domenica, maggio 30, 2021

Il 100mo di Sciascia. Lo scrittore, la politica e lo strappo col Pci per rifiutare gli inciuci

La Repubblica del 20 novembre 2009

Il 
rapporto fra il Pci e Leonardo Sciascia fu lungo e, talvolta, travagliato. Cominciò negli anni Quaranta a Caltanissetta, dove lo scrittore visse per un certo tempo, e s'interruppe nella seconda metà degli anni Settanta che videro lo scrittore passare da consigliere comunale di Palermo eletto nelle liste del Pci (1975) a deputato radicale (1979). Proprio in quegli anni, discutendone con lui alla Camera, me ne sono fatto un' idea, certo non esaustiva, con speciale riguardo a taluni aspetti concernenti le vicende siciliane. La sua "discesa in campo" avvenne nel 1974, in occasione della campagna per il referendum per l' abolizione della legge sul divorzio, alla quale diede un contributo concreto e rilevante. In quel tempo, il partito siciliano era nel vivo di un confronto interno, a tratti anche duro, per il rinnovamento dei gruppi dirigenti e del modo di fare politica. Segretario regionale era Achille Occhetto il quale s' intestò la battaglia del rinnovamento che in alcune federazioni era già iniziata tempo prima e con successo.

Subito dopo quel congresso, fu sciolto il Parlamento e quindi fummo costretti a correre per preparare le liste. Per il collegio senatoriale di Agrigento formulammo una rosa ristretta di nomi fra cui quello di Leonardo Sciascia che interpellammo per primo, il quale, però, come detto, declinò l' invito. Dopo questa campagna elettorale, Achille Occhetto subentrò a Macaluso nella segreteria regionale. Occhetto fece leva su questo suo interesse per avviare, tramite Michele Figurelli e Valerio Veltroni, un contatto piuttosto intenso con lo scrittore. Certo, Sciascia approvò la "calata" in Sicilia di questi giovani dirigenti del Nord, ma rimase restio ad aderire a un partito-chiesa come un po' gli appariva il Pci, verso il quale, per altro, aveva accumulato perplessità riferite a fatti antichi (l' esperienza del milazzismo) e più recenti riconducibili alla segreteria di Emanuele Macaluso. Occhetto e i suoi inviati del Nord garantirono a Sciascia che quel tempo era finito. Ora a dirigere il Partito c' erano loro, forze nuove formatesi in altri contesti, che nell' Isola avevano avviato una sorta di rivoluzione culturale. Lo scrittore - ammetterà - un po' si lasciò sedurre dai discorsi di questi giovani "colonizzatori". Perciò ruppe gli indugi e nel 1974 partecipò alla campagna referendaria e l' anno successivo accettò, come indipendente, la candidatura a consigliere comunale di Palermo nella lista del Pci. A Sala delle Lapidi, Sciascia si ritroverà in una situazione davvero frustrante che lo porterà, a pochi mesi dall' insediamento, alle dimissioni che motivò con i ritardi e col confuso andamento dei lavori d' aula. In realtà, cominciava ad avvertire una certa "delusione" per le promesse di cambiamento annunciate, e non mantenute, da Occhetto e dai suoi inviati. Mi fece capire che presto si accorse che il cambiamento dato per avvenuto era in gran parte di facciata, anzi di facce; millantato per indurlo a entrare in lista. Macaluso, anche da Roma, continuava a influire sul partito siciliano, soprattutto sul gruppo parlamentare all' Ars. Sciascia, in particolare, citava l' episodio, verificatosi nei primissimi anni Settanta, della fusione tra Realmonte-Sali (soc i e t à d e l l ' E m s ) e l a S a m s dell' avvocato Francesco Morgante, potente imprenditore del sale e intimo dell' onorevole Giuseppe La Loggia. Lo scrittore conosceva bene la vicenda perché edotto da Antonio Lauricella, sindaco dc di Grotte e comproprietario di una miniera di salgemma in territorio di Petralia minacciata dal piano Ems-Sams. Il professore gli aveva consegnato un dettagliato memoriale da cui si evidenziavano diverse incongruenze, soprattutto una supervalutazione degli apporti privati. Sciascia prese a cuore la questione e la girò ai suoi amici del Pci, facendone una sorta di banco di prova per verificare la loro coerenza politica. Vista la sordità dei suoi interlocutori siciliani, inviò il memoriale alla segreteria nazionale, accompagnato da una sua lettera in cui chiedeva un intervento di Roma. Non ebbe risposta. La fusione si fece, con la benedizione anche dei vertici regionali del Pci. Confesso che vedere Sciascia deputato del Partito radicale mi procurava un certo cruccio. Ero convinto che se ci fosse stata più correttezza l' avremmo potuto candidare noi, anche se, vedendolo all' opera, mi persuasi che quella radicale era la casacca a lui più congeniale. Insomma, lo scrittore non sarebbe diventato comunista, anche se anticomunista non fu mai. 

La Repubblica, 20 novembre 2009

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