giovedì, gennaio 21, 2021

Io e il Pci col Pci che non c’è più

Da sx: Achille Occhetto, Giovanni Giannobile e Dino Paternostro (Corleone1979)

DINO PATERNOSTRO                                         
I primi rudimenti di marxismo li appresi al liceo di Corleone col prof. Giovanni Callari. Mi affascinavano Marx ed Engels e la loro idea di comunismo come una società dove ognuno da quel che può dare e riceve quello di cui ha bisogno. Mi affascinava anche l’affermazione di mio padre (seconda elementare) che Gesù Cristo era stato il primo socialista della storia e il richiamo alla frase biblica della “terra promessa”, quella terra dove scorre latte e miele e le spade si trasformano in aratri. Mi piaceva (mi piace) pensare ad un filo che univa (unisce) marxismo e cristianesimo. 

La tessera del PCI la presi nel 1974, a 22 anni, dopo aver conosciuto Roberto Tagliavia che mi fece respirare gli echi delle lotte studentesche a Palermo. È più ancora dopo aver guardato negli occhi Peppino Di Palermo, storico dirigente del partito e cognato di Placido Rizzotto. Erano gli occhi limpidi di una persona perbene, seria, onesta e coraggiosa. Parole come libertà, giustizia sociale, democrazia avevano un grande fascino. 

Con me allora entrarono nel partito tanti altri giovani: Enzo Briganti, Maurizio Midulla, Enzo Salvaggio, Franco Leggio. Si, anche Franco, nipote di Luciano Liggio. Peppino Di Palermo e gli altri “grandi vecchi” del direttivo ci chiesero: “Anche lui nel partito? Sapete chi è”. “Certo, un nostro amico e un ragazzo perbene”, fu la nostra risposta. E tale si dimostrò Franco, che addirittura ci mise a disposizione un pianterreno in corso Bentivegna, che diventò sede del comitato di zona del Pci. Il nostro era un partito che una possibilità la offriva a tutti, senza pregiudizi. 

Il Pci a Corleone era il partito di Bernardino Verro (la sezione era intestata a lui) e di Rizzotto (Di Palermo ci parlava sempre di lui e un giorno mi confidò che qualche settimana prima di essere rapito il cognato gli disse che prima o poi avrebbe preso la tessera comunista. Non ne ho mai parlato per evitare l’accusa di strumentalizzare un eroe del movimento contadino e della lotta contro la mafia. Ma oggi che il Pci e il Psi non ci sono più credo che sia giusto raccontarlo. 

Del Pci Rizzotto ammirava la forza e la compattezza che gli derivavano dalla sua organizzazione. 

Nel 1976 divenni funzionario del partito e responsabile della zona del Corleonese, che oltre Corleone comprendeva i comuni di Campofiorito, Bisacquino, Chiusa Sclafani, Giuliana, Contessa Entellina, Roccamena, Prizzi e Palazzo Adriano. 

Fu un’esperienza umana e politica straordinaria. Conobbi tanti compagni, sperimentai la solidarietà, vissi il significato profondo della parola “compagno” (e tra compagni ci si dava del tu). Tanti si sono stupiti nel 2012, quando salutai il presidente Napolitano, che era venuto a Corleone per i funerali di stato per Placido Rizzotto, con un “Ciao, Giorgio!”. Lo feci senza rifletterci, in maniera naturale. E il presidente non si stupì. Sorridendo, mi rispose “ciao”. 

Il partito di quegli anni a Corleone per me aveva i volti di Peppino Di Palermo, Totó Mannina, Tanino Marabeti, Mariano Cuppuleri, Pasquale Ciavarello. E poi di Nené Leto, Liddro Alfano e Peppe Scarpinato a Campofiorito; di Ignazio Gaudiano e Iacu Tamburello a Bisacquino; di Leonardo Gendusa a Chiusa; di Ignazio Principato e Peppe Altamore a Giuliana; di Peppe Raviotta a Contessa; di Totò Ciaccio e Peppe Moscarelli a Roccamena; di Piddu Leone a Prizzi e di Riggio a Palazzo Adriano. 

Si elaboravano piattaforme di zona, si lottava al fianco dei braccianti e degli operai edili, si contrastava la Dc “spugna”, che specie a Corleone in tanti suoi uomini era contigua alla mafia. 

Nel 1975 ho partecipato al congresso Nazionale del partito. Un’esperienza unica. Per la prima volta vedevo Roma. Per la prima volta vedevo “dal vivo” personaggi come Enrico Berlinguer, Luigi Longo, Giancarlo Pajetta, Pietro Ingrao, Giorgio Amendola, Luciano Lama. E i siciliani Emanuele Macaluso, Pompeo Colajanni, Pio La Torre, Pancrazio De Pasquale. 

Dopo cinque anni di militanza, nel 1979 sono stato candidato al consiglio comunale: ottenni 316 voti risultando il primo eletto del partito. 

Nel frattempo ero passato alla Cgil (“per farmi le ossa”, come si diceva allora, “a stretto contatto con i lavoratori e i loro problemi”, la cui soluzione non poteva avere i tempi lunghi della politica. L’esperienza nel sindacato è stata molto importante. Lo è ancora, forse di più adesso che il Pci non c’è più. Ma la mia formazione resta quella avuta alla scuola di un partito come il Pci, dove non contava l’io ma il noi, dove esisteva la sezione e non i comitati elettorali, dove si portavano avanti progetti e programmi elaborati collettivamente, dove i personalismi erano banditi. Una grande scuola, che adeguata al terzo millennio potrebbe ancora tornare utile a Corleone, alla Sicilia e al nostro Paese. 

Cento anni dopo la nascita del Pci che adesso non c’è più, resta la nostalgia di quella stagione, ma anche il bisogno di una sinistra che incarni quei valori di solidarietà e giustizia sociale di cui le persone hanno ancora e sempre bisogno.

Dino Paternostro

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