venerdì, marzo 25, 2022

IL PERSONAGGIO. Totò Cascio, dalla gloria al buio: “Farei un film”

Totó Cascio con Philippe Noiret

di 
Mario Pintagro

Del bimbo che indossa la cotta da chierichetto e la coppola seduto sul manubrio della bicicletta di Philippe Noiret, si innamorò il mondo intero. Stupì la leggerezza, la facilità con cui il piccolo Salvatore dialogava con Alfredo, il proiezionista di “Nuovo Cinema Paradiso”. 

Un’empatia che catturò gli spettatori. Ma quel bimbo che è rimasto scolpito nei frame di una pellicola, immortalato in un film premiato con l’Oscar, solo apparentemente non c’è più. Totò Cascio rivive costantemente quel periodo d’oro della fanciullezza, a cominciare dal giro dei provini alla ricerca del giovane Salvatore Di Vita, scelto fra bimbi siciliani di 8-10 anni. Visse tutto come un gioco, anche il dover vestire panni invernali in piena estate per esigenze di copione. «Rimanemmo in due dopo la grande selezione - ricorda oggi Totò Cascio, 42 anni – quasi una finalissima. Alla fine Peppuccio Tornatore scelse me, non so bene perché, ma lui aveva il fiuto e l’abilità di un talent-scout, vide in me delle qualità che altri non avevano. È un po’ come l’allenatore di una squadra che tira fuori il meglio dai giocatori»”. 

Cascio ha raccontato quella grande esperienza che lo ha proiettato nel magico mondo della finzione cinematografica nel libro “ La gloria e la prova. Il mio nuovo cinema paradiso 2.0” (Baldini Castoldi, 128 pagine, 15,20 euro) scritto a quattro mani con Giorgio De Martino, con interventi di Giuseppe Tornatore e Andrea Bocelli. Nel titolo c’è tutta la storia della sua vita, dal film alla diagnosi della retinite pigmentosa, una malattia genetica oculare che lo ha reso quasi cieco, e quindi alla sua nuova dimensione esistenziale. 

E allora, scorrono i ricordi di quei giorni del 1988, l’incontro con Philippe Noiret: «La prima volta che lo vidi mi fece impressione, mi parve un omone tutto sulle sue, rigoroso e invece in breve tempo si stabilì un’intesa. Lui parlava solo qualche parola di italiano, infatti camminava tallonato da un’interprete. Recitava in francese. Come fare recitare un bambino? Io avevo mandato a memoria le frasi da recitare con l’aiuto di mio padre, dovevo intervenire alla fine della sua frase e inevitabilmente avevo anche studiato i suoi dialoghi, per dare la battuta seguendo l’ultima parola del dialogo, una parola chiave. Mi dicevano: bene, a quel punto tocca a te, Totò». 

Tutto o quasi è andato liscio durante le riprese, tranne in un’occasione. «Avevo quasi nove anni, ero un bimbo vispo, ma come tutti i bimbi ero capriccioso. Così una sera, durante la scena in cui la mia casa va a fuoco, ho puntato i piedi. La scena è stata ripetuta non so quante volte, alla fine Peppuccio mi ha redarguito a dovere. E tutto è andato a posto». Palazzo Adriano ha creato una mostra permanente per ricordare il film da Oscar. « Mi ha commosso sapere che l’attore francese Jacques Perrin, che interpreta Di Vita adulto, ormai affermato regista cinematografico, sia tornato quasi in incognito alcuni anni fa a Palazzo Adriano. Mi hanno detto che ha visto la mostra, poi si è aggirato per il paese. Forse voleva rivivere quella bella atmosfera che si era creata». 

“Nuovo Cinema Paradiso” ha varcato i confini italiani, è finito nell’immaginario collettivo degli spettatori del pianeta. E in Polonia, per i 30 anni della pellicola, è stata organizzata una festa. «Arrivai a Varsavia che c’erano dieci gradi sottozero. Raggiunsi questo cineforum dove c’erano tanti miei estimatori. Mi dimenticai del freddo. C’era un’energia attorno a me che scaldava il cuore e l’anima. Fui accolto con una torta gigantesca, un’accoglienza trionfale. A quel tempo se si girava un film in Sicilia lo stereotipo proposto continuava a essere quello della mafia. Tornatore aveva fatto il miracolo di raccontare la Sicilia più vera e intensa, quella del sentimento». 

Il libro è anche il racconto della malattia visiva. «Mi fu diagnosticata già da piccolo, una malattia genetica. Ho vissuto malissimo la menomazione, ho cominicato a nascondermi, a isolarmi, a escludermi. Ho versato lacrime amare fino a quando ho affrontato tutto con l’autoanalisi e la preghiera e ho letto di Alex Zanardi, Gianluca Vialli, gente che aveva affrontato malattia e menomazione e aveva superato il trauma. In particolare, ricordo le parole illuminanti di Andrea Bocelli che mi disse: “Totò, non è un disonore”. Così vado e vengo da Bologna dove c’è il Centro Cavazzi, specializzato nell’assistere chi come me vede pochissimo. Se ho dei sogni? Certo, tornare a recitare in un film».

La Repubblica, 25/3/2022

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