giovedì, giugno 23, 2022

LA MOSTRA. I lenzuoli della riscossa che risvegliarono la Palermo ferita


di ELEONORA LOMBARDO 

La memoria del dopo- stragi rivive da oggi all’Istituto Gramsci. “È il racconto di una storia irripetibile”. Nelle foto di Mike Palazzotto alcuni dei lenzuoli appesi ai balconi dopo la strage di Capaci

È successo il 26 maggio del 1992, il giorno dopo i funerali di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro nella chiesa di san Domenico, ai quali molta gente non riuscì a partecipare: troppa folla. Pioveva. Il giorno dopo aver seppellito insieme ai corpi buona parte della speranza, Marta Cimino, sociologa, figlia di Giuliana Saladino e Marcello, una vita e una famiglia che si è spesa per Palermo, continua a pensare a cosa fare, quale gesto opporre all’onda d’urto di una bomba che aveva mandato in aria tutto. 

«E se mettessimo alla finestra un lenzuolo che faccia vedere a tutti che non stiamo dalla loro parte?», sussurra Marta. È un’idea tanto semplice quanto forte, chi le sta vicino la incoraggia. Così lega alle sbarre del balcone di via Maqueda, nel condominio dove abitava anche la madre Giuliana, il primo lenzuolo “Palermo chiede giustizia”. Poco dopo, dalla casa di fronte dove abitavano delle studentesse, un altro lenzuolo: “Insieme possiamo farcela”. E poi un altro e un altro ancora, non solo a Palermo, ma anche a Messina, Catania, Trieste, Bonn, ovunque si cerca tra i cassetti un lenzuolo e una bomboletta per manifestare il proprio dissenso alla mafia. 

Racconta così Caterina Cammarata, figlia di Marta, la nascita del “Comitato dei lenzuoli”, uno dei movimenti civili che hanno cambiato la storia di Palermo e che da oggi alle 18.15 verrà raccontato in una mostra all’Istituto Gramsci, ai Cantieri della Zisa, “La memoria e l’impegno”, curata dalla stessa Cammarata insieme a Marinella Fiume, Enza Sgrò e Giuseppe Giordano (visite fino al 23 luglio). 

In mostra, cuciti insieme in un lungo stendardo di trenta metri, i lenzuoli “palermitani” con le scritte che hanno ridato parola a una città attonita, ma anche i lenzuoli che Catania e Messina con i dipinti degli artisti che vollero impegnarsi in questa battaglia civile, e ancora documenti, lettere, biglietti che instancabilmente le donne, erano soprattutto donne, del comitato, al quale poi si unirono “Le donne del digiuno”, mandavano quotidianamente a prefetti e ministri con idee propositive che spingessero verso una resistenza fattiva. «In una di queste lettere — racconta Salvatore Nicosia, presidente dell’Istituto Gramsci — si chiede di lasciare la voragine dell’autostrada e far deviare l’autostrada per lasciare visibile la ferita». 

Un percorso espositivo che documenta un trauma politico e insieme una rivolta morale partita dalle cittadine e dai cittadini. «Questa collezione è fatta da oggetti materiali che hanno alle spalle la storia irripetibile di quello che accadde trenta anni fa — racconta Marinella Fiume che in tutti questi anni ha custodito i lenzuoli — Ero amica di Marta e seguivo le vicende palermitane anche se vivevo dall’altra parte della Sicilia, considerata inizialmente meno toccata dai fenomeni mafiosi, ma la storia ha dimostrato quello che noi sostenevamo da subito, ovvero che tra Catania e Messina c’era una mafia già più infiltrata nel potere. L’omicidio di Fava conclamò che c’era un secondo tempo dell’azione della mafia, che a Catania si concretizzava nella mafia dei colletti bianchi» . Fiume racconta della sete di giustizia dilagante nella Sicilia orientale, che coinvolse interamente la società civile: «Raccogliemmo anche noi l’invito del comitato dei lenzuoli, dovevamo combattere una mafia diversa e per certi versi più pericolosa e dovevamo costituire un’antimafia. E quando Rossana Rossanda su “Il Manifesto” scrisse “sotto il lenzuolo niente”, si sbagliò di grosso, perché dietro quei lenzuoli c’erano tante idee e tanta ricerca della verità e sete di giustizia, solo che togliemmo la delega ai partiti tradizionali che si erano assunti il ruolo di partiti dell’antimafia». 

A Catania e a Messina la caratteristica dei lenzuoli fu quella di essere dipinti grazie al coinvolgimento di artisti che vollero mettere la loro arte al servizio della causa. «Anche Angelo D’Arrigo sulle ali del suo deltaplano scrisse “Mafia noi no” e volò per il golfo di Taormina», racconta Fiume, ricordando che il campione del mondo, morto poi in un tragico incidente, disse «So che un lenzuolo non sconfiggerà la mafia, però toglierà alla mafia spazio e la simpatia dei giovani». 

Il comitato dei lenzuoli raccolse adepti anche in diverse città di Italia e in alcune capitali europee, i drappi bianchi si continuarono ad appendere ai balconi a ogni anniversario e oggi all’Istituto Gramsci la loro esposizione è un modo non solo per celebrare i trenta anni dalle stragi, come dice Nicosia: «Con questa mostra, oltre che rivendicare l’appartenenza a un movimento che sembra tramontato, vogliamo esprimere grande solidarietà alla magistratura, perché questi reperti e documenti sono caratterizzati dalla solidarietà assoluta e dalla fiducia incondizionata nella magistratura. Una solidarietà che rischia di essere oscurata per l’immagine che una parte minima della stessa ha dato di sé, una solidarietà che si deve rafforzare perché oggi la magistratura è minacciata dalle riforme peggiorative che la vogliono subordinata al potere politico». 

La Repubblica Palermo, 23/6/2022

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