venerdì, agosto 08, 2014

Casteldaccia ha ricordato il 70° anniversario dell'assassinio di Andrea Raja

L'intervento di Lo Monaco al convegno
di VITO LO MONACO
Una tre giorni dedicata a Andrea Raia, ucciso settanta anni fa dalla mafia a Casteldaccia, organizzata da un gruppo di ventenni, tra i quali un suo nipote, col patrocinio del Comune. Presente per la prima volta alla commemorazione la figlia ultraottantenne. Raia, prima vittima comunista nel dopoguerra, è stato ricordato anche in chiesa con una messa dedicatagli esplicitamente quale vittima politica dalla mafia. Chiamato in quanto informato dei fatti, assieme a studiosi di storia,quali Pippo Oddo e il sen. Nicola Cipolla, ho cercato di contestualizzare il primo delitto politico-mafioso del dopoguerra che come tutti gli altri successivi subì l’ingiustizia del depistaggio, la mancanza di un processo e il proscioglimento dei mandanti e degli esecutori accusati dalla coraggiosa mamma e dalla vedova. GUARDA IL VIDEO
Col passaggio dei poteri dall’amministrazione militare al governo italiano si costituì il primo governo Bonomi con i partiti del Comitato di liberazione nazionale (Azionisti, Comunisti, Socialisti, Liberali, Monarchici); riprese l’attività la Cgil; si riavviò la vita politica soppressa dal fascismo. Anche a Casteldaccia si aprì una Camera del Lavoro dove operarono insieme comunisti e socialisti. Andrea come tutti i comunisti e la sinistra sosterrà la direttiva del suo partito per i Granai del Popolo decisi per fronteggiare l’emergenza alimentare della popolazione (il razionamento prevedeva 150 gr di pane e 15 gr di pasta al giorno). Ai Granai del popolo doveva essere conferito tutto il grano prodotto escluso quello per uso familiare. Ciò provocò forti resistenza anche da parte dei piccoli e medi produttori subito strumentalizzati dagli agrari, dai separatisti e dai mafiosi unitisi in un solo blocco per condizionare il futuro dell’Italia senza perdere quel dominio che anche il fascismo aveva loro assicurato. Il delitto nasce in questo clima di scontro sociale e politico il cui esito condizionerà il futuro del paese. Andrea Raia è ucciso nella notte del 5 agosto dopo aver denunciato pubblicamente (fatto riportato dai carabinieri) l’imboscamento del grano grazie alla compiacenza del molino Tomasello dove sembra fosse finito anche il grano di una finta rivolta un anno prima capitanata dal capomafia Francesco Tomasello, detto testa di cane o crozza di morto, contro il pastificio Piraino approfittando della confusione della fuga dei nazisti e dell’arrivo degli americani di Patton. I mafiosi locali politicamente apparentati con l’ex deputato prefascista Giuseppe Scialabba poi finito con i suoi sodali castedaccesi nel Pri di Ugo La Malfa, sentitisi accusati più volte dal Raia provvidero a sopprimerlo. Gli inquirenti , ancora tutti di cultura fascista pur denunciando i fratelli Tomasello, che si erano presentati dopo qualche minuto dell’uccisione per verificare che ciò fosse avvenuta, negarono la matrice sociale e politica dell’omicidio e cercarono di incolpare addirittura i suoi compagni di partito. Nonostante gli interventi del Ministro di Grazia e Giustizia, il comunista Palmiro Togliatti, e di Girolamo Li Causi, prestigioso capo del nuovo Pci in Sicilia, Raia non ebbe un processo né giustizia. I mafiosi si attivarono anche presso l’anarchico Michele Abbate perché intervenisse su Li Causi, conosciuto al confino di Ponza, per negare la matrice politica del delitto causato, secondo il capomafia, dalla lingua troppo lunga del Raia. L’uccisione consentì però dopo qualche mese che un uomo designato dai mafiosi diventasse sindaco per quasi vent’anni. Con Raia scompare l’organizzazione comunista che rinascerà dopo le elezioni del 1963 quando dagli storici 48 voti supera 200 voti grazie a un gruppo di giovani che con i pochi antichi compagni riaprono la sezione del Pci intitolandola a Raia, con grande scandalo dei ben pensanti paesani. Essendo stato io il primo segretario di quella sezione e poi il primo consigliere comunale posso legare la memoria storica a quella personale e testimoniare dell’opposizione antimafiosa che seppur minoritaria fu forte e coraggiosa continuò dopo la morte di Andrea. Essa fu proseguita dal gruppo dei socialisti di cui fecero parte il commerciante Ignazio Di Domenico, diventato segretario della Camera del Lavoro dopo Raia, l’avvocato Piddu Martorana, Gianni Guaita, ex-azionista, genero del Duca Enrico di Salaparuta, mastro Tano Russo, piccolo imprenditore edile, ai quali si aggregarono Carlo Oreto, poi Nino Modica, ex mastro infortunatosi, e Elvezio Petix, ragioniere nell’azienda del Duca e poeta. L’opposizione antimafiosa riguardò, nei modi del tempo, cioè nella chiesa di Ruffini, anche i preti, ruvido e schietto Padre Paolo Fiorentino e poi più colto e mediato Padre Russo Rocco, i quali tentarono nello spirito di allora di frenare il dominio mafioso. Spirito antimafioso che uscì dagli steccati politici quando la seconda guerra di mafia fece di Casteldaccia l’epicentro dello scontro tra corleonesi e palermitani. Nel marzo dell’ottantuno scompare per lupara bianca il nuovo capomafia di Casteldaccia, Piddu Panno, transitato dal Pri alla DC, prosciolto per insufficienza di prove al processo di Catanzaro per la strage di Ciaculli; sono uccisi anche tanti suoi complici e killer, e politici locali ritenuti traditori degli interessi mafiosi. Il paese terrorizzato seppe reagire appoggiando l’iniziativa del primo Comitato Popolare Contro la Mafia che fu proposto e promosso da me e da padre Cosimo Scordato. Quel paese condizionato nel suo sviluppo economico, edilizio, sociale sempre dalla logica del predominio politico mafioso ebbe un moto di ripulsa e si ribellò partecipando a tutte le iniziative in massa sino alla famosa marcia antimafia Bagheria Casteldaccia del febbraio del 1983 ricordata recentemente nel suo trentennale, ripercorrendo la strada dei Valloni, oggi intitolata a quella marcia. Da Raia, mai dimenticato dai suoi compagni sino a citarlo tra le vittime di mafia riconosciute con legge regionale e a intitolargli una piazzetta, a oggi corre un filo rosso che lega la sua uccisione all’evoluzione di uno spirito critico antimafia trasversale alle generazioni e alla società civile. Il ruolo delle scuole oggi, quello delle amministrazioni civiche che si costituiscono parte civile nei processi di mafia tramite il Centro La Torre, gli imprenditori che denunciano le estorsioni, la Chiesa di Papa Francesco, che dopo la scomunica dei mafiosi, assume un impegno non solo occasionale di condanna, indicano che qualcosa si è mosso. La mafia non è scomparsa dalla nostra terra e dal nostro paese, ma l’antimafia sicuramente è più forte.  
Vito Lo Monaco 
 Centro Studi Pio La Torre

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