domenica, aprile 03, 2022

L’intervista al segretario della Cgil siciliana Alfio Mannino: “Torniamo a Comiso per chiedere pace e sviluppo”

di Gioacchino Amato

Quarant’anni dopo, a Comiso, la Sicilia torna a manifestare per la pace. Era il 4 aprile del 1982 quando oltre centomila persone sfilarono per le campagne del Ragusano, alla volta della base Nato, per opporsi all’installazione di 112 missili nucleari Cruise e per chiedere lo smantellamento degli omologhi SS20 sovietici. A guidare la protesta c’era il leader del Partito comunista nell’Isola, Pio La Torre, che verrà ucciso dalla mafia a Palermo 26 giorni dopo. 

Lunedì, a Comiso, la Cgil e il Centro Pio La Torre, con altre venti associazioni e organizzazioni sindacali, hanno promosso una nuova marcia. Le adesioni hanno già superato quota 50, e crescono ancora. Non solo un ricordo del passato, spiega Alfio Mannino, segretario generale della Cgil siciliana. 

Che significa tornare a Comiso durante la guerra in Ucraina? 

«C’è un filo rosso che unisce queste due manifestazioni: riguarda la richiesta di un nuovo modello disviluppo che si basa sulla pace ma anche sulla legalità e sulla lotta a diseguaglianze e povertà. Una richiesta che ancora una volta parte dalla Sicilia, con un’adesione massiccia del mondo del lavoro e dell’associazionismo. È anche un modo per indicare una prospettiva, un futuro soprattutto ai giovani che dopo due anni di pandemia non possono trovarsi inchiodati di fronte a una guerra. Hanno diritto alla speranza». 

Il corteo arriva dopo lo scontro fra Pd e M5S sull’aumento delle spese militari e dopo i “né con Putin né con la Nato” urlati da alcune piazze pacifiste. Un momento politicamente delicato. 

«Non vogliamo tornare al vecchio slogan “né con la Nato né col Pattodi Varsavia”: abbiamo chiaro che qui ci sono un aggressore e un aggredito. Ma la politica continua a mostrare i suoi limiti. Oggi c’è bisogno di investimenti su scuola, sanità, riforma della pubblica amministrazione, lavoro e sviluppo. Non è il momento di spendere in armi. E l’Unione europea, mentre pensa a un suo esercito, è la grande assente nella diplomazia». 

C’è il timore che la Sicilia torni al centro del mondo ma per motivi bellici? 

«Non c’è dubbio. Davanti alle nostre coste sono passate decine di navi da guerra, abbiamo Sigonella, il Muos, Birgi ma anche il nodo dei cavi sottomarini di comunicazione Internet. La Sicilia rischia didiventare il luogo dove si scaricano le tensioni della guerra in Ucraina. Il mondo pacifista, invece, vuole che la Sicilia sia il mondo del dialogo e dell’accoglienza. Nei prossimi giorni vorremmo riuscire a portare giovani ucraini e russi insieme a parlare con gli studenti delle nostre scuole». 

L’accoglienza in Sicilia va avanti da anni. Sta cambiando qualcosa? 

«Al netto delle speculazioni, in Sicilia abbiamo accolto anche a mani nude, a volte contro la politica dei nostri governi. Il fatto che l’Europa apra solo agli ucraini offende il senso di umanità». 

Rimane come quarant’anni fa il binomio pace-antimafia? 

«Lo dimostrano le adesioni di tante associazioni: fra pace e legalità c’è un legame inscindibile. In Sicilia buona parte dell’economia siciliana è minacciata o inquinata dalla mafia. Lottare per la pace significa lottare per la legalità, immaginare un nuovo modello di crescita. Quello che si salda il 4 aprile a Comiso è un grande movimento di cambiamento». 

La Repubblica Palermo, 2/4/2022

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