dove però Irene, Anna, Ina Napoli, tre sorelle di ferro, pur disperate come la madre Gina, non mollano: «Non ce ne andremo, non venderemo mai». È la sfida a boss e sgherri che celati dai passamontagna tranciano, o meglio tranciavano, i reticolati per favorire incursioni e devastazione.
Le telecamere e Giletti

Almeno così sembra dalle inquadrature delle telecamere di sorveglianza che hanno filmato perfino un trattore verde dietro la mandria della scorribanda. Immagini riproposte domenica sera da Massimo Giletti su La7 per una puntata di Non è l’Arena alla quale era stato invitato pure il neo assessore all’Agricoltura Edy Bandiera perché fra i vicini a lungo sospettati dalle tre donne ancorate alla memoria del padre c’è pure la Regione siciliana con il suo Istituto zootecnico, proprietario di quel trattore.
Il porta-pizzini di Provenzano
L’interesse dei carabinieri, della Procura di Termini Imerese competente per territorio e del prefetto Antonella De Miro che ha convocato e sostenuto le sorelle a Palermo si concentra soprattutto su altri confinanti della proprietà Napoli con storie giudiziarie segnate perfino dall’ombra di Bernardo Provenzano. A cominciare da Simone e Giuseppe La Barbera, figlio e nipote di Nicola, il defunto «porta-pizzini» del numero uno di Cosa nostra quando da latitante scansò un blitz, dileguandosi fra campi in cui non sono tollerate presenze estranee. È il caso delle sorelle Napoli che, oltre l’istituto regionale, hanno denunciato questi ed altri personaggi alla magistratura ottenendo però davanti al giudice di pace di Corleone solo la beffa di una assoluzione per tutti. Come ricordano, infuriate con il loro avvocato: «Non si presentò all’udienza anche se ce lo aveva mandato Addiopizzo». Da Palermo getta acqua sul fuoco Daniele Marannano per l’organizzazione: «Facciamo quel che possiamo, non ci sottraiamo nei limiti delle nostre possibilità, ma le sosteniamo con convinzione...».
La famiglia dei carabinieri
Fatto sta che hanno cambiato avvocato. Alte e forti, a tratti appaiono invincibili, spesso indifese, i volti rigati dalle lacrime. Anche pensando al contesto in cui si muovono: «Siamo il disonore della famiglia perché ci rivolgiamo ai carabinieri che consideriamo la nostra vera famiglia». E con il comandante provinciale Antonio Di Stasio vanno in prefettura dove l’attenzione è massima. Come in Procura, a Termini Imerese. Rinnovando indagini che allarmano anche la Regione dove l’assessore Bandiera, «finora irreperibile per La7», commenta caustico Giletti, sembra in attesa di una relazione chiesta al direttore dell’Istituto, Antonio Console.
La caccia della Forestale
Un funzionario al lavoro per raccogliere documentazione e «fare chiarezza». Come spiega: «Il problema degli animali inselvatichiti colpisce anche noi. Scorrazzano buttando a terra ogni steccato perché dove vedono erba demoliscono tutto. Li combattiamo con la Forestale per catturarli, come è accaduto venerdì scorso con sei capi. I nostri 46 bovini invece hanno 250 ettari di terreno e mai sforano recinzioni ormai ben controllate. Perché dovremmo fare invadere altri terreni? Io ho presentato relazioni dettagliate e sono stato interrogato dal giudice a Corleone che ha emesso una sentenza di assoluzione a favore dell’Istituto e dei suoi dipendenti. Se le sorelle Napoli hanno ricevuto minacce, ovviamente, ci dispiace, ma non è un problema che può coinvolgere l’ente».
Prefettura in appoggio
Relazione e spiegazioni che rimbalzeranno anche in prefettura dove la dottoressa De Miro ricorda comunque che, se esistono mucche allo stato brado, la Regione dovrebbe farsene carico, trattandosi probabilmente in parte di terreni demaniali. Altra storia quella delle cesoie che nemmeno le «vacche sacre» sanno usare, mentre echeggiano ancora minacciose le voci che hanno convinto le sorelle di ferro ad appoggiarsi ai carabinieri. Voci oblique: «Non è mestiere per le femmine». Una ragione in più per ribellarsi, come sussurra fra le lacrime la madre, mamma Gina, accarezzando la gatta di famiglia, Camilla: «Per noi diventa difficile pure trovare un operaio o una trebbiatrice perché dicono a tutti di non venire a lavorare da noi. Con danni economici enormi». Gli stessi che il prefetto De Miro ha arginato ottenendo la cosiddetta sospensione dei termini legali per bloccare i debiti in banca. Altra misura dopo un risarcimento ottenuto per i mancati guadagni del 2014, quando ancora speravano nel processo poi perso, senza avvocato.
Corriere.it, 21 marzo 2018

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