mercoledì, febbraio 08, 2017

PALERMO, CHE COSA SIGNIFICA ESSERE UNA CAPITALE

La cattedrale di Palermo
UMBERTO SANTINO
Palermo è stata riconosciuta capitale della cultura perché lo è da sempre, per essere stata crocevia delle culture storiche del Mediterraneo: dalla punico-romana alla giudaico-cristiana, alla musulmana; per il suo patrimonio monumentale, ma anche per la sua disponibilità all’accoglienza di profughi e migranti, in controtendenza con le politiche attuali, dall’Europa a Trump. Non vorrei che questi riconoscimenti portassero a nuove divisioni, per esempio tra amici e nemici della contentezza, tra gli apostoli dell’autostima e i devoti del fatalismo. La contentezza non può portare a ignorare i problemi di una città che rimangono irrisolti: dalla disoccupazione al degrado di gran parte del patrimonio monumentale (non ci sono solo i monumenti arabo-normanni con il cartello dell’Unesco), ai disservizi permanenti: dai trasporti pubblici ai rifiuti a pochi passi dai monumenti più celebrati (uno degli spettacoli più avvilenti a cui capita di assistere sono i turisti che fotografano i mucchi di immondizia). Così pure la scontentezza non può significare fare sempre e comunque il bastian contrario, vedere sempre il bicchiere mezzo vuoto, ignorare quel tanto di buono che c’è e potrebbe esserci, se contenti e scontenti invece di specchiarsi nei loro umori si dessero da fare.

Palermo capitale italiana della cultura è soprattutto un impegno e una sfida. Cultura vuol dire archivi, biblioteche e musei che non dovrebbero essere depositi chiusi per anni e frequentati da pochi addetti ai lavori, ma spazi aperti e accoglienti; monumenti visitati non solo dai turisti ma soprattutto dai cittadini (c’è chi va alla Cappella Palatina la prima volta per il matrimonio, Serpotta è stato “scoperto” come un grande artista da Donald Garstang e rimane uno sconosciuto per buona parte dei concittadini). “Le vie dei tesori” hanno indicato una strada e bisogna continuare e rafforzare questa bella esperienza. Ma cultura è pure, o soprattutto, servizi pubblici efficienti e comportamenti quotidiani civili. Insomma: una comunità in cui è bello vivere e che si riconosce come bene collettivo. E se vuole essere realmente capitale dei giovani, la città non può non mettere al centro la disoccupazione giovanile, che negli ultimi anni ha superato il 45 per cento, con un 63 per cento di laureati. Potrebbe essere una buona idea quella di assegnare ai giovani palermitani borse di studio per farli vivere per un certo periodo all’estero, ma molti giovani, con laurea e dottorato, si sono già trasferiti in altre città o in altri Paesi, e in ogni caso è qui che dovrebbero vivere e trovare un lavoro dignitoso, non contentarsi di un’occupazione umiliante, precaria e sottopagata. Anche se la dotazione finanziaria per la “capitale della cultura” non è certo esaltante, le risorse invece di essere sprecate nella solita pioggia, dovrebbero essere impiegate in base a un progetto che individui delle priorità. In agenda ci sono parecchie iniziative, forse troppe. Si parla, tra l’altro, di circuiti water front ed etno-antropologici, dei cantieri culturali della Zisa da rivitalizzare, di Manifesta, la biennale di arte contemporanea che sarà in città l’anno prossimo, dell’ex convento San Francesco che dovrebbe ospitare un centro delle culture arabe e mediterranee. Mi pare che si riprendano alcuni progetti che componevano il paniere della candidatura europea, bocciata proprio per la sua onnicomprensività. Ma non si parla del Memoriale laboratorio della lotta alla mafia, previsto da una delibera della Giunta comunale del dicembre 2015. L’amministrazione comunale deve decidere: si vuole realizzare un grande progetto, a respiro nazionale e internazionale, che rispecchi una realtà che non può essere rimossa e le grandi lotte che hanno assunto le caratteristiche di una lotta di liberazione, o si pensa a un’iniziativa minore, marginale nell’offerta culturale, un contentino per chi l’ha proposta? Se si vuole avviare una rivoluzione culturale a Palermo, perché di questo si tratta, non ha molto senso distinguere tra amici e nemici della contentezza, o replicare la geremiade dell’irredimibilità. Occorrono scelte coraggiose, un sano realismo, risorse adeguate e una seria volontà di aprire un percorso, difficile ma praticabile.

La Repubblica Palermo, 7 febbr. 2017

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