venerdì, giugno 24, 2022

LE COSCHE IMPRENDITRICI. Salviamo il Pnrr dalle mafie


GIUSEPPE PIGNATONE

Le cosche come quelle della ‘ndrangheta si sono diffuse nel Nord Italia, in Lombardia e altrove. Qui si è radicata la “mafia imprenditrice”. 

Si impossessa di aziende in difficoltà, si espande in nuovi settori, ricicla denaro sporco, rende inefficaci i servizi, danneggia l’ambiente. … [Le mafie] controllano il territorio con la violenza, soffocano la libera concorrenza». Questa l’analisi del premier Mario Draghi esposta poche settimane fa, a Milano. «Per questo — ha concluso — il contrasto alla criminalità organizzata non è solo necessario per la nostra sicurezza. È fondamentale per costruire una società più giusta». 

Il discorso del presidente del Consiglio, forse il primo dedicato specificamente al tema del contrasto al fenomeno mafioso, fin qui delegato ai ministri competenti, è importante per molti aspetti. Innanzitutto, pone correttamente il tema della mafia come questione nazionale a fronte delle tante prese di posizione di esponenti della politica e dell’economia che continuano a sostenere, nonostante l’evidenza offerta da decine di indagini e processi che interessano zone di tutte le regioni del Centro e Nord Italia, che il problema sia limitato ad alcune aree del Mezzogiorno. L’analisi

 del premier si è poi incentrata sulla necessità di evitare che la spesa degli ingenti fondi messi a disposizione dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) diventi l’occasione per un ulteriore arricchimento delle organizzazioni mafiose. «Per proteggere questi fondi — ha detto Draghi — semplifichiamo le procedure, miglioriamo il sistema di contrasto alle infiltrazioni, rafforziamo i controlli, ampliamo gli strumenti di contrasto a disposizione dei prefetti». Il punto è senza dubbio cruciale, dato che all’utilizzo corretto dei fondi del Pnrr è legata buona parte delle speranze di ripresa economica del Paese, in una situazione generale sempre più difficile. 

Queste risorse sono irrinunciabili per il Nord quanto per il Sud, dove pure il rischio mafie è certamente maggiore. 

Anzi, proprio al Sud l’esigenza di favorire lo sviluppo, di migliorare i servizi e l’assistenza sociale, di far crescere l’occupazione, specie quella dei giovani, è ancora più pressante poiché — l’esperienza insegna — le difficoltà economiche e sociali sono un fattore importantissimo, anche se non esclusivo, dell’espandersi delle mafie. 

Rimane quindi fondamentale l’attività repressiva, su cui è necessario l’impegno del governo per reperire le risorse per forze dell’ordine e apparato giudiziario, ma anche l’indicazione di una chiara volontà politica, come appunto ha fatto Draghi. Indicazione tanto più necessaria, a fronte delle preoccupazioni manifestate da più parti per gli effetti che potranno avere sui processi di mafia alcune delle norme adottate in questi mesi (specie quelle in tema di improcedibilità) e per alcune spinte a modificare su punti significativi la nostra legislazione antimafia, nonostante sia ritenuta in tutte le sedi internazionali la più avanzata al mondo e nonostante che indagini e processi ne abbiano confermato la piena efficacia, anche nel contrastare l’evoluzione delle mafie o — meglio — delle loro strategie. 

Tuttavia la repressione non basta. Come sempre nella storia delle mafie, è necessario che la volontà di contrastarle sia fatta propria da tutta la società. Soprattutto in una fase in cui l’azione delle organizzazioni mafiose è diretta a infiltrare l’economia e a impossessarsi di aziende e attività è decisivo che l’azione repressiva sia affiancata dal rifiuto degli operatori economici, delle loro organizzazioni di categoria, ma anche — ognuno per la parte di competenza — di ogni protagonista della vita politica e sociale, di venire a patti con le cosche, di instaurare con esse rapporti e relazioni basati su calcoli di convenienza individuale (per esempio, ottenere condizioni contrattuali più favorevoli, finanziamenti negati dalle banche, pacchetti di voti, lucrosi incarichi professionali e così via). 

Calcoli che alla lunga si sono sempre rivelati ingannevoli perché chi entra in rapporti con un mafioso si ritrova soggiogato a un padrone di cui non può più liberarsi, e intanto avvelena sistematicamente alle radici la nostra società. 

Come ha detto di recente il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «O si sta contro la mafia o si è complici. 

Non ci sono alternative» . 

La Repubblica, 24/6/2022

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