mercoledì, luglio 21, 2021

Pif: “Se i giudici fanno paura è una vittoria della scuola”


di VASSILY SORTINO

Pif, come ha reagito ascoltando l’intercettazione del boss Maurizio Di Fede che vieta a un’amica di mandare la figlia a una manifestazione in ricordodi Falcone e Borsellino? 

«Penso che sia una cosa meravigliosa - risponde l’attore-regista che con “La mafia uccide solo d’estate” ha fatto rivivere gli anni di piombo palermitani - Mi spiego. Se fossi il ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, scenderei subito a Palermo per dare una medaglia agli insegnanti della città per il lavoro di convincimento antimafioso che hanno fatto in questi anni con i bambini. È la dimostrazione che il lavoro di un professore vale quanto quello di un magistrato». 


Il messaggio è che Cosa nostra è ridotta così male da avere paura di una bambina di 7 anni che vuole andare a una manifestazione 

«Ecco la cosa meravigliosa: una bambina che si sente a disagio perché non può andare con i compagni di scuola a manifestare a causa del mafioso amico di famiglia. Un tempo questo malessere non si sarebbe verificato. Ed è la prova scientifica che le iniziative scolastiche, che in tanti considerano inefficaci, sono capaci di segnare tantissimo culturalmente. È davvero un bel segnale. Quell’intercettazione è un motivo di festa». 

Perché il solo nominare Giovanni Falcone e Paolo Borsellino provoca ancora tra i mafiosi tanta rabbia? 

«Perché, nonostante i due magistrati abbiano perso la vita e la loro morte sia stata una sconfitta per tutti noi, le stragi di Capaci e via D’Amelio sono state il suicidio di Cosa nostra. Per la reazione che le bombe hanno provocato nell’anima della gente. Nessuna delle morti precedenti per mano mafiosa aveva creato tanto clamore. Neanche l’assassinio di Rocco Chinnici, che fu il primo magistrato a incontrare gli studenti delle scuole. La rabbia che emerge dalle parole di Di Fede confermano che lo Stato è presente nella lotta antimafia e che la scuola è capace di mettere in crisi tutte le convinzioni delle famiglie vicino ai boss, partendo proprio dai bambini. Lo ripeto un’altra volta: sono eccitatissimo per queste parole di un mafioso che ha paura e che è questa la giusta strada da seguire. Un tempo il mafioso era il problema dello Stato. Adesso è lo Stato il problema del mafioso». 

Quindi più che di rabbia della mafia possiamo parlare di paura nei confronti dello Stato e dei suoi uomini, sia che siano dotati di toga che di gessetto? 

«Paura e rabbia convivono nel mafioso. Mi viene da ridere immaginando la scena del boss Maurizio Di Fede che va a casa dell’amica ad accertarsi che la bambina non sia andata alla manifestazione pro Falcone. Lui non ha paura di una retata della polizia. Non si spaventa del pentito. Ma teme le parole di un professore. È il trionfo dello scrittore Gesualdo Bufalino quando sosteneva “la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari”». 

Però questa è anche la testimonianza della “resistenza” culturale mafiosa in certi strati sociali, come dimostra il film “Belluscone” di Maresco. Quanto tempo ci vorrà per ribaltare anche questo modo di pensare? 

«Avverrà quando saranno dati gli stessi strumenti intellettuali sia al bambino che vive nel centro di Palermo e figlio della famiglia ricca, sia allo studente che va scuola in periferia. Insegnamento, educazione, studio e istruzione sono la chiave di volta per mettere in crisi i figli dei mafiosi, che tramite la scuola possono scoprire di non essere uguali agli altri. Intanto, oggi, ha vinto la scuola palermitana». 

La Repubblica Palermo, 21/7/2021

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