martedì, giugno 21, 2022

Il boss di Villagrazia e l’imprenditore un’indagine sui nuovi affari dei clan

Sandro Capizzi 


di SALVO PALAZZOLO

I carabinieri del Ros hanno scoperto che Sandro Capizzi era in contatto con Santo Castiglione, l’attuale gestore del Kalhesa L’imprenditore, che adesso è indagato per trasferimento fraudolento di valori, chiamava il padrino “ sangu mio”

Sandro Capizzi, uno dei rampolli di mafia più influenti di Cosa nostra, aveva davvero tante amicizie nella “ Palermo bene”. I carabinieri del Ros, che martedì hanno fatto scattare un blitz fra Villagrazia e Santa Maria di Gesù, hanno scoperto che il figlio di Benedetto Capizzi, storico componente della Cupola, ha avuto frequenti contatti con un imprenditore molto noto in città: è Santo Castiglione, oggi è uno dei gestori del Kalhesa, notissimo locale del Foro Italico. La procura distrettuale antimafia ha iscritto l’imprenditore nel registro degli indagati per trasferimento fraudolento di valori con l’aggravante mafiosa: l’ipotesi dell’accusa è che una parte delle quote della “Gi. Ma srl” di Castiglione, impegnata nella distribuzione di caffè, siano state di Capizzi junior. È un capitolo di una più ampia inchiesta condotta dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dal sostituto Dario Scaletta sui nuovi affari dei boss. 

Le intercettazioni del Ros raccontano di una grande familiarità fra Castiglione e Capizzi, nei giorni scorsi destinatario di un nuovo provvedimento di arresto perché ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Villagrazia. Nel giugno 2015, il boss aveva bisogno di un contratto di lavoro per tornare in Sicilia dopo la scarcerazione: ci pensò Castiglione. Con la “Gi. Ma”. C’era però un problema, all’epoca la società non era ancora attiva e l’imprenditore era preoccupato: «Se loro te lo bloccano per questo motivo che dicono: “Scusi, ma lei dove va a lavorare che risulta inattiva?”» . Capizzi insisteva: « Devi dirgli alla commercialista che specifica le fasce orarie in cui io dovrei essere impegnato al lavoro». Aveva fretta di tornare a Palermo, non certo per lavorare, ma per riprendere gli affari di famiglia. «Vedi questa cosa appena è pronta prima possibile che ora telefono — diceva ancora a Castiglione, e non sospettava di essere intercettato dai carabinieri della sezione anticrimine di Palermo — caso mai gli mandate un fax direttamente» . Firmato il contratto, il divieto di soggiorno in Sicilia venne trasformato in obbligo di soggiorno a Palermo: formalmente, Capizzi era addetto alle vendite del caffè. In realtà, sembrava fare molto altro. E l’imprenditore lo chiamava con affetto e deferenza: «Sangu mio». 

Cosa c’è davvero dietro il rapporto fra Castiglione e Capizzi? Solo il gesto di un imprenditore che ha voluto aiutare un detenuto a reinserirsi nella società o qualcos’altro? 

Quando sulla strada di Capizzi è spuntato Castiglione, i carabinieri hanno controllato in archivio, per capire chi fosse questo rampante imprenditore palermitano: è saltata fuori un’intercettazione del 10 maggio 2010, all’interno di una sala scommesse di via dello Spezio; quel giorno, Castiglione chiese al boss Antonino Abbate, all’epoca al vertice della famiglia del Borgo Vecchio, «un appuntamento » con Gregorio, «quello del Capo». Per gli investigatori, era il boss Gregorio Di Giovanni, il reggente del mandamento di Porta Nuova. «C’era da discutere un presunto debito a suo carico preteso da alcuni soggetti del Capo — ricostruiscono oggi i magistrati — debito che Castiglione riteneva non sussistere» . E avrebbe chiesto l’aiuto dei boss non solo per sostenere le sue ragioni con la controparte: « È uno del Capo — diceva ancora l’imprenditore riferendosi a Di Giovanni — e lo deve maltrattare » . Abbate lo rassicurò: «È come se parli con lui». 

Chi è dunque questo imprenditore che nel giro di pochi anni si è costruitoun nome? I magistrati scrivono che dal 2008 al 2014 Castiglione non risulta aver percepito alcun reddito. Poi, crea con un socio la “Gi.Ma srl” che si occupa della commercializzazione di caffè. Qualche tempo dopo, rileva anche la quota del socio intestandola alla madre. Per il giudice delle indagini preliminari è necessario continuare a indagare, «non essendo stata raggiunta la soglia della gravità indiziaria rispetto alla ipotesi di intestazione fittizia della Gi. Ma» . Una cosa però è certa, dice il gip: nella società del caffè, Capizzi «ha avuto un ruolo attivo non comparabile con quello del semplice dipendente».

La Repubblica Palermo, 21/6/2022

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