domenica, luglio 11, 2021

“In nome dell’antimafia”, il nuovo libro di Salvo Vitale


Un libro di 452 pagine, fitte di storie, testimonianze, analisi, e tante parole coraggiose. Si ha davvero la possibilità di leggere una delle più belle inchieste degli ultimi decenni, iniziata nel 2013 nella redazione della piccola emittente televisiva di Partinico, Telejato, diretta da Pino Maniaci, sulla mala gestione dei beni sequestrati della Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, guidata da Silvana Saguto.  L’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo è stata condannata in primo grado a 8 anni e 6 mesi di carcere per presunti affari illeciti nella gestione dei beni confiscati alle cosche mafiose.

dalla prefazione di Pietro Orsatti

Il vizio di farsi domande...

Questo è un libro difficile, sia sul piano della lettura che su quello politico. Perché non fa sconti a nessuno. Perché chi l’ha scritto ha ben chiara la storia – anche sanguinosa – che portò all’approvazione della legge Rognoni-La Torre. Perché quella rivoluzione, toccare i patrimoni della mafia attraverso sequestri e confische, non si areni nell’incuria e negli affarismi. Perché non basta fare le domande giuste, ma è indispensabile avere ben chiaro da che parte bisogna schierarsi, quale sia la posta in gioco. In molti si scaglieranno – l’hanno già fatto – contro Salvo e il suo lavoro.

 

Figuriamoci se Salvo si sarebbe tirato indietro dallo sfoderare la polemica e la penna davanti a una macroscopica mala gestione dei beni sequestrati “alla mafia” come quella che si è costruita in decenni di amministrazione opaca. Uno che non ha tirato indietro la gamba quando c’era da tirare fuori verità scomode su quello “che si era stati”, nel suo libro Cento passi ancora, facendo incazzare mezza antimafia storica, vecchi compagni di lotte e di vita, solo per aver dato umanità, fiato e sorriso a una storia d’impegno e di liberazione che avevano rimosso.

 

Certo, l’antimafia “ufficiale”, pezzi della magistratura e della politica “progressista” non si aspettavano una campagna d’informazione così determinata e documentata. Non pensavano che “l’omino della Bialetti” e il vecchio professorein pensione potessero arrivare a far esplodere un caso nazionale, toccando l’impensabile, provocando un terremoto di dimensioni che hanno portato fino all’esplosione del “caso Saguto”. Chi se lo sarebbe aspettato che Pino e Salvo, molto prima dell’intervento della procura di Caltanissetta, facessero saltare il coperchio del pentolone dell’affare beni sequestrati?

 

Molta antimafia ufficiale mal digerisce lavare i panni sporchi in pubblico, preferisce contenere e mantenersi sulla difensiva anche davanti all’evidenza di quello che emerge dal lavoro di inchiesta sull’affare dei beni sequestrati, ritenendo controproducente – e pericoloso – far emergere malaffare e contraddizioni, paradossi e cattiva amministrazione. Meglio risolvere tutto lontani dal proscenio pubblico fra “iniziati”.

 

Difendere acriticamente un meccanismo che si è rivelato monco e influenzabile dagli affarismi solo per garantirsi ruolo e posizione politica è una azione suicida. Crea divisioni, sconcerto nell’opinione pubblica e vuoti di iniziativa e di potere – quando parliamo degli aspetti istituzionali dell’antimafia – che vanno solo a ridare fiato e consenso alla mafia.

Il vizio di farsi domande, che vizio non è, è forse l’unico anticorpo che ci consenta di difenderci da un universo come quello mafioso che ha sempre dimostrato immensa capacità e velocità di trasformazione, mimetizzazione e adattamento. Il vizio di farsi domande è la cura all’arbitrio del potere.

 

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Salvo Vitale

Dalla nota introduttiva al libro

Questa inchiesta è cominciata nel 2013, allorché alcuni familiari di persone sottoposte a indagine per sospette collusioni mafiose, che avevano scelto di collaborare con i magistrati, dopo avere subito danni ai loro impianti per avere denunciato i loro estorsori, si sono trovati nella morsa dell’ufficio Misure di Prevenzione, che aveva disposto il sequestro dei loro beni, affidandoli nelle mani di amministratori giudiziari ai quali ben poco importava delle sorti delle aziende e delle persone e che vi lavoravano, e ne causavano lo sfascio o una drastica diminuzione del volume degli affari. Alcuni, che avevano sperato di continuare a lavorare offrendo la propria collaborazione, si erano invece ritrovati privi dalla loro attività, abbandonati dalla macchina amministrativa che avrebbe dovuto tutelarli e, non avendo più nulla da perdere, hanno voluto rendere note le loro vicende, raccontandole alla redazione della piccola emittente di Partinico, Telejato, affinché si portasse a conoscenza il modo di operare di alcuni settori della giustizia italiana. Da allora è diventato un continuo viavai di gente, vittime delle più incredibili vicende, provenienti da ogni parte della Sicilia, alle quali era rimasta una sola possibilità, dopo aver perso tutto: comunicare agli altri le circostanze e, dal loro punto di vista, le ingiustizie di cui erano rimaste vittime. Una chiara rottura di quel muro del silenzio e dell’omertà che caratterizza gli ambienti vicini al sodalizio mafioso. […]

 

Ci ha colpito questo bisogno di parlare, di denunciare, di ribellarsi, di non volere più subire e questa residua speranza di avere giustizia. Poiché non sono solito vendere illusioni, ho fatto quello che mi chiedevano di fare e che faccio da più di cinquant’anni, senza tesserino, cioè il giornalista di strada, ovvero ho scritto quello che mi raccontavano, perfettamente cosciente di non potere esprimere, se non in minima parte, tante storie di dolore, di prepotenze, di arroganze, di carriere e famiglie distrutte, di aziende fallite, di avvocati disonesti, di ragazzi cui era stato sequestrato persino il motorino o il cellulare e di proprietari di case costretti a pagare l’affitto della loro abitazione all’amministratore giudiziario, sino al momento dello sfratto, per non parlare di gente disponibile a pagare l’affitto delle proprie case, rimaste poi chiuse e abbandonate ai saccheggi, […]

Si dirà che, esibendo questi numerosi casi di “fallimento” dello Stato che non riesce ad assicurare a tutti una giustizia “giusta” e il diritto a conservare il lavoro, rispetto a chi invece lo perde proprio a causa dell’intervento dello Stato, si mette in discussione la colonna portante delle istituzioni, la magistratura: troppo facile rispondere che una denuncia ha senso se serve, come in questo caso, a rilegittimare un’istituzione che non funziona bene e che la delegittimazione è causata dall’azione deviata di chi dovrebbe rappresentare legittimamente l’istituzione o da chi usa in modo distorto una legge già distorta. […]

 

Ultima considerazione: questo libro nasce già condannato.

Nel bollettino di Libera, il 17 febbraio 2016, Lorenzo Frigerio, responsabile di Libera in Lombardia, verso il quale nutro stima, sulla base di informazioni e considerazioni che egli stesso definisce di parte, scrive: «Spiace pensare che una temibile “cupio dissolvi” stia ottenebrando il giudizio in alcuni e serva solo a criticare, perdendo di vista le positività oppure – concedeteci il sospetto – a promuovere libri dedicati all’antimafia che non funziona. Non vorremmo che così facendo, si finisca per lanciare il messaggio che l’antimafia vera non esiste, perché è tutto solo business».

 

[…] Considero l’antimafia espressione di un impegno civile non facile, soprattutto in zone in cui la mafia si taglia col coltello e che sembrano senza speranza. La mia storia personale, che ha avuto il momento più bello negli anni della collaborazione con Peppino Impastato e il momento più tragico con il suo assassinio, lo testimonia.

 

[…] Sarei tentato di dire, contraddicendo lo stesso assunto giuridico di base, che “la legge è uguale per tutti, eccetto che per i mafiosi”, poiché costoro non rispettano la legge e pretendono di usufruire delle sue garanzie. Ma attenzione, “eccetto che per i mafiosi” comprovati e giudicati tali, ai quali vanno confiscate anche le mutande, non per coloro che sono sospettati di mafia e poi, dopo essere stati spogliati di tutto, vengono prosciolti da ogni accusa. Una profonda revisione, se non la cancellazione della legge sulle Misure di Prevenzione fondate sul sospetto sarebbe una conquista di civiltà per distanziarci dalla barbarie e dal medioevo della giustizia.

wordnews.it, 10/7/2021


https://www.wordnews.it/in-nome-dellantimafia-cronache-da-telejato

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