domenica, agosto 30, 2015

L’estate più lunga dello sfruttamento in Puglia. Calamita (Flai-Cgil Foggia): “Troppe parole, è ora di agire”



di Piero Ferrante 
Il barometro dell’estate pugliese è fermo, e segna costantemente nero. Su quel che è stato fin qui e su quel che sarà almeno fino a settembre inoltrato. La stagione (agricola) ancora in corso è stata marchiata a fuoco come annus horribilis. Una focalizzazione tanto evidente sulle sorti del bracciantato pugliese (a torto o a ragione) non si ricordava dai tempi della pubblicazione del reportage Io, schiavo in Puglia, firmato da Fabrizio Gatti su l’Espresso. Correva l’anno 2006 e la Puglia, da terra balneare, patria in pectore della pizzica e della tarantella, vide tramutare la sua immagine in ‘carcere a cielo aperto’. Tutto insieme, sfumarono le luci dalle piazze salentine e si accesero su quei campi dove, a migliaia, italiani e stranieri lavoravano chini sulle piante di pomodoro.

Da allora, anno dopo anno (ne sono passati nove, tanto per fare un conto elementare), le condizioni dei lavoratori stagionali sono andate peggiorando. Meno diritti e salari più bassi (per ogni bin si arriva al massimo a 2 euro) a fronte di trattamenti ancor più disumani e condizioni e orari di “lavoro” ben al di là del limite della violazione del diritto umano.

Ma la denuncia dello sfruttamento, da sola, non basta (non più) a fare notizia. E i “polveroni” sui diritti (elementari: accesso all’acqua in primis) sollevati dai sindacati e dalle associazioni sono sempre stati quietati con la prima raffica d’autunno.

La particolarità dell’estate 2015 sta in tre nomi: Zakaria Ben Hassine, Paola Clemente e Abdullah Mohamed. Morti sul lavoro, li chiamano. Forse sarebbe più corretto dire ‘morti di lavoro’. E intanto, con l’eco che fatica a spegnersi, in provincia di Foggia comincia a girare insistentemente la notizia di un quarto bracciante, un trentenne maliano, che sarebbe deceduto cadendo all’interno di un cassone. Per ora solo voci. Negli ospedali della provincia non sono stati appurati decessi. C’è un unico caso, al Riuniti di Foggia, di un giovane arrivato in preda ad un attacco gastrointestinale e subito dimesso. E risale all’11 agosto. Gli accertamenti vanno avanti. Il tutto a seguito della denunci pubblica di Yvan Sagnet, ex bracciante di Boncouri (il ghetto di Nardò insorto contro i caporali), che ha denunciato che il corpo potrebbe essere stato occultato, sepolto dagli stessi caporali nel ghetto di Rignano (uno dei 7 che puntellano le campagne della sterminata provincia di Foggia). Ma Sagnet, responsabile regionale immigrazione per la Flai Cgil, con i Carabinieri, che l’hanno interrogato, è andato molto più cauto.

Daniele Calamita (Flai Cgil)
Decesso o non decesso, la sensazione è che si sia a un punto di non ritorno. Gli occhi di politica e inquirenti sono puntati sulla Puglia. Ieri, su twitter, il ministro dell’Agricoltura, Maurizio Martina, ha promesso lotta dura e confische per chi sfrutta manodopera. Mentre Guglielmo Minervini, che della Regione Puglia è stato assessore alla Legalità nella passata legislatura ha attaccato su facebook, chiedendo di “non fare ammoina” e invocando risposte di chiarezza da Bari e da Roma.

Risposte che, invece, arrivano dalle forze dell’ordine. Nei giorni scorsi i carabinieri del Comando Provinciale, del Nucleo Operativo del Gruppo Tutela Lavoro di Napoli, del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia e personale della Direzione Territoriale del Lavoro del centro pugliese hanno effettuato specifici servizi finalizzati a contrastare l’utilizzo di manodopera irregolare e in nero, lo sfruttamento di lavoratori, in particolare extracomunitari clandestini. I militari hanno controllato 61 aziende agricole, 32 delle quali sono risultate irregolari (e 6 sono state sospese).

Agire, dunque. E fare presto. Questa è la parola d’ordine. E a Narcomafie, lo conferma Daniele Calamita, segretario generale della Flai-Cgil di Foggia. “Si sta parlando troppo. Filosofi, scrittori, politici: rilasciare un commento sul caporalato sta diventando lo sport estivo della Puglia. C’è chi ha il beach soccer, c’è chi ha il beach volley e c’è chi ha il caporalato. Serve conoscenza, per non generare confusione”. E la conoscenza è fenomeno complesso. In Capitanata si fa un gran parlare del Ghetto di Rignano, un mega villaggio costruito con materiali di scarto (per lo più cartoni e lamiere) in agro di San Severo ai piedi del Gargano, dove convivono braccianti e caporali, prostitute e spacciatori. “La situazione è più grave rispetto agli altri anni – racconta Calamita – Ci sono almeno duemila persone stipate in condizioni insostenibili”. Ma Rignano è un singolo caso. E nella sola terra di Foggia se ne contano per lo meno altri cinque. E poi masserie diroccate e centri di accoglienza. Una grande popolazione in movimento di lavoratori, appetibile per affaristi e caporali, cui vanno aggiunti i tanti stagionali italiani. Quelli che, come faceva Paola Clemente, partono in pullman alle tre del mattino dal Salento per raggiungere i campi della Bat e della provincia di Bari.

“Il lavoro è diventato un semplice strumento di produzione per produrre ricchezza. E’ come una zappa, come un fitofarmaco, come una macchina. La logica economica è di aumentare i profitti, e quale modo migliore che tagliare sui salari e sui diritti?” accusa Calamita. Ed è dunque “dal contrasto a questa logica che passa la lotta ai sistemi di sfruttamento”. Il problema “è sociale”. Per questo, vietato immaginare soluzioni radicali. “Qualcuno paventa la possibilità di smantellare il ghetto usando le ruspe e potenziando il controllo con un massiccio impiego dell’esercito. Questo sposterebbe solo il problema altrove. Serve una soluzione che parta dalle istituzioni”.

Una strada, ad esempio, come quella promossa l’anno scorso dalla giunta a guida Nichi Vendola e che aveva portato al piano Campo Free-Ghetto Off, con l’autocostruzione (sempre nelle campagna di San Severo) di un villaggio con presidio medico e fornito di tutti i servizi essenziali. Ma al momento, il progetto è fermo, in attesa di capire chi debba essere il primo a scagliare la palla.
da narcomafie.it, 27 ago 2015  

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